Antipolitico, volgare, qualunquista, populista, terrorista o addirittura antesignano di un futuro dittatore? Indubbiamente Beppe Grillo con il suo «Movimento 5 Stelle» è riuscito a suscitare le reazioni più estreme da parte della politica istituzionale. Ma al di là dei toni forti – che in realtà sono gli echi alla retorica scelta dallo stesso Grillo conditi con qualche nervosismo e presunzione da parte dei partiti istituzionali – e indipendentemente dalla domanda se le proposte avanzate da Grillo siano condivisibili o meno (e su questa domanda ciascuno si faccia il proprio giudizio come è giusto in una democrazia liberale), si pone una domanda di interesse fondamentale per la democrazia istituzionale come la conosciamo al giorno d’oggi nel nostro contesto italiano ed europeo: che cosa ci dice il fenomeno M5S sullo stato di salute della nostra democrazia? E quali domande i partiti si dovrebbero eticamente porre nel momento in cui prendono atto del fatto che questo movimento non crolla su se stesso dopo le prime elezioni in cui si candida come partito?
Per considerare il fenomeno Beppe Grillo da un punto di vista quindi più oggettivo e neutrale – metodo che ci impone l’interesse etico in questa domanda – bisogna innanzitutto considerare che non si tratta per niente di un fenomeno esclusivamente italiano, come alcuni pensano. Chi sostiene che soltanto un “comico” potesse fare, nel Belpaese, l’antifigura al “teatro politico” del periodo del berlusconismo, può trovare infatti anche in Islanda un comico a capo di un movimento politico di protesta. E chi ritiene che soltanto in Italia la democrazia avesse il potenziale adatto a disinteressare così tanti giovani e adulti, a ridursi ad una partitocrazia e a perdere quel prezioso valore che avevano raggiunto i nostri antenati non tante generazioni fa – ossia la partecipazione politica attraverso una vera sovranità del popolo –, dovrebbe innanzitutto rendersi conto che in quasi tutti i paesi europei troviamo movimenti di protesta analoghi a questo, riuniti nell’organizzazione sovranazionale del Partito Pirata europeo. E solo dopo questa contestualizzazione inizia l’anomalia italiana, che già si esprime nel fatto che il movimento di protesta in Italia non si chiama “Partito Pirata” – esplicitamente il M5S è stato fondato come “non partito”, regolato da un “non statuto” – ma è invece fortemente influenzato e identificato con il suo leader, che in questo modo riesce ad articolarlo molto meglio secondo gli specifici deficit politici della Penisola di quanto avesse potuto fare importando semplicemente i programmi dei singoli partiti dei “Pirati” presenti negli altri paesi europei.
Già da questo primo sguardo sembra però che in Italia la protesta di Grillo si rivolga innanzitutto contro i partiti in quanto tali – non a caso il movimento in questione ha avuto il suo vero successo dopo gli scandali del Pdl, della Lega e dell’Idv – mentre a livello europeo la realtà partitica è considerata a tal punto un’istituzione oggettiva della politica che anche un movimento di protesta può darsi fin da subito la forma istituzionale di un partito politico.
Ciò che intendono realizzare i “Pirati” è innanzitutto la tutela della massima libertà nell’uso di internet attraverso strutture para-anarchiche: infatti, tutto il movimento ha avuto inizio quando nel 2006 in Svezia si presentò alle urne il primo partito dei “Pirati” per la difesa della più totale libertà nello scambio di files – perlopiù musicali e di video – anche a dispetto dei diritti d’autore (da qui si spiega il loro nome). Nonostante l’iniziale insuccesso del partito svedese, questa idea si diffuse rapidamente in tutta Europa (e oltre), ispirando la fondazione di “Partiti di Pirati” in quasi tutti i paesi del continente. E nel 2009 il Partito europeo dei Pirati si candidò persino alle elezioni del Parlamento europeo.
Ora, tuttavia, lo scopo dei vari partiti non è più soltanto la libertà anarchica di internet, come dimostra il fatto che questa idea fondamentale è stata estesa anche ad aspetti della vita politica e sociale come: l’impegno per una diminuzione dell’autorità pubblica in favore di una maggiore libertà individuale, la pretesa di una maggiore trasparenza politica, l’istanza di una salvaguardia dell’ambiente e dei diritti dei migranti, la domanda di una politica familiare progressista e di un nuovo sistema formativo, fino alla richiesta di liberalizzazione delle droghe (almeno quelle più leggere) e di un salario basale fisso per tutti i cittadini. Ma i Pirati si sono distinti non soltanto per l’aspetto alternativo delle loro mozioni concrete, ma soprattutto per il modo diverso di fare politica: l’organizzazione del Partito dei Pirati in qualsiasi nazione è molto snella ed economica, in quanto gran parte dell’attività viene svolta per quanto possibile via internet. Ciò consente di organizzare il partito quasi senza gerarchie e attraverso un meccanismo politico diretto che abbassa molto i costi, anche nella campagna elettorale: così sono stati spesi per la campagna elettorale del parlamento regionale di Berlino 35mila euro, e per le elezioni del sindaco di Parma soltanto 8mila.
