Wigilia, oplatek, koledy, questi i momenti centrali delle festività e del periodo natalizio in Polonia. Si tratta di gesti e simboli carichi di significato e che richiamano al significato più vero del Natale.
Giovanni Paolo II durante un incontro con i polacchi il 20 dicembre del 1997 disse: “Nel nostro modo di festeggiare il Natale un posto importante è occupato dalla tavola attorno alla quale si riunisce tutta la famiglia, per pregare, condividere l’oplatek, scambiarsi gli auguri e consumare la cena della Vigilia. Per una nostra bellissima tradizione si lascia un posto vuoto per qualcuno che può arrivare all’improvviso, per uno sconosciuto. Questi semplici gesti hanno un significato molto profondo. Sono il segno della bontà del cuore dell’uomo, che vede nell’altro, soprattutto in chi è nel bisogno, la presenza di Cristo che ci invita ad accogliere il fratello e la sorella in un clima di calore familiare, come dice un vecchio proverbio polacco ‘Ospite in casa, Dio in casa’. La tavola della Vigilia in qualche modo crea e costruisce la comunità umana. Questo significato della tavola diviene ancora più chiaro nel pane dell’oplatek che ognuno può prendere per condividerlo con gli altri. L’amore, il perdono, la pace con Dio e con gli uomini trovano la loro espressione più bella in questo straordinario gesto della Vigilia”.
In Polonia, il momento più importante del periodo natalizio è la Vigilia, la cui tradizione è talmente radicata nell’animo polacco che viene osservata in tutte le case, anche da chi non è particolarmente legato alla vita della Chiesa.
La giornata della Vigilia di Natale, durante la quale si osserva il digiuno dalle carni, di solito inizia piuttosto presto: tutti i componenti della famiglia collaborano alla preparazione della cena, che, secondo la tradizione, deve essere rigorosamente di magro, ed inizia dopo il tramonto, quando in cielo compare la prima stella, che, come accadde ai Re Magi, annuncia a noi pagani la nascita del Signore (in genere il compito di annunciare la comparsa della prima stella è affidato ai bambini di casa).
La tavola viene apparecchiata in un modo del tutto particolare: la tovaglia deve essere rigorosamente bianca, sotto di essa si sparge una manciata di fieno per ricordare la mangiatoia in cui è nato Gesù, al centro si pone una ghirlanda con una candela accesa (la Luce è entrata nel mondo), accanto alla quale viene posto un vassoio con del fieno su cui si trovano gli oplatek (ostie non consacrate rettangolari, con sopra stampigliate le immagini della Natività), si apparecchia un posto in più riservato simbolicamente a Cristo, o destinato ad un ospite inatteso, così che possa subito sedersi a tavola. Ha scritto una nota studiosa delle tradizioni polacche, Ewa Kossak: “Chiunque entri in una casa polacca durante la sera della Vigilia, occuperà quel posto e sarà accolto come un fratello. Benedetta la casa in cui giunge un ospite inatteso!”. Con il tempo, inoltre, in molte case si è affermato l’uso di invitare alla cena della Vigilia una persona sola, o in difficoltà, o come mi è accaduto più volte, uno straniero che in quel momento si trova in Polonia, perché non rimanga da solo.
La cena si apre con una preghiera, dopo di che il capo famiglia legge il brano del Vangelo di san Luca, o di san Matteo, sulla nascita di Gesù, poi si aprono le tende dalla finestra, così che rivolgendo lo sguardo alla stella più luminosa, ognuno si possa unire idealmente a chi è lontano, o non c’è più.
A questo punto ci si scambia l’opłatek. Il termine opłatek deriva dal latino oblatum, dono sacrificale, e risale al medioevo. Si tratta di una tradizione presente solo in Polonia. Inizialmente si svolgeva all’interno delle chiese, all’inizio della Messa di mezzanotte, e dal XV secolo si è diffuso in tutte le case.
È di nuovo il capo famiglia a dare inizio al gesto, in un clima di grande serietà e raccoglimento. Poi, ognuno dei presenti prende un opłatek, si avvicina ad un altro commensale, gli chiede scusa per quanto di male è accaduto durante l’anno, e gli fa gli auguri per l’anno a venire. A questo punto, in segno di riconciliazione, ciascuno spezza e mangia un pezzo di opłatek dell’altro. Solo quando tutti si sono scambiati l’opłatek, ci si siede a tavola.
L’opłatek è uno dei gesti più carichi di significato e di simboli di tutta la tradizione natalizia polacca. Innanzitutto esprime il desiderio di “essere insieme” nella pace, è un segno di amicizia e di amore reciproco. Quindi, scambiandoci l’opłatek ci perdoniamo, dimentichiamo le offese, ci riconciliamo gli uni con gli altri, ma allo stesso tempo riconosciamo che questo è possibile solo grazie a quel Bambino, di cui l’opłatek riporta l’effigie. Il perdono, la riconciliazione, l’unità tra gli uomini, sono possibili perché radicati in quanto accaduto a Betlemme in un notte di duemila anni fa. La cerimonia dell’opłatek è talmente radicata e diffusa nella coscienza polacca, che nel periodo precedente il Natale spesso viene organizzata nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro o fra gruppi di amici.
