Il dies natalis è il giorno in cui l’uomo nasce alla vita nuova in Cielo. Quella che comunemente noi chiamiamo morte è indicata dalla tradizione della Chiesa come giorno della nascita. Il 4 dicembre è il dies natalis di Santa Barbara che subisce il martirio per decapitazione a opera dello stesso padre. L’anno non è certo, dal momento che le differenti fonti che ci hanno tramandato la memoria della santa divergono al riguardo. Il martirio sarebbe avvenuto o sotto l’Impero di Massimino Trace (235-238) o di Massimiano (286-305) o sotto Massimino Daia (308-313). In ogni caso, prima dell’Editto di Milano emanato da Costantino di cui si sta già ora celebrando la ricorrenza bimillenaria e che estese la libertà di culto a tutti i cittadini dell’Impero romano. Le fonti scritte che ci raccontano di lei, ovvero le passiones, i libri della passione o martirio della santa, divergono pure sull’origine della santa, proveniente più probabilmente dalla Nicomedia oppure da Eliopoli o ancora dalla Toscana.
Santa Barbara è una santa molto popolare (stasera Raiuno la ricorda con un film per la tv), molto rappresentata nella tradizione artistica (basti pensare a Botticelli, Raffaello, Pinturicchio, Lotto), che ha, invece, meno interessato la storiografia, abbastanza scarsa. Non dimentichiamoci, però, che monumenti (cioè «memorie») del passato sono anche quelle tradizioni consegnate ai posteri che si differenziano dalla scrittura.
In breve la storia. Il ricco padre pagano di nome Dioscuro custodisce Barbara in una torre (elemento che compare nell’iconografia tradizionale assieme alla palma, alla corona, alla spada o al ciborio con l’ostia tenuta sopra di esso), geloso della sua straordinaria bellezza, deciso a proteggerla dai tanti pretendenti. La torre-prigione di Barbara viene dotata di un grande bagno. Un giorno, partito il padre, Barbara, che già da tempo ha consacrato il suo cuore a Cristo, coglie l’occasione per farsi battezzare e in segno della sua fede nella Santissima Trinità fa costruire nella torre in cui è rinchiusa una terza finestra.
Accortosi della fede cristiana della figlia, il padre cerca di sottoporla più volte a punizioni e supplizi. «Dioscuro […] la trascina davanti al giudice, che procede crudelmente nei suoi confronti. Cristo stesso, però, le infonde forza e le dà una compagna in Giuliana. Ma il tiranno vuol colpire Barbara al cuore. Pertanto fa spogliare la giovane, per esporla nei mercati della regione agli sguardi cupidi di una folla curiosa. Barbara invoca Dio che riempia il cielo di nuvole e la terra con la nebbia del mattino e della sera. E Dio ascolta la sua preghiera» (Peter Manns).
Alla fine Barbara è condannata alla decapitazione a opera del padre, che viene poi incenerito da un fulmine subito dopo. Per questo motivo Santa Barbara viene assunta a patrona di quanti trattano esplosivi o di coloro che sono esposti a morti improvvise oltreché di tante categorie di lavoratori come i vigili del fuoco, gli armaioli, gli artiglieri, i muratori. «Signore, per intercessione di Santa Barbara concedici di ricevere il sacramento prima di morire» così si prega la santa. La sua figura è, dunque, un richiamo alla vigilanza, alla vicinanza a Cristo attraverso il sacramento, alla preghiera, all’offerta totale di sé.
Gioverà ora ricordare che martirio significa, nel suo etimo greco, «testimonianza». Di cosa ha reso testimonianza Santa Barbara? Qual è la sua importanza storica? Al di là delle discordanze su alcuni elementi biografici, la storicità del personaggio non è messa in discussione. Barbara porta già nel suo nome il destino di essere «straniera» nella propria casa e nella propria terra, come recita il nome «barbaro» che in greco significa per l’appunto «straniero». Lei era nel mondo, ma non del mondo, poiché era di Cristo.
