Charles Dickens compie oggi duecento anni esatti. Nato il 7 febbraio del 1812, lo scrittore inglese è considerato un gigante della storia della letteratura di ogni tempo, e se Google lo celebra con il sui doodle (il logo personalizzato) deve – come si usa dire oggi nell’era di Facebook e di Twitter – esserlo davvero. Basti pensare che il suo romanzo “Storia di due città” – Tales of two cities è considerato – dopo la Bibbia naturalmente – il libro più venduto di tutti i tempi con oltre duecento milioni di copie. Lo scrittore più venduto, ma anche uno dei  più prolifici con oltre quindici romanzi, moltissimi racconti (tra cui il celebre “Canto di Natale”) in una vita che poi non è stata neanche lunghissima. Dickens muore infatti a soli 58 anni il 9 giugno 1870, dopo un periodo di problemi fisici, per emorragia cerebrale. Secondo il professor Edoardo Rialti, docente di letteratura ed esperto anglofilo contattato da IlSussidiario.net, “Charles Dickens è qualcosa di molto meglio del fondatore del romanzo sociale come qualcuno lo ha definito. Dickens come tutti i grandi narratori fondamentalmente è un narratore di storie, uno storyteller. I suoi romanzi così lunghi, così densi, con così tanti personaggi sono, anche se ambientati nell’ottocento, ancora attuali perché è come se lui facesse sedere i lettori ai suoi piedi facendoli tornare bambini davanti a un camino scoppiettante”. Continua il professor Rialti: “Da vero racconta storie è come se ti dicesse: ti devo raccontare una lunga storia e te la racconta. Non è una preoccupazione sociale la sua che naturalmente è un tratto molto forte del suo lavoro, ma l’unico vero grande filo rosso che percorre la sua narrativa è un fatto esistenziale: noi abbiamo bisogno di raccontare storie”. Storie indimenticabili, quelle scritte da Dickens, diventate dei classici anche della letteratura per ragazzi, come “Le avventure di Oliver Twist” o “David Copperfield”. Secondo Rialti, Dickens prende spunto dalla tradizione letteraria inglese che già a partire dal settecento aveva inaugurato una ricca e feconda produzione di romanzi. Ma Dickens “è il gigante che ha sovrastato per quantità e potenza immaginativa tutti i suoi precedenti. Diceva il critico Mario Praz, che Dickens è secondo solo a Shakespeare, nell’aver dipinto una tale galleria di personaggi indimenticabili”. E dopo Dickens? E’ molto difficile rispondere, spiega Rialti, perché anche se il novecento ha avuto in Inghilterra dei grandi narratori  “pochi hanno avuto la capacità di scrivere sulla stessa specifica lunghezza d’onda, cioè questa ricchezza inesauribile, questo presentare un mondo intero. Il  novecento ha avuto immensi narratori però pochi hanno scritto nella sua stessa frequenza d’onda, hanno cioè scritto in modo diverso”. In romanzi come “Tempi difficili” Dickens denuncia le difficoltà economiche e sociali della sua epoca, chiediamo se tale critica sociale sia valida ancora oggi in tempi altrettanto difficili: “I grandi artisti colpiscono non perché sono attuali ma perché sono perenni. Dickens è sicuramente ottocentesco, sicuramente vittoriano, sicuramente stimolato dalle circostanze economiche del suo tempo e quindi racconta la spersonalizzazione della persona nella civiltà contemporanea, o anche la città che comincia a separare le famiglie, l’incertezza, la povertà. Fa uso di una forma di denuncia dell’oppressione economica, tutte cose che riscontriamo anche nel nostro tempo”.



Ma, spiega Rialti, lo sguardo di Dickens di fronte ai problemi sociali ed economici propone qualcosa che era vero allora, era vero dieci anni fa e sarà vero fra vent’anni. E cioè “che l’unica vera e fondamentale risposta ai problemi economici e sociali che vanno naturalmente combattuti è in realtà la comunicazione di uno sguardo di amore e comprensione laddove tutti gli altri sguardi sono volti freddi altrove. Che è una citazione dal suo libro Il circolo Picwick”. In definitiva, per Rialti,  il filo rosso che percorre le sue opere non sono personaggi cambiati da delle strutture e non sono grandi eroi come riformatori sociali, ma sono aiutati da persone, da gesti di possibilità di relazione umane che permettono di vivere in tempi difficili. Quelli di allora e quelli di oggi, sostenuti da una speranza”.



(Paolo Vites)

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