L’uscita dell’edizione russa del Mondo piccolo di Giovannino Guareschi è un segno dei tempi. Don Camillo è stato tradotto in un centinaio di lingue, dall’eschimese al vietnamita, viene letto in hindi e in afrikaans. Il Mondo piccolo di Guareschi è una specie di lente, sotto la quale il mondo particolare di un paese dell’Emilia, sulle rive del Po, si riverbera e diventa il riflesso della vita italiana in quanto tale, anzi della vita umana con i suoi valori immutabili, semplici, che però è così difficile conservare.
Cos’hanno di speciale questi racconti apparentemente senza pretese per riuscire a far ridere e a riflettere gente tanto diversa, talvolta di paesi molto lontani dall’Italia, gente che non si ricorda del dopoguerra italiano, che non ha mai letto niente in proposito e magari non sa niente dei comunisti né dei cattolici?
Fino all’anno scorso si riteneva che mancassero solo due lingue alle traduzioni di don Camillo e Peppone: il russo e il cinese. Poi il libro è uscito in cinese. Ed ora esce anche in russo. Forse è un ulteriore passo per diradare nelle nostre coscienze la fitta nebbia ideologica che si era andata accumulando per generazioni con le lezioni di storia in classe, e i concetti di progressista e reazionario. Solo dieci anni fa, la redattrice di una rivista letteraria cui avevo offerto un articolo su Giovannino Guareschi, mi aveva chiesto: “Come farà a dimostrare che il suo autore è antifascista? Dal suo testo non si capisce”. Certo, non lo si poteva capire perché lui non era antifascista. Non era fascista e non era antifascista, non era neanche comunista, né socialista, né democristiano. E monarchico, forse, lo era nell’animo ma senza tessera del partito.
Il ciclo di racconti su don Camillo rappresenta un genere letterario del tutto speciale, nuovo: è un’epopea in piccolo formato. Ciascuno dei 347 racconti è un’opera a sé, conclusa, della misura di una colonna di giornale. Ognuno ha la sua trama, ma tutti insieme formano uno spazio testuale totalmente nuovo. È un mondo tirato fuori dal nulla, che somiglia molto allo spazio di un palcoscenico dove all’inizio escono i protagonisti, poi via via gente e posti sempre nuovi. All’inizio vediamo solo la piazza e la chiesa: il comunista e il prete, il clown bianco e il clown rosso sulla scena deserta. Poi facciamo conoscenza con il paese e i dintorni, si delineano i campi, le strade, i canali, il Grande Fiume Po delimita i confini del mondo; spuntano uomini di varie età, professioni e idee, che muoiono, nascono, si sposano, litigano e si amano. Il mondo piccolo diventa un mondo grande.
Guareschi ha scritto questi racconti per vent’anni; dal dicembre 1946 sono usciti una volta la settimana sul giornale “Candido”. Nel 1948 Guareschi scelse 44 racconti per formare la prima raccolta Mondo piccolo. Don Camillo. In seguito ne scelse altri 60 per la raccolta Don Camillo e il suo gregge (1953), e infine per Il compagno don Camillo (1963). Queste opere, anche se raccolgono racconti usciti in tempi diversi e non legati uno all’altro, grazie alla composizione sono diventate dei romanzi in tutto e per tutto. Il primo ci introduce nel mondo piccolo, ce ne dà le coordinate, mette in scena i protagonisti, delinea i punti di conflitto e i valori. Nel secondo sono raccolte le storie di varie persone che abitano quel mondo. Nel terzo abbiamo l’odissea, il viaggio dal mondo piccolo reale nel grande mondo, il regno delle tenebre: l’Urss.
Il mondo piccolo era stato inventato da Giovannino Guareschi ma al tempo stesso esisteva realmente e continua ad esistere nel reale spazio geografico e storico italiano. Ma la storia (distillato della storia italiana del XX secolo, con la contrapposizione politica tra comunisti e cattolici nel dopoguerra) si presenta al lettore attraverso il prisma di rapporti e valori che non possono non essere comuni agli uomini, non appena smettono di essere parte di un blocco granitico o rotelline di un’unica macchina, e restano soltanto delle persone, singoli essere umani, uomini e donne.
I contemporanei leggevano i racconti di don Camillo come notizie di cronaca, come satira politica anticomunista. Scrivevano all’autore migliaia di lettere chiedendogli come mai rappresentava i comunisti così umani, perché questo nuoceva alla lotta contro di loro. Oppure, viceversa, gli chiedevano perché li dipingeva così stupidi, mentre non era così, erano anzi l’unica forza politica sana in Italia e nell’arena mondiale. Guareschi veniva minacciato, odiato, disprezzato, eppure continuavano a leggerlo; ogni nuovo libro veniva rieditato infinite volte e batteva tutti i record di vendita.
