Recensire il volume che contiene gli scritti scelti di Giorgio Feliciani (Le pietre, il ponte e l’arco. Scritti scelti, Vita e Pensiero, 2012), rappresenta, anche per l’attenzione con cui la curatrice Ombretta Fumagalli Carulli ha scelto i saggi da inserire nel volume, tra una produzione vastissima, che si estende dal 1965 al 2012, e per il rilievo che l’autore ha avuto in questi anni nella canonistica, una sorta di esame di coscienza. Non è possibile accingersi a scrivere queste righe senza interrogarsi su quanto la canonistica è debitrice a Feliciani, ma anche su quanto gli deve ciascuno dei cultori del diritto canonico.



Non è certamente questa l’occasione per entrare analiticamente nel merito del rilevante contributo dato in questi anni dal professore dell’Università Cattolica alle nostre discipline. Questo è emerso con chiarezza, il 30 ottobre, in occasione della presentazione del volume. Qui vorrei offrire solo qualche osservazione, anche a testimonianza del debito scientifico che sento di avere con lui, e dell’amicizia che ci lega da molto, moltissimo tempo.



Un primo rilievo che credo dover fare è che Giorgio Feliciani, e gli scritti scelti ne sono una evidente riprova è stato, e si è sempre sentito, un canonista. Dai suoi lavori emerge, forse con maggiore chiarezza che in altri maestri della scienza canonistica ed ecclesiasticistica italiana contemporanea, la centralità del diritto canonico, non come disciplina sussidiaria per il giurista cultore delle nostre discipline, ma come cardine intorno al quale può ruotare un percorso compiuto e fecondo di ricerca. 

I titolo delle sezioni del volume sono, a mio avviso, la prova di quanto abbia pesato questa scelta di portare gli occhiali del canonista, sia che si trattasse di volgere la propria ricerca a temi nuovi, che di riprendere il filo di ricerche aperte da altri studiosi. 



Il tema della legge visto attraverso lo studio della codificazione, apre ad una riflessione sulla consuetudine e sul contributo che le diverse scuole hanno offerto all’approfondimento delle problematiche canonistiche, alle pluriformi articolazioni del popolo di Dio, nel loro profilo associativo e istituzionale, allo studio della compresenza nella Chiesa delle dimensioni universale e particolare e al progressivo precisarsi, dopo il concilio, delle istituzioni nelle quali hanno trovato la loro rilevanza giuridica, al tema dei beni culturali di interesse religioso, che, se aveva trovato un primo riscontro nel testo degli accordi di Villa Madama, è stato oggetto di una serie di scelte del legislatore canonico, particolare e universale, che ne hanno fatto uno degli oggetti di studio più interessanti per i cultori del diritto canonico del post-concilio. Anche un tema classico, come quello del rapporto tra Chiesa e Stato, trova negli scritti di Feliciani una declinazione originale.

Si tratta, se vogliamo essere sintetici, della riscoperta del diritto canonico come diritto che regola tutti gli aspetti della vita di quella società che è la Chiesa, potremmo dire del diritto canonico come diritto vivente, sottratto a quella visione che sembrava ridurlo essenzialmente a diritto matrimoniale, del quale, e in questo sta la lezione di Feliciani, il giurista sa cogliere i problemi nuovi ed esaminarli con la sagacia di chi sa che il diritto, anche quello canonico, è regola di una società complessa e viva, che pone sempre nuovi interrogativi e fa emergere aspetti nuovi delle questioni antiche. In questa consapevolezza profonda, che diventa metodo di indagine si radica, almeno a mio avviso, l’unità che traspare nella varietà dei temi trattati da Feliciani, di cui questo volume offre una felice testimonianza. 

Nel saggio sulla prima codificazione canonica, che apre il volume, troviamo una delle prime riflessioni su un tema di ricerca tra i più originali e nuovi affrontati da Feliciani. Il tema della codificazione gli ha permesso di incontrare altre questioni canoniche, come si evidenzia anche dal soggetto degli altri due saggi, la consuetudine, nella quale si concretizza il tema della legge canonica che proprio la codificazione pone in termini nuovi, e quello delle scuole canonistiche del secolo scorso, che Feliciani ha frequentato sia nel ruolo di presidente dell’associazione internazionale dei canonisti, svolto per molti anni, sia per l’attenzione posta alla cultura soggiacente al sapere giuridico dei maestri del diritto canonico di cui ripercorre la biografia scientifica.

La seconda sezione mette in luce due altri temi peculiari del lavoro di ricerca di Feliciani, la riflessione sui fedeli e sulle forme nuove del loro associarsi nella Chiesa e, contemporaneamente, l’attenzione all’aspetto istituzionale della Chiesa. Nel guardare a questi due aspetti della vita del popolo di Dio, egli ne coglie l’implicazione reciproca e l’interdipendenza. Credo importante sottolineare che il diritto di associazione era stato sino al concilio un problema minore, riscoperto nel momento in cui l’assise ecumenica ripropone l’immagine della Chiesa come popolo di Dio e la scuola di Navarra pone il problema dei diritti fondamentali dei fedeli. Anche per questo aspetto si può sostenere che Feliciani coglie il dispiegarsi di questo fenomeno, potremmo dire allo statu nascenti e studia la difficoltosa storia della legislazione che li disciplina.

