Alberto Leoni è un appassionato e straordinario storico (o forse meglio “storiografo”, come amo precisare quando parlo di me e dei miei libri di storia). Al suo attivo ha opere come La Croce e la Mezzaluna e La “quarta” guerra mondiale, tra i principali suoi lavori pubblicati dalla Ares, la Casa editrice diretta da Cesare Cavalleri che continua ad arricchire il patrimonio culturale italiano ad onta della crisi dell’editoria in corso. Ora, sempre per l’Ares, Alberto Leoni ha scritto quello che può considerarsi il lavoro storico più completo e più appassionante sull’Italia travolta nella seconda guerra mondiale. S’intitola Il paradiso devastato. Storia militare della campagna d’Italia 1943-45 (496 pagine).



Da bambino (è nato nel 1957), nella sua Romagna, gli capitò più volte di soffermarsi sui cimiteri di guerra che in quella regione sono più d’uno. È da lì che ha preso le mosse la sua decisione di cimentarsi in questa gigantesca opera storica. «Leggere le epigrafi e i simboli di quei luoghi», scrive nella introduzione al volume, «fa comprendere la complessità e la caratteristica straordinaria di quel periodo della storia italiana: si riconoscono la foglia d’acero, emblema dei canadesi, la felce dei neozelandesi, la gazzella dei sudafricani, i pugnali incrociati dei gurkha. Quando ero piccolo», continua, «non capivo perché tanti giovani fossero venuti da ogni parte del mondo a morire qui, fra le colline dell’Italia centrale, così come non capivo, durante le lezioni di storia alle elementari, perché l’Italia avesse perso la guerra e i nostri Alleati l’avessero vinta».



Un’antica passione, dunque, che spiega perfettamente la decisione di Alberto Leoni di gettarsi in questa impresa non certo facile. Egli è riuscito infatti a ricostruire – con stile perfettamente agile e comprensibile, nella classica tradizione divulgativa che rende la lettura (priva dei continui e stressanti richiami alle note tipici dei lavori scientifico-accademici) piacevole per tutti – gli eventi fondamentali dei ventidue mesi più drammatici non solo della storia contemporanea, ma, sicuramente, di tutta la storia d’Italia, quei mesi che vanno dal luglio 1943 (invasione della Sicilia e crollo del fascismo con la riunione del Gran Consiglio del 25 luglio e conseguente arresto di Mussolini) all’aprile 1945, seguìto dal 2 maggio, giorno in cui ebbe termine non solo in Italia, ma in tutta Europa, la seconda guerra mondiale. 



L’attenta, scrupolosa e completa descrizione degli eventi più importanti e più drammatici di quel periodo, ha inizio con la «strana resa» di Pantelleria e di Lampedusa e prosegue poi con l’armistizio dell’8 settembre e la fuga da Roma del Re e del Governo Badoglio. Nasce frattanto, con la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso ad opera dei paracadutisti tedeschi, la Repubblica Sociale Italiana alla quale Leoni dedica un capitolo con il significativo titolo: «Gli altri che non si arresero: la nascita dell’esercito della Rsi».

Il capitolo quarto racconta le battaglie che si svolsero tra Salerno (luogo del secondo, massiccio sbarco Alleato) e la Linea Gustav, con nomi scolpiti nella storia, come Volturno, Sangro, Montelungo e Ortona, detta «la Stalingrado d’Italia». 

Uno dei capitoli più coinvolgenti è il quinto, intitolato «L’inferno di Cassino e la tragedia di Anzio». Leggendolo, si capirà come fu possibile che, per l’ignoranza e la superficialità di certi alti comandi Alleati, venisse rasa al suolo la più celebre Abbazia del cattolicesimo, con centinaia di vittime innocenti, abitanti delle zone vicine che avevano trovato rifugio presso i frati per cercare di scampare alla pioggia continua di bombe.

Decisamente amaro da digerire, ma fondamentale per la grande onestà con cui è scritto, il capitolo sesto dedicato a «Gli italiani e la guerra civile». Già il titolo fa comprendere la necessità, e il dovere, di chiamare le cose con il loro nome. La Resistenza ci fu, e fu anche una cosa nobile ed esaltante, ma non mancarono certo violenze gratuite ed eccessive, a cominciare dalle stragi naziste sulla Linea Gotica (da Marzabotto a S. Anna di Stazzema), per finire a certi attentati inutili come quello di via Rasella. Da un punto di vista militare può senz’altro considerarsi esaustivo e molto ben documentato il capitolo settimo, dedicato alle battaglie sulla Linea Gotica. Ma non vengono trascurati neppure gli avvenimenti che un giudizio affrettato potrebbe definire marginali. Così, grazie alla scrupolo dell’Autore, veniamo a sapere tutto delle «repubbliche partigiane», come pure della «battaglia di Firenze», della «rossa primavera» e così via. 

Da non perdere l’attenta ricostruzione delle ultime ore della Repubblica di Salò, con gli eventi di Dongo e di Giulino di Mezzegra. Mussolini fucilato il pomeriggio del 28 aprile 1945 dinnanzi al cancello di Villa Belmonte? Una favola ormai messa da tempo in soffitta e definitivamente seppellita anche grazie al lavoro di Leoni, che elenca scrupolosamente le varie ricostruzioni tentate fino ad oggi (e mai finite) circa la fine di Mussolini e della sua amante. Fondamentale, infine, il capitolo nono, intitolato «La guerra dopo la guerra», che non nasconde nulla, ma proprio nulla, sulle orribili vendette seguìte al 25 aprile 1945, che portarono alla morte di più di 20 mila fascisti o presunti tali, non certo tutti colpevoli di infamie o di efferatezze. Semmai, infami ed efferati furono coloro che vollero macchiarsi le mani col sangue dei vinti.

Tornando ora al vero significato di questo libro, e alla sua importanza, non si può non condividere il giudizio di Leoni, secondo il quale la guerra in Italia del ’43-’45 è paradossalmente ignorata dalla gran parte dei giovani. È proprio vero: non abbiamo mai fatto davvero i conti con quel passato, di cui oggi, in Italia, si tende a ricordare soltanto il ruolo avuto dalla Resistenza, come se tutti quegli eserciti siano stati solo comparse. L’obiettivo dell’opera di Leoni era di ricostruire una memoria condivisa e collettiva. Pienamente riuscito. A tutt’oggi, uno studio complessivo e riassuntivo sulla Campagna d’Italia mancava proprio. Adesso c’è.