C’è stato curiosamente un momento di smarrimento nella grande stampa quando ha iniziato a circolare la notizia che un quadro di Cézanne aveva sfondato tutti i record per un’opera d’arte: i 250 milioni di dollari spesi dai regnanti del Qatar per una delle cinque versioni dei Giocatori di Carte, appartenuta a un miliardario greco, George Embiricos, che ha sbriciolato i prezzi raggiunti dalla triade Picasso-Klimt-Pollock (era di quest’ultimo il quadro sino ad ora più pagato della storia, No 5, 1948, 180 milioni di dollari).
Da Cézanne nessuno si aspettava una performance del genere, innanzitutto perché ritenuto comunque un artista che non fa così status symbol e poi perché dopo la grande crescita degli anni novanta, il mercato di impressionisti e post impressionisti è entrato in una fase di bonaccia: basti pensare che proprio nei giorni scorsi lo stupendo Van Gogh appartenuto a Elisabeth Taylor se ne è andato via tranquillo a poco più di 10 milioni di euro.
Fatto sta che quando Vanity Fair America il 2 febbraio ha dato la notizia della vendita record di Cézanne, per qualche giorno abbiamo registrato un silenzio un po’ perplesso e quasi incredulo. E solo tre giorni dopo la notizia ha fatto capolino sulle colonne del Corriere.
Cézanne probabilmente viene percepito come artista poco trendy, perché troppo impastato di realtà; era uno che quando puntava a un soggetto non lo mollava mai, quasi si trattasse di un esercizio (“le motif” lui lo chiamava) per andare sempre più al fondo delle cose. I Giocatori di Carte sono appunto uno di questi “motif”, che replicò cinque volte tra 1890 e 1895, oltre a tanti disegni e alcuni bozzetti. Per Cézanne la ripetizione è un’occasione per avanzare nel cammino: così dalle prime due tele (oggi a Filadelfia e al Metropolitan), che hanno un taglio quasi narrativo e naturalistico, passa alla semplificazione delle tre successive opere (oggi al Courtauld di Londra, al Musée d’Orsay di Parigi e appunto in Qatar).
Cézanne non inventa mai i soggetti ma prende dalla vita che ha davanti: i Giocatori di Carte dovevano essere immagine consueta ad Aix, la città del sud della Francia dov’era nato e dove era tornato, fuggendo dalla pettegola Parigi, per vivere i suoi ultimi 15 formidabili anni. Su quest’immagine “normale” Cézanne lavora con tenacia e ma anche con vastità di ambizione e di pensiero. Cerca di arrivare ad incardinare la transitorietà di quella situazione a un senso, a un destino. È un’operazione che richiede pazienza, spogliazione, e tanta forza morale. Alla fine i giocatori si riducono a due, di profilo uno di fronte all’altro, mentre il trangolo compositivo, di cui l’occhio “ordinato” di Cézanne ha comunque bisogno, si chiude grazie alla bottiglia di vino posta proprio al centro. L’ambiente, prima descritto in tanti dettagli, viene come inghiottito in una macchia indistinta.
Non ci sono più concessioni aneddottiche; e non c’è tensione psicologica tra i due, perché non è sul quel piano che a Cézanne interessa portare la sua partita (un critico aveva detto che i due giocano a un solitario di gruppo). La partita Cézanne la gioca proprio su quelle figure. Per questo le ripulisce da ogni reattività: il loro stare a quel tavolo è un istante che affonda nelle radici dell’essere (un istante rappresentativo di ogni istante). Non è un caso che la curvatura delle loro schiene, su cui lavora molto nei disegni preparatori, abbia ricordato ad alcuni critici, in modo diretto, le curvature delle grandi schiene di Giotto negli apostoli della sua Ultima Cena.
Ma Cézanne è uomo assolutamente moderno, quindi senza sicurezze precostituite. E man mano che avanza nell’approfondire l’immagine dei Giocatori di Carte, i piani si fanno meno scontati, e anche meno stabili. Come ha giustamente scritto Elena Pontiggia, è un equilibrio obliquo quello su cui si appoggia tutto l’ultimo Cézanne. Un equilibrio potente ma inquieto e sempre aperto a un divenire. Un equilibrio mai definito da rapporti stabili e definitivi. Le opere dell’ultimo Cézanne sono opere in cammino, che alla fine sfuggono al possesso di chi le ha realizzate. Per questo I Giocatori di Carte meritano di essere l’opera più cara del mondo.
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