Ma Guareschi non raccontava dei comunisti, lui raccontava della voce del cuore che sconfigge qualsiasi ideologia e che impedisce all’ideologia di non guardare in faccia la realtà, e non raccontava dei cattolici, ma della voce della coscienza. (…)
Nella sua introduzione al Mondo piccolo l’autore dice che il libro descrive “la storia di un anno di vita politica italiana, dal dicembre 1946 al dicembre 1947”. Ossia descrive gli avvenimenti accaduti dieci anni prima che si inaugurasse la linea politica della riconciliazione e si instaurasse il dialogo, nel periodo più critico in cui il Paese cercava le vie della ricostruzione. La tensione e l’orrore degli omicidi politici si colgono nelle storie del Pizzi e del Biondo, nell’elenco delle armi di vario tipo pronte a sparare o a esplodere, e nella continua attesa che questo avvenisse. E tuttavia non si tratta di una fotografia e non è assolutamente un ritratto realistico del conflitto in corso, Guareschi stesso diceva che “sbaglia il 90 per cento dei borghesi che vorrebbe vedere i comunisti uguali al Peppone dei miei racconti”. Il Mondo piccolo racconta che c’è anche un altro livello. Che nell’uomo c’è qualcosa di ineliminabile che si trova molto in fondo e può restituire all’uomo la sua condizione umana, al di là della disciplina di partito e i principi ideologici. Come succede a Peppone nel racconto Autunno, quando incomincia a ricordare la prima guerra mondiale in cui ha combattuto personalmente e tutti i luoghi comuni della propaganda antipatriottica si dissolvono nella sua testa. Come succede al Brusco, che con “dignitosa indifferenza” aspetta l’arrivo del “rappresentante di uno Stato estero”, il vescovo, ma quando vede il vecchio presule un po’ malcerto, gli offre il braccio e si trasforma così da parte del blocco granitico in persona, in un borghese che mostra con orgoglio il suo paese all’alto ospite (racconto I bruti). Di storie simili nel libro ce n’è molte, perché il senso sta tutto nel far vedere quanto può fare l’uomo quando non dà il cervello all’ammasso e smette di marciare nei ranghi.
Nei racconti del Mondo piccolo si parla dei delitti commessi da tutte le fazioni: i fascisti picchiavano i socialisti, i comunisti picchiano e uccidono i reazionari, i reazionari picchiano i comunisti. Il manifesto della posizione di Guareschi davanti a questo circolo vizioso di violenza può essere considerato un racconto del secondo volume, Il fiume racconta anche questa storia (del ’53). Non è un caso che questo racconto sia uscito appena prima delle elezioni. È uno dei racconti più tristi e tremendi della serie di don Camillo: non c’è una sola battuta di spirito, ma c’è, invece, uno dei discorsi più lunghi di don Camillo a proposito della violenza. La trama è semplice: Peppone, in qualità di sindaco, svolge un’ispeziona alla scuola, alla classe dove studia suo figlio. E per verificare cosa sanno gli alunni, chiama suo figlio e gli domanda le tabelline, ma quello non sa rispondere. Allora il sindaco interroga il compagno di banco il quale, pur sapendo la risposta, si rifiuta di parlare perché, dice, Peppone ha picchiato suo padre e quando sarà grande lui gliele darà a sua volta. Tra i bambini incomincia una guerra che né i padri (il papà del bambino è un ex squadrista, e Peppone dice che quella volta gli aveva semplicemente restituito le botte ricevute), né don Camillo riescono a fermare. Alla fine, si trova il figlio di Peppone gravemente ferito al capo da una pietra. Peppone corre verso la casa del bambino per vendicarsi e vede che quello si sta arrampicando su un pilone dell’alta tensione con gli occhi pieni di terrore. Da lontano, il bambino vede arrivare i carabinieri, non regge, cade dal pilone e annega nel fiume. Il racconto termina con la preghiera di don Camillo e con un paragrafo che sembrerebbe non avere nessun rapporto con quella, ma che invece esprime le convinzioni profonde di Guareschi: “Il fiume continuava a portare acqua al mare. Sempre la stessa acqua di cento miliardi di anni fa. Storie vanno al mare, e storie ritornano dal mare al monte e al piano. E sono sempre le stesse, e gli uomini le ascoltano ma non ne intendono la saggezza. Perché la saggezza è noiosa come i cento e mille e centomila don Camillo che, persa la fiducia negli uomini, parlano all’acqua dei fiumi”. Le verità eterne che si trasmettono di epoca in epoca, sono consone alla natura, corrispondono alla creazione. Se le ascolta, l’uomo non può agire male, seminare il male.
Nel momento in cui la cultura rinunciava alla verità radicata nel singolo uomo, alla verità in quanto tale, al suo concetto generale, sospingendolo fuori dallo spazio culturale, gli uomini sono rimasti indifesi, e quindi a rischio di cadere in mano delle “verità per la massa”. Il dono di Guareschi, probabilmente, consisteva appunto in questa particolare sensibilità alla menzogna dei miti di massa e alla finzione dei “luminosi” ideali. E al tempo stesso nell’incedibile coraggio di opporsi a ciò che veniva fatto passare per “giusto”, “progressivo” e “d’avanguardia”, e nel testardo attaccamento a concetti “vecchi” come la giustizia della persona, le verità eterne e, se volete, ciò che è alto e santo (con l’unica differenza che il suo talento gli permetteva di non ricorrere mai, sorprendentemente, a queste frasi altisonanti).
Per questo il protagonista del libro non è don Camillo, né il suo “amico giurato”, il comunista Peppone, ma piuttosto la voce del Cristo che, come dice lo stesso autore, “è la voce della mia coscienza”, o ancora la stessa Bassa, dove scorre: “il fiume placido e maestoso, sull’argine del quale, verso sera, passa rapida la Morte in bicicletta”. Questa voce parla dal profondo del cuore e fa appello al cuore di ogni singolo uomo.
(Traduzione di Marta Dell’Asta)