Dopo l’opłatek tutti si siedono a tavola e si dà inizio alla cena, che dovrebbe essere composta da dodici portate, come gli Apostoli. Dopo la cena, si aspetta di andare alla Messa di mezzanotte, la Pasterka, cantando le kołedy, gli inni natalizi polacchi, che vengono poi cantati per il tutto il periodo liturgico del Natale. Spesso i vicini di casa si riuniscono in un unico appartamento, o i bambini vanno di casa in casa e si canta tutti insieme.
“Giovane o anziano, credente o agnostico, dov’è un polacco per il quale le melodie di Dio nasce… Nella notte silente… Giace nella mangiatoia… non siano parte dell’anima? Esse sono indissolubilmente unite all’essere polacco, di cui sono il coronamento e l’orgoglio”, scrive giustamente Ewa Kossak, cui fa eco lo studioso delle kolędy Stanisław Dobrzycki: “Forse in nessun altro paese gli inni natalizi sono così profondamente legati allo spirito della nazione, così singolarmente amati e custoditi da tutta la nazione come in Polonia”. Mentre il grande vate della poesia polacca, Adam Mickiewicz, annota: “Non so se un altro paese possa vantare una raccolta così ampia come quella polacca. Parlo della raccolta di cantici natalizi che sono il primo esempio di poesia popolare nazionale. I sentimenti che descrivono sono così delicati e sacri che una traduzione potrebbe renderli banali. È difficile trovare in qualsiasi altra poesia delle espressioni così pure, così dolci e così delicate”.
Il termine kolęda (dal latino calenda, inizio), risale al XVII secolo ed indica esclusivamente l’inno natalizio e la visita che il sacerdote fa alle famiglie della parrocchia in occasione delle festività natalizie.
Il testo della kolęda più antica risale al 1424, ma probabilmente le prime kolędy furono composte in ambiente francescano già nel Medio Evo. Invece, il periodo di massima produzione furono i secoli XVII e XVIII, cui risalgono alcune fra le kolędy più belle e famose, alcune delle quali seguono la melodia e il ritmo della polonaise o di altre melodie popolari. Sono quasi 500 i testi di kolędy giunti fino a noi e vanno dalle ninna nanne al piccolo Gesù agli inni in cui vengono descritti la nascita di Gesù, l’omaggio dei pastori, lo stupore di tutta la natura, il gelo della grotta e la dolcezza di quella notte straordinaria in cui anche gli animali trovarono la parola. Con il tempo i testi si arricchirono di altri episodi dell’infanzia di Gesù, dalla strage degli Innocenti, alla Fuga in Egitto, al sogno di san Giuseppe e a volte vi sono riferimenti al momento storico che stava vivendo la Polonia, vi sono quindi kolędy che hanno una connotazione patriottica, in cui sono evidenti i riferimenti alle insurrezioni contro gli occupanti, al mondo operaio, alle vicende della Seconda guerra mondiale, o, in tempi più recenti, ai campi di internamento.
Alcuni fra i più famosi poeti della letteratura polacca, come ad esempio il più grande poeta polacco del sedicesimo secolo, Jan Kochanowski, o il premio Nobel Juliusz Słowacki, hanno scritto il testo di alcune fra le kolędy più famose, così come alcuni fra i più importanti compositori ne hanno scritto la musica.
Nel 1831 Fryderyk Chopin, mentre era in esilio in Francia attinse ad una delle kolędy più antiche e più famose, il Lulajże Jezuniu (“Ninna nanna piccolo Gesù”), una kolęda-ninna nanna del Seicento, e la inserì nello Scherzo n.1 op. 20.
Lo Scherzo inizia con un ritmo frenetico e convulso, segno della disperazione del compositore per le sorti della Patria e per l’esilio cui è costretto, tanto che il primo editore, contro il parere dello stesso Chopin, volle dargli il sottotitolo di Banchetto infernale. Chopin trova un momento di pace solo nel legame con la memoria della tradizione natalizia della sua Patria, quando nel secondo movimento riprende la melodia del Lulajże Jezuniu, che si sente in sottofondo, poi lo Scherzo si chiude nel terzo movimento con un nuovo grido di dolore.
Giovanni Paolo II amava trascorrere il periodo di Natale “in famiglia”, invitando in Vaticano i suoi vecchi amici: alcuni compagni della scuola di Wadowice e del seminario di Cracovia, e alcuni componenti della sua prima comunità universitaria, la Famigliola, quando era ancora un giovane sacerdote nella parrocchia di san Floriano. Con loro condivideva la cena della Vigilia, scambiava l’opłatek e trascorreva le serate del Tempo di Natale cantando le kolędy. Lo fece anche nel corso dell’ultimo Natale, quando era ormai debolissimo per la malattia, come riferiscono alcune testimonianze rese durante il processo di beatificazione.
Negli auguri ai suoi compatrioti in occasione del Natale del 1996, disse: “Dio nasce. Figlio di Dio alza la Tua mano e benedici la cara Patria, (…) donale pace e forza (…) le kolędy non solo appartengono alla nostra storia, ma in un certo senso creano la nostra storia nazionale e cristiana. Bisogna che non perdiamo questa ricchezza della nazione. Per questo oggi condivido con voi l’opłatek della Vigilia e vi auguro, amatissimi compatrioti, sia che siate in Patria, o qui a Roma, o in qualunque altra parte del mondo, di cantare le kolędy pensando a ciò che ci dicono, al loro contenuto, e che in esse ritroviate la verità dell’amore di Dio, che per noi si è fatto uomo”.