Ha senso discutere di “Mani Pulite” prescindendo dalla “casa che brucia”? Che ci sia un nesso tra il modo in cui è stata abbattuta la “Prima Repubblica” e la crisi attuale della “Seconda” sembra evidente ed è forse su ciò che converrebbe riflettere.

Al contrario siamo ancora alla fase delle esibizioni muscolari. Ad esempio: si getta sul tavolo la tabella degli arresti e condanne. Per l’80 – se non 90 – per cento i giudici hanno dato ragione ai pubblici ministeri. E allora? È la prova che la Procura di Milano è stata infallibile. Certamente l’argomento è solido, ma è facile rovesciarlo a favore della tesi opposta. Una simile percentuale dimostra solo – si può obiettare – che Procura e Tribunale sono stati un’entità unica. Il principale punto di dissidio è appunto l’accusa secondo cuiduranteMani Pulite pm, gip, gup, tribunale e corte d’appello si sono mossi in modo “paramilitare” come un uomo solo. L’identificazione tra Procura e Tribunale era tale che all’epoca i pubblici ministeri erano comunemente chiamati “giudici”.



Lasciamo allora stare il Palazzo di Giustizia su cui le opinioni – positive e negative – sono irreversibilmente cristallizzate e riflettiamo invece su ciò che avvenne al di fuori di esso.

Il punto di partenza è stato il prevalere tra la caduta del Muro di Berlino del 1989 ed il crollo dell’Urss del 1991 di un diffuso e superficiale ottimismo. Si è pensato che il comunismo si fosse autoriformato e che quindi si dischiudeva un’era di riconciliazione sulla base di un unico modello di economia e di democrazia secondo uno sviluppo unidirezionale ed omogeneo. Insomma la cosiddetta “fine della storia”. Le scadenze che si avevano di fronte – privatizzazioni, moneta unica, allargamento dell’Unione europea – si sarebbero meglio affrontate con meno partiti, meno Stato, meno politica. Certamente il potere politico italiano non era l’interlocutore malleabile per procedere alle privatizzazioni nel modo con cui sono state fatte successivamente ed aveva come “tallone d’Achille” l’incapacità di autoriformarsi nel contesto di un finanziamento dei partiti politici che era sempre stato “parassitario” sin dalla Resistenza. In particolare Milano, capitale del potere economico privato e del socialismo riformista, dopo averne celebrato il matrimonio ne sancì il divorzio.



Man mano all’inizio degli anni novanta è cresciuto un “austriacante” tumulto di “ombrelli di seta” di manzoniana memoria. “Grisaglie e doppiopetti al banco dei referendum” titolava Repubblica per raccontare la raccolta di firme per il referendum Segni presso il Palazzo dell’Assolombarda. Era il 10 novembre 1991. Nelle settimane precedenti, il 2 ottobre, l’anatema più solenne era stato pronunciato a nove colonne sul Corriere della Sera dall’Arcivescovo Carlo Maria Martini che denunciava “affarismo corruzione e tangenti” e paragonava Milano alla biblica Ninive. E il 15 novembre Achille Occhetto veniva a Milano per rompere l’alleanza tra socialisti e comunisti nata nel 1975. 



Le gabbie erano quindi già aperte e il fuoco già acceso quando in Procura si aprì il fascicolo. A guidare la piazza, come “truppe di terra”, furono comunisti, missini e leghisti.

La criminalizzazione fu generalizzata e la condanna immediata. Quel che a distanza impressiona non è tanto l’attacco indiscriminato ai leader politici, ma l’aggressione che ha visto come vittime chi non era sfiorato da alcun sospetto giudiziario. Vi è stata soprattutto a Milano e in Lombardia l’aggressione indiscriminata – quasi razzista – verso comunità non solo socialiste oggetto di scherno e discriminazione nei luoghi di lavoro, di studio, di vita sociale. Persone di assoluta probità, mai lontanamente oggetto di alcun risvolto giudiziario, furono costrette a cambiare residenza o a perdere il lavoro. Ragazzini improvvisamente emarginati e insultati e cerimonie religiose, come i funerali, oltraggiate.

In quella stagione molte cosiddette autorità morali milanesi hanno perso l’“innocenza” rendendosi parte attiva di un clima di persecuzione verso persone oneste, più deboli e disarmate e coltivando l’odio come categoria salvifica e purificatrice.

Fu il trionfo della “questione morale” inventata da Enrico Berlinguer “seduto” sui fondi neri illegalmente raccolti dall’“amministrazione straordinaria” del Pci. Mani Pulite ne seguì le orme.

Impressiona oggi la riflessione che svolse nel maggio 1994 il comunista Carlo Galluzzi (come responsabile esteri del Pci nel 1968 fu colui che nel vertice del Partito maggiormente si espose nella polemica con il Pcus dopo l’invasione della Cecoslovacchia e fu dirigente nazionale e parlamentare italiano ed europeo del Pci dal 1963 al 1989). Nel suo libro Il Paese dei Gattopardi stabilisce una inquietante analogia: da un lato osserva che l’intervista “moralizzatrice” di Berlinguer del 1981 “sembra la copia di una requisitoria del pubblico ministero Antonio Di Pietro” e dall’altro rileva come “Berlinguer facesse proprie le analisi dei terroristi”. Il riferimento ai testi brigatisti è certamente esagerato, ma è indubbio un cocktail di “sessantottismo” e di “giustizialismo”.

Nel segno della “questione morale” e poi di Mani Pulite i comunisti passavano nel campo degli “ombrelli di seta” e da allora è maturato a Milano e poi in Italia un bipolarismo anomalo: pezzi significativi e rilevanti di destra nella sinistra e di sinistra nella destra. Dalla Milano di Mani pulite è nata una dialettica abortiva che vede protagonisti, secondo un comune passato di dominazione “spagnola”, una destra “bonapartista” ed una sinistra “austriacante”.

Oggi ci troviamo così nel quadro di una crisi internazionale ad essere però gli unici a vedere il Parlamento farsi guidare da un governo extraparlamentare. Il cosiddetto “deficit di democrazia” è conseguenza di una scelta non solo giudiziaria, ma culturale – della principale intellettualità – e popolare, di aver costruito l’avvenire accettando come base passata, come uniche tradizioni “pulite” dell’Italia repubblicana, quelle comunista e neofascista. 

 

Su questa base si è edificato su sabbie mobili – e cioè avendo come categorie centrali l’odio ed il falso – un bipolarismo che ha visto i leader di entrambi i campi continuare a cambiare regole elettorali e nome di partito, ma sempre ostaggi delle componenti estremiste che hanno come “nuovista” Altare della Patria Mani Pulite.