«Dio non si è chiuso nel suo Cielo, ma si è chinato sulle vicende dell’uomo: un mistero grande che giunge a superare ogni possibile attesa». Così Benedetto XVI, qualche giorno fa, iniziava il suo intervento ai giovani universitari durante i primi vespri di Avvento, sabato 1 dicembre.
«Dio non si è chiuso nel suo Cielo»: non è un Dio distante, quello cristiano, un Dio chiuso nel suo spazio divino, assoluto, iperbolico e “iperuranico”. Non è un Dio che rimane a guardare dal di fuori della realtà, ma un Dio che si china sull’uomo, cammina con lui, facendo un tratto di strada insieme: un Dio vicino all’uomo, tanto da entrare nella storia e farsi compagno. Da quel momento, tutto ciò che l’uomo pensava di Dio ha subìto uno strano mutamento: gli stessi uomini che hanno condiviso con questo “nuovo Dio” un tratto della loro vita (tre anni, ci dicono le narrazioni storiche) hanno iniziato a rifarne l’esperienza, condividendo con quanti incontravano la speranza che Lui aveva suscitato in loro. Così Pietro, il pescatore, riluttante, incontra il primo pagano e lo battezza, e Paolo di Tarso decide di parlare nell’areopago di Atene, culla della cultura pagana e laica, come diremmo oggi. Allora, come adesso, i cristiani non solo non hanno mai smesso di annunciare ciò che avevano incontrato, ma hanno anche cercato sempre nuovi modi per comunicarlo e testimoniarlo, tenendo conto sia degli interlocutori sia dei contesti, seguendo – anche in questo – ciò che Gesù stesso aveva mostrato loro quando si rivolgeva agli scribi, ai farisei, ai poveri, alla gente.
Solo questo stesso amore a sé e al Destino, propri di Cristo, possono spingere un uomo di 85 anni a voler dialogare in una forma inaspettata e del tutto distante dalle proprie consuetudini, utilizzando uno dei canali innovativi più popolari. Il Papa non “sbarca” su internet con l’account twitter @Pontifex, o con la nuova App “The Pope” per iPhone, né si prepara a benedire la realtà virtuale a scapito di quella “materiale”, come veniva detto in commenti apparsi su alcuni dei quotidiani più letti della penisola italiana. Lo scopo perseguito da Benedetto XVI è ben altro, come ricorda nel suo messaggio per la prossima giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro: «A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo ‘continente digitale’». Questo è il motivo per cui il Papa entra nel mondo della rete: per mostrarci la strada facendo insieme un pezzetto di strada. Come Gesù con gli apostoli (e poi, questi ultimi con coloro che hanno incontrato), il Papa non vuole lasciar solo l’uomo “cibernetico”, ma desidera accompagnarlo implicandosi in prima persona. Non si tratta di prendere posizione rispetto a ciò che la realtà virtuale rappresenta o addirittura voler promuovere la sindrome giapponese “hikikomori” propria di chi si isola dal mondo reale: già altrove il Papa si era espresso contro il rischio di dipendenza da internet, rischio di confondere il mondo reale da quello virtuale sostituendo l’incontro reale con i contatti virtuali.



Analogamente a quanto è sempre avvenuto nella storia del cristianesimo, il Papa su Twitter non ha altro scopo che testimoniare la fede nell’unico Dio che si è fatto uomo: Gesù il nazareno. Senza, peraltro, che questo diventi dogma per i cristiani: il magistero ordinario del Papa, infatti, non assume alcun carattere di infallibilità, rimanendo solo una delle possibilità con cui credenti o non credenti possono avvicinarsi a Cristo.
A noi, pertanto, non resta che rammentare la raccomandazione di Paolo alla comunità di Tessalonica, giusto qualche anno prima dell’avvento di internet: «vagliate tutto trattenendone il valore».

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