Tramite queste nuove strutture organizzative e il contatto diretto via internet con i giovani cittadini propongono un modello politico che risponde direttamente ai deficit dell’attuale “postdemocrazia”, in cui le istituzioni e gli apparati politici e le strutture tradizionali funzionano senz’altro apparentemente ma non consentono più la realizzazione dell’idea democratica originale, ossia l’esercitazione della partecipazione universale del popolo. Proprio questa idea, ovvero che attraverso le liste e gli sbarramenti, attraverso i costi della campagna elettorale e le potenzialità multimediatiche tutto sembra già deciso e che il cittadino, nonostante il diritto di voto, non abbia il minimo influsso sulle scelte che contano, è il principale motivo dell’attuale situazione di “antipolitica”: ossia quella particolare situazione in cui la maggior parte della popolazione non solo si disinteressa per la “cosa comune” ma anzi si dimostra sempre meno motivata a dare legittimità alle strutture democratiche attraverso il voto.
L’“antipolitica”, quindi, non sono in primis gli attuali movimenti di protesta, ma la diffusa situazione di disinteresse politico causato dalla gestione “ademocratica” da parte di tante istituzioni politiche, innanzitutto gli stessi partiti. I movimenti dei “Pirati” e di Beppe Grillo non fanno altro che reagire laddove invece i partiti istituzionali falliscono: aprire nuove forme di partecipazione diretta. Soprattutto l’uso potente di internet determina in questi movimenti – e in questo possiamo scorgere la più forte somiglianza tra il M5S e i “Pirati” – strutture di democrazia dirette e addirittura vicine all’anarchia, oltre ad essere il fattore di massimo pericolo per i partiti di struttura tradizionale i quali, dopo aver tentato la strategia di emarginarli tacendo o ignorandoli, ormai dimostrano segni di aperto nervosismo: in Germania i Pirati hanno raggiunto tra a aprile e maggio di quest’anno le due cifre nella percentuale nazionale (13%), mentre in Italia i Grillini nelle ultime elezioni in Sicilia si sono affermati con il 15% dei voti e a livello nazionale si stanno avvicinando alla percentuale del Pd. Con le loro strutture dirette si presentano come i partiti dei giovani, sia per il loro elettorato, che su internet è organizzato molto bene, sia per i loro candidati, che ad esempio nel caso delle regionali 2010 avevano per la stragrande maggioranza tra i 20 e i 30 anni.
Ma nella loro critica alla politica istituzionale e nel loro servirsi del “clima antipolitico”, i “Pirati” e M5S seguono due strade distinte: mentre i primi sono ab origine ispirati dall’ideale della “reale democrazia della rete” e tendono a ridisegnare l’idea di partito a partire dai meccanismi di internet, il M5S esercita, attraverso il suo leader, una forza carismatica contro il “sistema politico” italiano in quanto tale. In quest’ultimo caso, internet viene usato come principale mezzo di organizzazione e diffusione nonché di campagna elettorale, ma sempre visto come un mezzo nell’articolazione del suo antipartitismo. Mentre i Pirati si situano nell’«aria liquida di un nuovo illuminismo digitale», come lo esprimeva la presidente della Piratenpartei a Berlino, la strategia di Grillo è molto più indirizzata ad un attacco diretto alla realtà partitica italiana, a determinati processi parlamentari e partitici, e a certe decisioni e scelte politiche. Questa differenza principale si rispecchia anche nei rispettivi problemi interni che ormai non hanno risparmiato neanche questi movimenti: mentre i primi problemi interni che nascono nei partiti forti dei Pirati, come ad es. in quello tedesco, sono problemi di leadership, di gestione dei processi decisionali nati dall’anarchia della rete, una delle prime critiche italiane contro Grillo – sia dal di dentro che dal di fuori del movimento – è di non riuscire a differenziarsi abbastanza, pur nella totale gestione “personalistica” dello stesso, dalla situazione attuale dei partiti in Italia.
(1 − continua)