Fino all’11 di novembre si svolge a Firenze una grande agorà nella quale centinaia di illustri relatori, muovendo dalla riflessione sulla cultura, cercheranno di ragionare sul futuro del pianeta. Nella stessa pagina del Corriere che ne dava notizia, il 1° novembre, veniva pubblicata la relazione di Vandana Shiva contenete un’analisi feroce delle responsabilità delle classi dirigenti rispetto alla catastrofe che si sta abbattendo sul pianeta. Scrive Vandana Shiva che sta collassando drammaticamente un sistema economico basato sull’idea illusoria di una crescita senza limiti. Shiva non esita ad affermare che l’attuale modello economico e il dominio del capitale finanziario porteranno il nostro pianeta a una terribile agonia.
Più o meno negli stessi giorni, nelle pagine culturali di Repubblica si poteva leggere un articolo di Marco Lodoli che descrive lo stato penoso degli insegnanti frustrati di fronte a una nuova generazione di studenti che non li ascolta e vive anche nelle ore di lezioni nel mondo virtuale degli strumenti digitali di comunicazione. Lodoli sottolinea come questa barriera comunicativa tra gli insegnanti e i giovani studenti sta di fatto segnando la fine di ogni forma di umanesimo culturale a vantaggio di una rappresentazione del presente che non ha più alcun nesso con la memoria e con il passato, né letterario né filosofico. Sempre su Repubblica, descrivendo la giornata del self service, Ettore Livini scrive che si comincia al mattino con la colazione al distributore automatico, si continua col giornale letto sul tablet e il telelavoro, e infine, prima di addormentarsi, ci si confessa on line, e così l’intera giornata si vive senza relazioni umane in un vero luna park degli autonomi dove si risparmia tempo e si perde l’anima.
Nella pagina accanto Franco La Cecla sottolineava che ciascuno di noi si fida più del satellite che delle informazioni che gli fornisce il vicino di casa. In un numero successivo Stefano Bartezzaghi diceva che abbiamo affidato al computer competenze sempre più sofisticate ma non abilità che sono alla portata di un ragazzino, come tirare ad indovinare, raccontare una storia, interloquire in un discorso. Così, isolando la ragione dall’emozione si ottiene la tecnocrazia che è tirannica stupidità degli specialismi e riduzione dell’intelligenza a mera funzione di problem solving. Si è perduta l’intelligenza che lega gli specialismi fra loro e che, proprio per questo, è capace di creare nuovi orizzonti.
Di fronte a queste previsioni catastrofiche si resta esterrefatti ascoltando che il problema politico più rilevante sia quello di proporre un Monti bis dopo l’esperienza che abbiamo già fatto delle politiche di austerità. Il tema centrale della discussione politica congiunturale sembra che sia quello di creare un’alleanza tra progressisti e moderati che dovrebbe finalmente assicurare una maggioranza stabile a un nuovo governo dei cosiddetti tecnici. Ci troviamo di fronte ad una manifestazione schizofrenica di massa dove è scomparso il rapporto tra i diversi livelli del discorso e dove è stato drasticamente interrotto il rapporto tra la riflessione sulle sorti dell’umanità nella fase che stiamo attraversando e il discorso del potere quotidiano che si conquista sul terreno delle pratiche politiche correnti.
Un’enorme dissociazione fra pensiero e realtà che influisce drammaticamente sulla serietà e sulla coerenza dei discorsi che si svolgono su piani così diversi e distanti. Come potrà un’alleanza tra il Pd e l’Udc fronteggiare il problema della distruzione costante dell’ambiente e della dominazione ideologica della visione capitalistica che affida ancora alla crescita la salvezza dell’umanità?
