Il libro del papa su L’Infanzia di Gesù ha molti destinatari, si rivolge certamente al mondo degli studiosi delle sacre scritture ma è anche una lettura “edificante” – nel senso sano del termine, di sostegno e conforto ragionevole alla fede – per ogni comune cristiano. Il volume sull’infanzia completa la trilogia dedicata alla figura di Gesù; cronologicamente arriva per ultimo ma, come ha scritto il papa, costituisce “la sala d’ingresso” agli altri due. 



Quando l’allora cardinale Ratzinger concepì l’opera aveva in mente alcune tendenze per lui inaccettabili dell’esegesi moderna. La tentazione di ridurre a “mito” ogni pagina dei Vangeli: dalla narrazione dei re Magi fino all’evento centrale della Resurrezione, ogni fatto raccontato dagli evangelisti perdeva i suoi connotati storici fino a svanire in un etere di “simboli” o “metafore” considerati come una elaborazione successiva delle prime comunità cristiane. Lo studioso che allora guidava l’ex Sant’Uffizio intendeva confutare questo trend autodistruttivo, ma senza rinunciare all’esercizio del moderno metodo storico-critico, inglobato però in un approccio spirituale, di intimità intellettuale ed affettiva con il Fatto in questione.  



La premessa esistenziale era quella spiegata ieri, nell’udienza generale del mercoledì, quando Benedetto XVI ha contestato una famosa espressione di Tertulliano: Credo quia absurdum (“credo perché è assurdo”). Il papa è stato netto: “non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità”. 

Con questo spirito il papa si accosta alle sacre scritture, prendendo in esame le opinioni degli studiosi antichi e moderni, incluse le obiezioni mosse ai racconti evangelici dalla più demitizzante critica storica. Dialogo e confronto da cui esce rafforzata la sua certezza: “I Vangeli non raccontano storie, ma una storia reale”. 



Come spesso accade i giornali, soprattutto quelli on line, sono andati a cercare i dettagli curiosi che più si potevano prestare a titoli vendibili, del tipo: “Il bue e l’asinello fuori dal presepe”. In realtà nel libro il papa si limita a constatare come nei vangeli non si faccia mai menzione della presenza di questi animali attorno alla mangiatoia, ma non ha certo invocato una loro “cacciata” dalla stalla di Betlemme, anzi ha avuto parole di simpatia per questa pia e peraltro sensata tradizione popolare.

Le parti più belle, per i credenti (ma forse non solo per loro), sono quelle in cui Benedetto XVI utilizza le fonti della grande letteratura cristiana, per commentare alcuni episodi dei vangeli dell’infanzia. Ve ne propongo due, che a me hanno impressionato di più, come un assaggio per invogliare ad una degustazione più ricca e completa. 

 Il primo riguarda il sì di Maria, con quell’immagine meravigliosa del cielo e della terra che trattengono il fiato in attesa della libera risposta di quella ragazzina di Nazareth. E Bernardo che teme si tiri indietro non sentendosi lei all’altezza; e allora la invita ad essere, non umile, ma magnanima (per tutti noi):

«Creando la libertà Dio si è reso in un certo modo dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al “sì” non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come al momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, trattengano, per così dire, il respiro. Dirà “sì”? Lei indugia… Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta − le dice Bernardo – non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo “sì”!… È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana».

Il secondo brano è il commento alla stella dei Magi. Ratzinger cita, a sostegno dell’ipotesi della storicità, gli studi di Keplero e persino delle antiche “tavole cronologiche cinesi” secondo cui, nell’anno della nascita di Gesù, ci sarebbe stata una congiunzione dei pianeti Giove, Saturno e Marte, e una supernova il cui effetto luminoso potrebbe essere stato simile a quello della stella che suggerì la strada ai Magi. Ma al di là della plausibilità storica di questa ipotesi Ratzinger propone una riflessione, molto attuale anche ai nostri paganissimi giorni, sulla rivoluzione che Cristo ha portato nel rapporto fra l’uomo, il suo destino, e gli astri:

Gregorio Nazianzeno dice che nel momento stesso in cui i Magi si prostrarono davanti a Gesù sarebbe giunta la fine dell’astrologia, perché da quel momento le stelle avrebbero girato nell’orbita di Cristo. Nel mondo antico i corpi celesti erano guardati come potenze divine che decidevano del destino degli uomini. I pianeti portavano i nomi delle divinità… Entrando nel mondo pagano la fede cristiana doveva nuovamente affrontare la questione delle divinità astrali. Per questo, nelle Lettere dalla prigionia, Paolo ha fortemente insistito che il Cristo risorto ha vinto ogni Principato e Potenza dell’aria e domina tutto l’universo. In questa linea sta anche il racconto della stella dei Magi: non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella. Volendo, si può parlare di una specie di svolta antropologica: l’uomo assunto da Dio è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale più dell’universo intero...