L’attenzione alla dimensione istituzionale trova ampio riscontro nei saggi presenti nella terza sezione del volume. Non posso non richiamare qui la monografia dedicata nel 1974 alle conferenze episcopali, una monografia che ha segnato una radicale novità per la canonistica. In essa l’attenzione al diritto positivo che regolava un istituto sostanzialmente nuovo per l’ordinamento canonico, nato e vivente prima di essere organicamente disciplinato, lo porta a vedere la ricostruzione storica non come una premessa ultimamente sovrastrutturale per l’indagine giuridica, ma come ricerca capace di dar conto dell’articolarsi di una società che precede il suo essere normata dal diritto.

I saggi compresi nella terza sezione su universalità e particolarismo nella Chiesa che riguardano le conferenze episcopali, e il loro coordinamento, ma anche le implicazioni per le altre istituzioni ecclesiastiche derivanti dal loro sviluppo, offrono uno spaccato della sensibilità di Feliciani a cogliere l’interagire, non solo delle dimensioni  universale e particolare della Chiesa, ma anche del profondo mutamento delle istituzioni ecclesiastiche nel corso dei cinquanta anni che sono intercorsi dopo il concilio. 

L’ampiezza di prospettiva con cui è guardato l’istituto delle conferenze episcopali, che spazia dall’analisi della loro disciplina nel recente direttorio della Congregazione dei vescovi al diritto complementare prodotto dalle conferenze nei paesi di missione, si accompagna ad un esame attento dell’evoluzione di un istituto tipico del diritto canonico particolare italiano, come le regioni ecclesiastiche, per arrivare a due questioni molto tormentate, come la complessa storia del riordino delle diocesi in Italia e lo studio sulla prima riforma organica della curia romana, quella di Pio X.

 

La quarta sezione tocca uno dei temi più frequentati  da Feliciani e intorno ai quali è emersa con maggiore puntualità la sua capacità di sintetizzare approcci diversi. La stessa nozione di bene culturale di interesse religioso, rappresenta una novità che deve all’apporto del nostro autore, se non la cittadinanza, certamente un lavoro che ne ha ricostruito, con accurata sensibilità giuridica, la fisionomia nei suoi aspetti più originali. In effetti, rifiutato in sede di codificazione canonica, il lemma beni culturali aveva avuto il suo battesimo in sede concordataria. E da quel momento la dottrina canonistica ha cercato, da un lato, quali fossero i caratteri che assumeva nell’ordinamento della Chiesa una nozione, quella di bene culturale, nata nei documenti internazionali, e dall’altra di qualificare sempre meglio il rapporto che veniva ad istaurarsi tra questa nozione e quella di interesse religioso che, superando definitivamente il mero interesse cultuale, che fino ad allora aveva segnato la legislazione statale, diventava il cuore della cooperazione, ciascuno nel proprio ordine tra Stato e Chiesa. Anche il saggio sui santuari cristiani, un tema che la canonistica aveva frequentato soprattutto in sede di contenzioso per l’applicazione dell’articolo 27 del concordato lateranense, mostra la capacità del nostro autore di rivisitare temi considerati dai più datati, se non scontati.

Questa capacità di rivisitazione intelligente e innovatrice si vede anche nei saggi che compongono l’ultima sezione dedicata alla Chiesa e ai «rapporti» con gli Stati. Il suo sentirsi “canonista” gli permette di cogliere pienamente l’impatto che su questo tema, peraltro tradizionale, hanno i nuovi soggetti che diventano protagonisti dei rapporti tra Stato e Chiesa. Il cogliere questa nuova soggettività non rimane spunto per una mera riflessione di politica ecclesiale, ma diventa occasione per qualificare con puntualità quanto di essa si è tradotto in diritto, in termini di nuove fattispecie di intese e di nuove potestà concesse all’episcopato. Anche il tema della laicità, ma potremmo ricordare la sua riflessione sul principio di sussidiarietà, segnalano l’attenzione a temi forse non inusuali, ma che rivelano ancora una volta una prospettiva di largo respiro.

 Infine non vorrei passasse inosservato un saggio sulla delicatissima questione delle nomine episcopali in Cina che rivela la sua attenzione a temi per così dire di frontiera, ma mostra, nel contempo, la sua disponibilità a porre la sua competenza giuridica al servizio della Chiesa universale.

Proprio su questo aspetto vorrei chiudere queste brevi notazioni per sottolineare un carattere che emerge da questi saggi, che si suole definire, in termini forse troppo facilmente accondiscendenti  ad una classificazione accademica divenuta luogo comune, scritti minori. Si tratta della capacità che Giorgio Feliciani ha sempre posseduto di tenere insieme approfondimento scientifico e fedeltà alla Chiesa; in particolare, attraverso quella che, nelle brevi parole con cui ha chiuso la presentazione di questo libro il 30 ottobre, ha definito la sequela al carisma di mons. Luigi Giussani. Si è spesso discusso in dottrina sul rapporto tra sapere e fede, in particolare nel caso dei cultori delle discipline canonistiche; credo che l’insegnamento di Giorgio Feliciani, nei suoi scritti, ma anche per chi l’ha conosciuto, negli anni della presenza in università, costituisca una testimonianza feconda per chiunque, credente o laico che sia, si appresti ad addentrarsi, con l’intento del ricercatore e del docente, nel mondo del diritto canonico.