“Le fiabe dei fratelli Grimm (o meglio, raccolte dai fratelli Grimm) dipingono semplicemente il paesaggio del tempo in cui presero vita, con l’aggiunta dell’elemento fantastico che a volte è rilettura del naturale (il bosco, il lupo, etc) altre volte è proiezione di timori atavici (la magia malvagia che sovverte il reale, le creature dell’incubo che invadono la pace delle case)”. Insieme a Alessandro Pedrazzi, psicologo e psicoterapeuta, contattato da IlSussidiario.net, parliamo di Jacob e Wilhelm Karl Grimm, meglio noti come i “fratelli Grimm”, linguisti e filologi tedeschi celebrati oggi da Google per il bicentenario della pubblicazione della prima edizione delle “Fiabe”. Nonostante le loro creazioni (tra cui Cappuccetto Rosso, il Gatto con gli Stivali, Biancaneve, Cenerentola, Hansel e Gretel) siano oggi fiabe dedicate ai più piccoli, in realtà le storie dei fratelli Grimm hanno spesso un’ambientazione oscura e tenebrosa, dove streghe, goblin, troll e lupi si rendono protagonisti di terribili fatti di sangue, così come voleva la tradizione popolare tipica tedesca. “Le favole raccolte dai due fratelli tedeschi erano cruente poiché cruenti erano i tempi e il rapporto delle persone con la morte – ci spiega ancora Pedrazzi -. E il morire era ben diverso da quello che ora avvertono coloro che vivono nella società Occidentale che, pur non essendo perfetta, tuttavia da 60 anni a questa parte ci ha preservato da guerre e altre calamità. Queste, infatti, in pochi attimi ci proietterebbero a contatto stretto con la paura e la caducità della vita quale era quella di secoli fa”.



Che tipo di effetti potrebbe provocare in un bambino una “vera” favola dei fratelli Grimm? In una società come la nostra, che tiene a una distanza forse troppo asettica tutti quanti dalla morte e il morire, in special modo i bambini, ecco che narrare ad un pargolo la crudissima fiaba “Il Ginepro” dei Grimm potrebbe sortire effetti magari poco piacevoli. Per questo motivo molte delle loro fiabe hanno nel tempo conosciuto rivisitazioni (anche da parte dei due filologi!) per incontrare il gusto dei lettori che andava via via affinandosi e “addolcendosi”.



Cosa accadeva invece ai tempi in cui queste storie furono raccolte? Evidentemente l’educazione impartita dalla fiaba, che è buona non solo per i bambini, andava dritta al punto e senza fronzoli come probabilmente era lo stile educativo dei genitori sette-ottocenteschi. La società era diversa e così erano i bambini, meno suscettibili alla turba emotiva per una semplice fiaba. Credo che potenzialmente anche un bambino di oggi possa tranquillamente metabolizzare i Grimm a meno che non legga negli occhi del genitore un turbamento, per così dire, anticipatorio.

Come è cambiata nel tempo l’educazione basata proprio sul racconto delle fiabe? La fiaba rimane fiaba e anche oggi si offre al bambino con il duplice fine dell’intrattenimento e dell’educazione, poiché tale racconto è costruito secondo dei modelli di semplicità, linearità e morale positiva, quindi adatti alle semplici logiche dell’infanzia. Parlando delle fiabe dei Grimm, si nota subito che esse si costruiscono celermente, senza troppe parti descrittive, attraverso l’azione di soggetti con uno scarso approfondimento psicologico ma che anzi incarnano categorie personologiche o sociali (il militare, la principessa, il povero, il ricco, il generoso, etc.). Inoltre la fiaba, a differenza di buona parte della letteratura, non porta, o tende a non far trasparire nessun personalismo artistico dello scrittore, mirando invece a un linguaggio universale e facilmente comprensibile ai bambini.



Cosa preferiscono però i bambini di oggi? I bimbi moderni sembrano prediligere racconti, e lo si deduce dai cartoni animati che guardano che sembrano essere le loro fiabe (e molte volte sono la riduzione cinematografica di vecchie fiabe), in cui i protagonisti sono psicologicamente sfaccettati, non facilmente incasellabili e a volte tormentati fra il bene e il male. Oltre a ciò, le descrizioni e gli ambienti in cui sono inseriti i personaggi sono saturi di informazioni audio-visive, motivo per cui il bambino spesso è investito da una massa di informazioni ben superiori rispetto a ciò che accadeva al consimile di un secolo fa (ma basta pensare a 30 anni fa!).

E’ un male? Non necessariamente. Anche in questo caso vedo come determinante il ruolo dell’adulto a mediare – che non è necessariamente censurare – l’informazione nei modi e nei tempi.

Crede sia giusto edulcorare e depurare le fiabe di ogni elemento che possa in qualche modo spaventare il bambino? Il bambino è un soggetto psicologico capace di capire e gestire la paura ben più di quello che si pensi comunemente. Se così non fosse tutti i bambini che hanno attraversato tempi di guerra, ovvero tutti i bambini della storia a parte le ultime due generazioni, sarebbero dei soggetti adulti pesantemente scompensati. L’elemento della paura, rappresentato dal mostro, la strega, il dinosauro, è qualcosa che attira invece molto il bambino, in un doppio moto di avvicinamento e fuga. L’adulto, ancora, è tenuto ad accompagnare il bambino in un iter di conoscenza di ciò che è temibile agli occhi del piccolo (e che spesso invece è cosa innocua) in modo da evitare che il bambino sviluppi delle dimensioni fobiche irrazionali. Altre cose dal bambino vanne temute, poiché è utile alla propria sicurezza, ma mai vissute con angoscia. Ciò che voglio far passare è che la fiaba più spaventosa potrebbe non essere così paurosa se raccontata nei modi giusti dai genitori.

Crede che le fiabe dei Grimm siano ormai “passate di moda” tra i genitori di oggi?

Forse un po’ sì. Probabilmente sì nella misura in cui noi intendiamo la fiaba narrata al bambino mentre si appresta al sonno o, ancor più romanticamente, davanti al camino. Certo, occorre che ci siano genitori che abbiano voglia di comprare libri e leggere, si trattasse anche “solo” di ebook. Ma non disperiamo. Di certo non muore la fiaba come forma di comunicazione allegorica, come metafora della vita o di parti di essa.

Hanno ancora un valore pedagogico fiabe di questo tipo? Buona parte delle cose che ci circondano hanno un valore pedagogico, così la fiaba che sembra ancor più connaturata ad educare. Ma riallaccandomi alla domanda precedente, direi che la fiaba educa a doppio livello: non solo educa il bambino tramite il racconto e la morale in esso, ma educa anche l’adulto alla narrazione della fiaba stessa. Ovvero il solo narrare fiabe, mi piace pensare, è un atto di buona educazione. Non dimentichiamo che il valore altamente pedagogico della fiaba trascende questa o quella storia ma è invece legato all’atto di un genitore che dedica tempo di qualità al proprio figlio, che è una cosa che il piccolo non avverte sul piano razionale ma avverte con pienezza a livello emotivo.