Ha ancora senso oggi parlare di virtù? Il mondo delle emozioni ha a che fare qualcosa con la ragione? Sono sufficienti i discorsi e le riflessioni sulle regole, sulle norme per fondare razionalmente l’agire morale dell’uomo? Sono solo alcune delle domande che vengono affrontate nel volume L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù di Giacomo Samek Lodovici. L’autore, docente di Storia delle dottrine morali nell’Università Cattolica di Milano, affronta tali tematiche riuscendo ad abbinare una trattazione sistematica ad una esposizione chiara e semplice (non semplicistica), spiegando, in modo comprensibile per tutti, spesso anche attraverso efficaci esempi, teorie filosofiche complesse. In questo modo, senza venire meno in alcun aspetto al rigore scientifico richiesto dall’analisi teoretica svolta, riesce a fare capire, anche ai non addetti ai lavori, l’importanza di riflettere su temi di etica, cercando di guadagnare una prospettiva integrale dell’uomo, che non escluda cioè nessuna della sue dimensioni fondamentali.



Mi permetto di sottolineare solo alcuni degli aspetti che maggiormente mi hanno colpito e che ritengo possano rendere questo volume un testo di estremo valore e di grande utilità.

Innanzitutto, che cosa troviamo all’origine dell’azione morale? Recuperando e leggendo con estremo acume la tradizione aristotelica-tomista, confrontandola con posizioni moderne-contemporanee, l’autore suggerisce che l’atto di gratuità proprio dell’amore e dell’amicizia sia il momento originario e costitutivo della moralità: «per agire bene l’uomo ha bisogno di essere amato». In tempi come quelli che viviamo, di fronte alla difficile situazione economica e sociale – le cui origini ci viene detto da Benedetto XVI sono di natura morale – spesso sentiamo dire che la soluzione consista nell’introdurre nuove regole. Invece, l’autore, con realismo autentico, ci ricorda e, soprattutto, ci spiega che «per agire moralmente bene non basta essere solo provvisti di norme, regole». L’uomo non è autosufficiente, il rapporto con l’altro è costitutivo di sé: «l’azione virtuosa è attivata dal riconoscimento altrui, perché quest’ultimo è necessario per amare se stessi e se non riesco ad amare me stesso sono menomato nell’agire e spesso incapace di amare gli altri». Un esempio chiaro, presente nel volume e adeguatamente contestualizzato, è sicuramente quello del rapporto educativo tra genitori e figli: «lo sviluppo della moralità del figlio richiede che i genitori lo amino e che siano oggetto della sua ammirazione: in questo modo, essi suscitano in lui il senso del suo valore ed il desiderio di diventare una persona come loro». Senza persone che mostrano benevolenza nei nostri confronti, senza persone a cui guardare ammirati diventa difficile lo sviluppo della nostra moralità.



In altri termini non si può parlare di virtù, di agire virtuoso, e in ultima istanza di etica, dal momento che Samek ricorda come per Tommaso d’Aquino è possibile «ridurre l’intera materia morale alla considerazione delle virtù» (San Tommaso), senza coglierne l’intrinseco legame con il tema dell’amore. «Le virtù nella loro pienezza sono declinazioni dell’amore» precisa Samek, che non manca a questo riguardo di evidenziare anche il grande contributo di Agostino, il quale afferma appunto che il fondamento di tutto il nostro agire morale è l’amore: «sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene» (Sant’Agostino).



Uno dei meriti più grandi di questo volume è rappresentato dalla visione unitaria e integrale con cui viene colto l’uomo nel suo agire. Ragione, volontà e passioni sono dimensioni fondamentali che concorrono insieme a muovere l’uomo verso il bene. Escluderne una a scapito di un’altra, affermare un’etica doveristica che tende a considerare le emozioni come negative, come proporre un’etica emozionalistica, ha conseguenze negative, è causa di uno squilibrio e rende difficile perseguire il bene. La dimensione razionale e quella affettiva devono essere prese in considerazione entrambe quando si vuole cercare di spiegare l’agire dell’uomo, perché solo in questo modo si coglie il contributo positivo e  fondamentale del sentimento. Quest’ultimo, se non viene assolutizzato a scapito della ragione, diventa fattore importante e costruttivo della conoscenza stessa: «non dobbiamo estirpare emozioni, sentimenti e passioni; piuttosto essi richiedono la guida della ragione in sinergia con la volontà. Quando ciò succede, diventano una preziosissima energia».

Il tema della virtù, adeguatamente recuperato come fa Samek in questo volume, rappresenta da questo punto di vista un’occasione formidabile per riproporre tale visione unitaria dell’uomo: «La virtù è una sintesi armoniosa delle dimensioni dell’essere umano, in cui ognuna di esse trova il suo spazio ed esprime le sue potenzialità, senza invadere quello delle altre, anzi dove ciascuna si rinforza reciprocamente, senza tracimare, bensì confluendo verso la direzione unitaria del bene complessivo della persona». Recuperare la teoria della virtù significa riconoscere, diversamente da quanto ha fatto buona parte della riflessione filosofica moderno-contemporanea, il finalismo come fondamento dell’etica: «chiunque agisce intenzionalmente, agisce sempre, implicitamente o esplicitamente, in vista di un fine ultimo, che può anche cambiare contenutisticamente, ma che è sempre identico formalmente […] è l’autorealizzazione». 

Significa riconoscere come la questione fondamentale, che l’uomo si pone da un punto di vista etico, sia la domanda circa la vera natura del fine ultimo: prendere coscienza che, per il fatto stesso di essere uomo, si è chiamati a capire quale sia lo scopo che si persegue come fine ultimo e a verificarne l’adeguatezza. Non può essere ragionevolmente considerato come fine ultimo del nostro agire ciò che tralasciasse anche solo una piccola parte di noi: «La totalità soggettiva è protesa verso un telos, e questo deve ricomprendere le esigenze di tutte le sue dimensioni (corporee, psichiche, spirituali), deve essere un fine che è totalizzante. In tal senso, un’etica della virtù ha come criterio fondante la totalità antropologica».

Infine, estremamente interessante è anche l’analogia che viene colta tra l’uomo che agisce virtuosamente e l’opera d’arte: «l’uomo virtuoso è un artista che realizza la bellezza, perché realizza armonia sia nei rapporti con gli altri, sia, come minimo, in se stesso». Contrariamente a quello che normalmente si insinua, ovvero che l’agire moralmente sia causa di tristezza, che la vita dell’uomo virtuoso sia priva di fascino, la vita buona è una vita felice e bella. Anche per questo motivo la bellezza svolge un ruolo fondamentale nel promuovere un’autentica vita virtuosa: «un’educazione al bello può riuscire ad essere propedeutica alla virtù come espressione dell’amore […] davvero l’essere umano ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione: la bellezza riempie di gioia il cuore umano e resiste all’usura del tempo unendo le generazioni nell’ammirazione. La bellezza […] suscita stupore, meraviglia, gratitudine e può attivare un dinamismo di profonda trasformazione interiore».

 

 

(Giulio Luporini)