Su questo terreno della congiuntura politica nessuno affronta il vero tema che è alla base della stessa doppiezza del linguaggio pubblico. Sarei proprio curioso di sapere cosa pensano i moderati del fatto che il neoliberismo, scatenato dalle politiche reganiane e dall’egemonia del monetarismo e influenzato dai poteri della grande finanza, continui a presentarci una versione dei fatti che non ha alcun rapporto con la realtà quotidiana della vita delle persone. Non si potrà avere infatti nessun vero cambiamento radicale se non si assume come punto di partenza per l’analisi e la proposta politica la crisi drammatica che investe il capitalismo nella fase attuale, in quanto incapace di produrre benessere diffuso ma solo strapotere e rapacità dei centri finanziari che dominano il pianeta distruggendone persino le risorse naturali e le ricchezze ambientali.
Una “conversione ecologica” come quella auspicata da Vandana Shiva richiederebbe una vera e propria rivoluzione culturale e in primo luogo una verifica della coerenza tra ciò che si predica nei convegni e ciò che accade nella realtà. Se questo non accade mi sento di denunciare questo doppio registro del linguaggio pubblico come un ennesimo tentativo di omologare il senso comune attorno a un nucleo di rappresentazioni mentali che inducono alla passività e all’impotenza.
Riflettere su questa situazione di scollamento e di doppio linguaggio del sistema mediatico porta a due considerazioni: o questa pratica di terrorizzare le persone con gli scenari apocalittici, e poi di far confluire tutto nella routine quotidiana della passività e dell’acquiescenza, è una strategia vera e propria per impedire che nulla cambi veramente e tutto rientri nella stupidità generale denunciata da Bartezzaghi (per cui anche Beppe Grillo entra nell’epoca in cui anche la demistificazione è diventata una manifestazione della stupidità); oppure bisognerebbe denunciare l’incoerenza manifesta dell’élite come una manifestazione di opportunismo e mancanza di onestà intellettuale.
Come si può denunciare l’antieconomicità strutturale di un sistema che sta cementificando la terra e poi partecipare in vario modo a progetti di crescita ispirati da economisti partecipi della grande collusione mondiale che invitano agli investimenti puri e semplici, senza porre il problema di una necessaria pianificazione del tipo di sviluppo compatibile con la sopravvivenza del pianeta?
Ha ragione Bartezzaghi: il disincanto del mondo che si è diffuso con pensieri e parole che mortificano la capacità creativa e progettuale dei popoli fa rientrare anche le demistificazioni e le critiche nella stessa logica di un sistema in cui il mondo non è diventato la favola nietzschiana, ma la chiacchiera vuota di cui ci ha parlato Adorno. Quello che sto cercando di dire è che la forma attuale della neutralizzazione della soggettività umana ha assunto la forma della chiacchiera universale in cui l’apparente innovazione lessicale non esprime che passività e acquiescenza.
La nostra epoca è diventata sempre più un’epoca delle chiacchiere in cui ciò che è venuto meno è uno dei vincoli strutturali del mondo che ci siamo lasciati alle spalle: la coerenza tra la parola e l’azione. Siamo esonerati dal problema di cambiare praticamente il mondo perché lo possiamo apparentemente cambiare attraverso parole che non hanno alcun riferimento alla realtà. Mai come nell’epoca che stiamo vivendo le parole che rappresentano i cambiamenti futuri sono diventate inerti testimonianze dell’impotenza creativa degli esseri umani.
Tutto rientra ormai nella logica dell’intrattenimento senza che si riesca a produrre alcuna reale modificazione dello sguardo sul mondo. L’eccesso di parole può produrre paradossalmente l’effetto di una grande afasia: nessuno riesce a cogliere i reali termini del conflitto tra poteri su cui è chiamato a prendere posizione. Nel mondo della chiacchiera scompaiono le testimonianze di vita che sono capaci di innescare un nuovo ciclo di pensieri. Francesco non ha promosso un convegno sui rapporti fra monachesimo e istituzione ecclesiale ma ha praticamente mostrato un’alternativa di vita. Come nello straordinario film Gli uomini di Dio, i monaci non andavano predicando la buona novella ma agivano come fratelli della comunità umana che li ospitava anche quando tra essa si nascondevano gli assassini delle loro vite.