Il suo esempio, come quello di tanti altri martiri, dal I secolo all’inizio del IV secolo, è stato una testimonianza che ha convertito in poco tempo l’Impero romano. L’epoca in cui vive è un periodo di grave crisi politica e militare per l’Impero che ha attraversato l’anarchia militare (235-285) in cui si succedono decine e decine di imperatori morti spesso di morte violenta. Anche il tentativo di Diocleziano di riportare l’ordine e di amministrare il vasto Impero attraverso la tetrarchia si dimostra ben presto fallimentare. La crisi economica e militare, le frequenti carestie, la barbarizzazione dell’esercito coronano un quadro di crisi ampia e generale di cui i cittadini romani prenderanno coscienza solo qualche decennio più tardi.
Quando i Visigoti di Alarico saccheggiano Roma nel 410, il sacco viene percepito come un evento epocale in tutto l’Impero e nel De civitate dei Sant’Agostino parla della nuova città di Dio che si realizza in Terra, un mondo e una civiltà nuovi, cui tutti gli uomini possono appartenere. Siamo molti anni prima di quella che è considerata la fine ufficiale dell’Impero romano, collocata nel 476. Eppure i segni della crisi sono ben visibili già all’epoca di Santa Barbara. La salvezza dell’uomo non proviene dalle riforme politiche, dalla sostituzione di un imperatore con un altro, dal mutamento della forma di governo dello Stato.
Che cosa tiene di fronte a uno Stato romano che nel 247 ha celebrato con l’Imperatore Filippo l’Arabo i mille anni di storia, ma che è in una profonda crisi da cui sembra non potersi più rialzare? Su quale certezza fondare la propria vita? «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene, nel quale trova la maggiore soddisfazione» (San Tommaso d’Aquino). Affascinata dall’incontro con Cristo, Barbara non rinnega la fede e la sua decisione di offrirsi in maniera totale a Lui. Grazie all’appartenenza a Lui Barbara ha potuto stare di fronte a tutte le circostanze, anche alla morte, certa del compimento e del destino buono. «Vi saranno un nuovo cielo e una nuova terra» (Sant’Agostino). Questo nuovo mondo, questa rinascita sono già ora, ovunque si incontrano uomini certi e cambiati dall’incontro con Cristo.
L’epoca in cui vive Santa Barbara ricorda l’epoca attuale attraversata da una grave crisi (culturale, politica, economica, ecc.). La prima grande risorsa per uscire dalla crisi, allora come oggi, risiede nella persona che vive pienamente il dramma del suo desiderio di compimento nella ricerca di Dio. «Il secondo motivo della […] speranza consiste nel fatto che il Vangelo di Gesù Cristo, la fede in Cristo è semplicemente vera. E La verità non invecchia» (Papa Benedetto XVI).
Come scrive Tertulliano nell’Apologeticum: «Il sangue dei martiri è seme dei cristiani». Questo è il miracolo più grande, la conversione del mondo a Cristo attraverso la testimonianza di uomini, in carne e ossa, che, con la loro umanità, al di là di ogni patina edulcorata e leggendaria, hanno riconosciuto che solo in Cristo trova compimento la loro domanda di felicità. Recita Dante nel canto XXIV del Paradiso: «Se ‘l mondo si rivolse al cristianesimo […] sanza miracoli, quest’ uno/ è tal, che li altri non sono il centesmo:/ ché tu (san Pietro) intrasti povero e digiuno/ in campo, a seminar la buona pianta/ che fu già vite e ora è fatta pruno». Quanto Dante ha scritto su san Pietro è valido per tutti gli altri santi, che sono stati testimoni così credibili di Cristo che chi li incontrava o si convertiva o, infastidito dalla loro letizia profonda, cercava di eliminarli o di ridurre la loro esperienza.
Santa Barbara «conserva nella sua trasparenza per Cristo una forza di attrazione notevole che invita anche gli uomini del giorno d’oggi a percorrere il cammino della santità» (Peter Manns).