Seguendo il dibattito quotidiano che si sviluppa in questi mesi, due sembrano i dati emergenti su cui si concentra l’attenzione. Sul piano della descrizione dei fenomeni più diffusi vengono individuati come connotati dell’epoca il distacco crescente e drammatico fra il sistema politico e i cittadini del nostro Paese.
È molto di più della cosiddetta spinta antipolitica, che caratterizza questa fase della vita dell’Europa e dei popoli occidentali. Si tratta della constatazione che nessuna istituzione pubblica, oltre il Parlamento e il Governo, costituisce un punto di riferimento per l’orientamento dei cittadini. Gli uomini e le donne, i ragazzi e le ragazze non credono più nella funzione dei partiti e della rappresentanza politica ma neppure nella magistratura, nella pubblica amministrazione e persino nella Chiesa cattolica.
Per contro sembrano aumentare le manifestazioni di mobilitazione sociale, realizzate principalmente attraverso le nuove forme di comunicazione digitale. Da un lato si parla di una società senza Stato, dall’altro di una nuova forma di democrazia diretta che tende ad istituire le manifestazioni dirette delle mobilitazioni popolari come espressione di una nuova forma di partecipazione alla vita collettiva.
Molti commentatori guardano a questa fenomenologia come la fine della fase tradizionale della politica organizzata sui partiti e sulle istituzioni rappresentative e come la nascita di un nuovo ciclo, caratterizzato da una dialettica diretta fra il capo, decisore in ultima istanza dei conflitti, e il popolo che si autoconvoca per mettere in scena direttamente le proprie pretese e le proprie aspettative.
Ciò che in questa prospettiva, che viene delineata nei termini di un’apparente e maggiore democrazia popolare, è assolutamente omesso è il significato che deve attribuirsi all’espressione “società senza Stato” e cosa nel mondo attuale può continuare a indicarsi col termine “società”. La società non può in verità intendersi come un puro presupposto sociologico al quale lo Stato e le istituzioni forniscono strumenti e meccanismi per l’organizzazione e la gestione dei bisogni collettivi.
La società è in realtà la prima istituzione dalla quale tutte le altre traggono poi la rispettiva legittimazione e le rispettive funzioni. Come è stato giustamente osservato, non può esistere società senza istituzioni, giacché è la stessa società che si dà istituendosi e producendo contestualmente le forme e l’articolazione delle diverse funzioni che sono essenziali per il suo funzionamento.
È in questa dimensione pratica ed effettiva che i membri di una comunità/società elaborano la propria visione del mondo, le regole per il governo della produzione e riproduzione sociale, la separazione fra ciò che è privato e ciò che è pubblico, e le modalità concrete per decidere collettivamente sugli obiettivi da perseguire in comune. La sostanza profonda di ogni società è sempre un vincolo comunitario nel quale si realizza una “comunicazione” assai più intensa di quella rappresentabile attraverso il semplice discorso pubblico.
Ogni gruppo umano, istituendosi, sancisce la propria, anche inconsapevole, intenzione di condividere emozioni ed eventi sul presupposto condiviso in base al quale ciascuno isolatamente non riuscirebbe ad elaborare ciò che lo muove dall’interno del proprio sé. Senza un’appropriata conoscenza delle dinamiche dei gruppi umani e delle aggregazioni che insorgono nella effettività della pratica, parlare della società è una pura astrazione, pericolosamente avviata alla sua stessa autorisoluzione.
Una società astratta in cui gli uomini entrano in relazione soltanto esteriormente per i loro comportamenti economici – produttori, consumatori e mercanti –, e in cui il sistema di soddisfazione dei bisogni è sottratto ad ogni decisione collettiva, è in realtà una società senza contenuto sociale, giacché non vengono messi in rilievo gli aspetti sostantivi delle relazioni interpersonali che si sviluppano nel gruppo. Rappresentarlo come una società solo perché ha in comune un sistema di leggi e un mercato dove si scambiano le merci, è una pericolosa mistificazione che ha avuto inizio con la modernità. Paradossalmente le società moderne sono diventate soltanto società giuridiche e società di mercato senza alcun riferimento alla cultura materiale e al suo continuo trasformarsi nella vita vissuta degli uomini e delle donne.
Questo capovolgimento ha impedito di cogliere la intima connessione tra le pratiche dello stare insieme che strutturano la società, e l’insorgenza di regole e principi condivisi. La condivisione, infatti, non si realizza a partire dal discorso giuridico sulle regole e sulla loro razionalità discorsiva, ma sulla basa di quel con-sentire che implica sempre il primato delle pratiche effettive su ogni astratta concettualizzazione.
L’astrazione della società, che appare sempre più correlata all’astrazione dell’economia, sembra giungere al proprio compimento con la trasformazione dei rapporti interpersonali in rapporti mediati dalle nuove forme di comunicazione. Il nuovo matrimonio tra economia monetaria e sviluppo delle comunicazioni mediatiche rende l’individuo una pura maschera priva di riferimento a qualsiasi volto concreto di uomo o di donna.
La stessa espressione “Io” con la quale gli uomini hanno designato se stessi nel rapporto con il mondo esterno appare sempre più priva di ogni sostegno reale, pura illusione in un deserto di stimoli e risposte, e di segni che producono altri segni.
In questo contesto sembra inevitabile che l’unico tema che potrebbe riaprire la discussione sul significato profondo di questa rappresentazione concettuale che sancisce la solitudine monadica di ciascuno, è quello del residuo di sofferenza e dolore che non riesce a viaggiare sulla rete senza il pesante fardello del corpo di ciascuno di noi.
Ma pare anche altrettanto evidente come tutte le questioni che vengono poste secondo una logica astratta di ricerca di principi etici da applicare alla biologia, di modelli educativi da applicare alla scuola, di criteri di orientamento nella ricerca sull’uomo e sulla sua verità appaiono sempre più come puri giochi di società privi di significato e continuamente smentiti da quella realtà di pratiche effettive che continua a restare il sottosuolo animato di un mondo concettuale devitalizzato.