Il recente intervento del card. Angelo Bagnasco alla London School of Economics ha il grande merito di riproporre – una volta di più – il valore del rapporto tra economia e antropologia, scelte di mercato e scelte etiche, che sono state al centro del Magistero di Benedetto XVI con l’enciclica Caritas in veritate. Le considerazioni svolte in quello che viene definito come uno dei templi più importanti della formazione economica mondiale mi sembrano siano particolarmente significative rispetto al momento attuale di crisi che pervade l’intera Europa, e che possono essere sintetizzate nel grido di domanda con cui oggi l’umanità deve fare i conti: “Che cosa è successo? Perché? Cosa abbiamo sbagliato?”.
Domande che non trovano esaurienti risposte all’interno dei modelli economici sviluppatisi sin ora, ma implicano una riflessione che allarghi lo sguardo a quel “fattore umano” da cui la stessa economia è originata. Non si tratta, chiaramente, solo di ripensare tecnicamente quali siano le strategie da adottare per rimettere in moto un meccanismo: ciò che la crisi prepotentemente inizia a rivendicare è un cambiamento dell’idea di uomo e, insieme, dell’idea di società. L’economia – più di qualsiasi altra disciplina – ha a che fare con quella libera e originale iniziativa di cui solo l’uomo è capace, e tuttavia, in questi anni abbiamo assistito al paradosso di una realtà regolata dall’azione finanziaria, operando un vero e proprio rovesciamento del rapporto tra storia ed economia, lasciando a quest’ultima la sovranità sulla realtà e sull’uomo.
“L’importanza esorbitante che assume oggi il problema economico nelle preoccupazioni di tutti è il segno di una malattia sociale”, scriveva più di 70 anni fa Emmanuel Mounier. Ebbene: chi non potrebbe dire ugualmente riferendosi alla situazione attuale di un’Europa – e di un’Italia, in particolare – che rischiano ogni giorno il depauperamento della propria società?
Ecco imporsi, allora, una riflessione che guardi alla centralità della persona al suo essere irriducibile rispetto all’orizzonte della sua stessa esistenza e all’ambiente che lo pervade. Ma occorre fare attenzione per non cadere soltanto in un discorso valoriale, un discorso morale che rischia di scivolare in due vicoli ciechi uguali e contrari: quello dell’indignazione e quello dell’etica applicata. O, infatti, ci si sofferma sugli scandali e sulla rabbia rimuovendo ogni considerazione sulle origini strutturali di quanto accade, o si alimenta una soluzione individuale del problema, ignorando le ragioni storico-sociali e favorendo l’idea di un regno valoriale cui ciascuno dovrebbe dedicarsi con i propri mezzi.
Da questo punto di vista ha ragione il card. Bagnasco quando afferma che “ciò che costruisce un uomo non necessariamente corrisponde a ciò che gli piace o gli conviene in termini utilitaristici”, riconoscendo alla cultura contemporanea quella “matrice individualistica” che non ha fatto altro che generare radicalismi e relativismi nella concezione dell’uomo.
La questione economica se vuole trovare una soluzione dovrà necessariamente fare i conti con il fatto che si tratta di un problema umano e che, come tale, non potrà mai essere risolto in termini di pura tecnica. Allo stesso modo occorrerà ricordare che non si potrà mai risolvere una crisi economica solo in base a principi astratti che non assicurino interventi storicamente determinati e ben applicati. È dunque necessario distinguere chiaramente i problemi tecnici e trattarli come tali, senza alcun ricorso a facili moralismi di corte vedute.
Solo così si riuscirà a comprendere quanto diceva Benedetto XVI nella sua Caritas in veritate, quando sottolinea l’intima relazione tra la crisi che stiamo attraversando e un nuovo sviluppo sostenibile non solo in termini di economicità, ma attraverso un nuovo sforzo di “comprensione unitaria e una nuova sintesi umanistica”. È questa l’idea di un’economia della e per la persona, dove l’uomo non è più concepito nella sua funzione commerciale, ma in quanto capace di creare, appunto, nuovi sviluppi, nuove possibilità, un “nuovo inizio”.