È lecito offrire soldi (3500 dollari negli Stati Uniti e 300 in India) a donne drogate per non mettere al mondo dei figli? È giusto dare un incentivo economico ai bambini delle elementari per ogni libro letto? Si può pagare un homeless per fare la coda al posto nostro e prendere i biglietti che la città di New York offre gratis per lo spettacolo shakespeariano a Central Park? C’è qualche problema nel fare del bagarinaggio sulla messa del Papa al Yankee Stadium? Una società può mettere una polizza assicurativa sulla vita dei suoi dipendenti – che ha formato e per cui ha speso dei soldi – a loro insaputa? Si può mettere in vendita il nome da dare al proprio figlio?
Sono alcune delle centinaia di questioni che compaiono nell’ultimo libro di Michael Sandel: “Quello che i soldi non possono comprare”.
Michael Sandel è da sempre un pensatore interessante. Dagli attacchi degli anni 70 alla concezione liberal-kantiana di un io indipendente dalla società fino al bestseller di tre anni fa Justice, il professore di Harvard ha il dono di far pensare attraverso casi semplici e concreti.
Nel caso qualcuno volesse delle risposte: esiste un Project Prevention che paga donne drogate per la sterilizzazione, l’amministrazione Obama ha promosso un programma per la lettura con incentivo in Texas, gli homeless in fila erano moltissimi, nonostante le proteste della Chiesa la messa papale poteva costare più di 200 dollari, Walmart ha guadagnato 300mila dollari dalla morte di un suo dipendente (mentre la famiglia non ha avuto niente), il nome in vendita – per 500mila dollari – non ha trovato acquirente.
Il ragionamento di Sandel è semplice: il mercato ha invaso sfere della società che non gli competevano. Si è passati da un’economia di mercato a una società di mercato. Partendo dall’assunto che la morale è una questione privata e non è materia di dibattito pubblico, abbiamo lasciato che il mercato invadesse quasi ogni area della vita e i tecnici del mercato sono così diventati gli unici veri arbitri della società. Ciò che Sandel propone ha in fondo la più classica matrice aristotelica. Il metodo di valutazione di un oggetto dipende dalla natura dell’oggetto. Se il mercato va bene per giudicare inflazione, disoccupazione, depressione non è detto che esso debba entrare a valutare amicizia, educazione, amore, vita e morte. L’economia ha un’applicazione limitata e non è la scienza che studia l’intera gamma delle interazioni umane. Lo scotto che si paga a non rispettare la natura degli oggetti e a piegarli alle regole di mercato, è che si ottiene l’effetto contrario: i beni si corrompono e la società diventa ingiusta.
Visivamente, Sandel identifica questa trasformazione della società con lo skybox (il palco riservato) degli stadi: lo skybox è una creazione della mercificazione dello sport che non è più stato considerato – senza dibattito – un valore sociale non soggetto al mercato. D’altro canto, la creazione dello skybox, con la distanza che genera fra spettatori ricchi e poveri, incrementa a ogni partita la possibilità che lo sport non sia un luogo comune e corrompe la concezione dello sport stesso che diventa occasione di sfoggiare uno status symbol più che di godere del gioco.
L’osservazione di per sé non è originale (oltre ad Aristotele, l’economista Hirsch l’aveva già avanzata nel 1976) ma richiama a pensare a quale sia la natura degli oggetti in questione. Il punto originale è invece il dire che, visto che la natura, anche solo funzionale, degli oggetti non è sempre (e non è più) chiara, occorre una società che favorisca un dibattito acceso su tale natura. La finta discrezione e neutralità liberale sulle scelte morali ha di fatto privato la società di uno spazio comune. Partita dall’idea che qualsiasi scelta morale vada bene purché non leda la libertà altrui, e quindi purché non entri nel sacro spazio pubblico, la società liberale si è ritrovata ad avere un solo signore dello spazio pubblico – il mercato – che alla fine ha invaso anche lo spazio delle scelte private.
L’osservazione è acuta. Lascia più perplessi, invece, il tono moralista e un po’ nostalgico di molti giudizi – lo sport ha davvero qualcosa di sacro che non può essere alterato da uno skybox? – che in fondo tradisce qualche pregiudizio di troppo e una certa incomprensione della radice della libertà umana che sta anche al fondo dello sfrenato liberismo denunciato. È la libertà in quanto capacità del bene e del possesso che è anche all’origine del mercato. È la stessa libertà che ci fa premere per qualcosa di migliore. Non si calmerà la spinta del mercato solo dicendo che il mondo sarebbe più giusto e buono se dialogassimo sulla natura degli oggetti. Il dialogo proposto da Sandel diventa un calmante razionale interessante solo per certe persone già convinte della validità di alcuni valori.
Occorrerebbe, invece, capire come quel dialogo risponderebbe di più all’esigenza di qualcosa di meglio e di buono. È la natura totalizzante della libertà – e quindi l’assolutezza della verità e del bene – che andrebbero tematizzate e affrontate. Ma questa natura totalizzante e questa assolutezza dei beni a cui la libertà tende (imperfettamente) sono ben più impopolari del dire che il mercato non è tutto.