Continua l’analisi degli autori sui criteri che ispirano i giudici a proposito di famiglia e di matrimonio. Secondo di tre articoli. Leggi qui il primo articolo.
Nel campo del matrimonio, gli aspetti giuridici si intrecciano in maniera quasi inestricabile con la natura degli interessi coinvolti e con le continue trasformazioni del substrato sociale sul quale vengono ad incidere costringendo il legislatore prima, e l’interprete poi, ad un continuo confronto con sollecitazioni e valutazioni di tipo extragiuridico: un terreno dunque fertilissimo per un approccio “sentimentale” al diritto, perché sull’applicazione della norma ricade inevitabilmente l’influenza del bagaglio culturale ed emotivo di colui che quella norma deve applicare.
E ciò per un triplice ordine di motivazioni: a) in questa materia il substrato normativo è costituito da interessi che appartengono alla sfera emozionale piuttosto che, come accade in altri campi del diritto civile, da interessi di consistenza squisitamente patrimoniale; b) le stesse disposizioni normative si presentano spesso formulate in maniera volutamente generica o utilizzando clausole generali, che lasciano ampi spazi alla sensibilità dell’interprete; c) molto spesso accade che l’interprete abbia vissuto in prima persona esperienze – come quelle che coinvolgono i rapporti interpersonali – di cui ben conosce la portata emozionale prima ancora che giuridica.
Tale complessa dimensione di carattere “metagiuridico”, cioè culturale, emozionale e di esperienza personale, sottesa a questa materia chiama in causa “logiche” diverse relative al matrimonio, che sono anche riscontrabili nella sua stessa evoluzione storica e che hanno delle concretissime implicazioni nel campo giuridico.
Il punto, come si è già detto nella prima parte dell’articolo, è quello di far emergere queste logiche, sotterranee e profonde, talvolta abilmente sottaciute, talaltra semplicemente inespresse perché inconsapevolmente adottate, perché si è inconsciamente intrappolati in esse dalle nostre abitudini culturali, dalla nostra pigrizia, dall’effetto della comunicazione di massa.
Si tratta, cioè, di far emergere tutte le implicazioni sottese alla logica adottata, per vedere se vi siano contraddizioni o incoerenze rispetto alle soluzioni proposte (così da svelarne il carattere ideologico e meramente retorico, l’inganno o la fallacia argomentativa); si tratta di verificare se alcune di tali implicazioni contrastino con i dati di fatto (così da svelarne l’impraticabilità giuridica); si tratta di considerare, alla luce di tutte le implicazioni sottese alla logica che vi opera, se la regolazione del fenomeno, il valore in essa espresso e salvaguardato, la sua dimensione etica o morale, abbiano i caratteri necessari per assumere rilevanza giuridica, cioè per entrare nella sfera del diritto. A quest’ultimo proposito non va mai dimenticato che quanto un fenomeno entra nella sfera del diritto entra molto concretamente nelle aule dei tribunali, dove le pretese riconosciute dalla legge possono essere attuate coattivamente, attraverso la “forza” messa a disposizione dall’ordinamento, e non restano dunque nella sfera privata e intima della persone.
Vediamo quindi di chiarire con l’esempio quanto stiamo dicendo, e facciamolo proprio con riferimento al matrimonio, cerchiamo cioè di investigare quale siano le logiche sottostanti a questo fenomeno. Proviamo ad effettuare questo tentativo, come tale imperfetto e perfettibile, ma che intende essere una proposta di metodo che eviti quello scontro di valori che, pur nel carattere opposto delle soluzioni proposte dalle diverse parti, è accomunato da una modalità sterile e pericolosa di approccio ai fenomeni.
Proviamo dunque a proporre una prima individuazione delle logiche sottostanti al matrimonio. Una prima logica è quella “istintuale”: con essa il fondamento del matrimonio è visto nel soddisfacimento di un bisogno del corpo, in cui il partner è lo strumento di tale soddisfazione e in cui centrale diventa perciò la disposizione del “diritto sul corpo”. Lo strumento giuridico funzionale a tale logica è, pertanto, quello che serve a regolare reciprocamente gli interessi a ciò sottesi e, in cui, nel modo più vario a seconda delle diverse culture, si individua una parte che cede e una parte che acquista il diritto sul corpo: non stupisce quindi che il mezzo giuridico privilegiato per la regolazione reciproca di interessi di varie parti sia quello del “contratto”. In tale prospettiva non è essenziale che siano i coniugi ad esprimere il consenso, essendo essenziale invece che tale consenso sia espresso da chi ha il potere di disporre dei beni, quindi, in alcuni passaggi storici dalle famiglie.
Questa prospettiva non riconosce la dignità dell’altro, visto appunto come strumento di soddisfacimento di un bisogno (che, si badi bene, può avere e spesso ha avuto anche finalità procreativa non solo di semplice soddisfazione sessuale), e non come persona. Seppure così forte e così distante dal nostro modo di sentire, questa è la logica che trova una delle proprie realizzazioni tipiche, anche se non esclusive o necessarie, nello schema giuridico del matrimonio-contratto, rispetto alla quale essenziale è solo la regolazione consensuale di prestazioni viste come corrispettive e nel quale la stessa differenza sessuale non ha alcun ruolo determinante (vario potendo essere il bisogno sessuale da soddisfare), così come il fine procreativo o meno e la stessa possibilità di rescissione del rapporto (al quale si può attribuire una più o meno forte grado di resistenza).
La seconda logica – quella prevalente nell’attuale passaggio storico – è quella “sentimentale”, in cui il fondamento del matrimonio è visto nel sentimento che deve legare i coniugi: in quest’ottica l’altro è recuperato nella sua dignità di persona che come tale risulta indisponibile e deve necessariamente essere rispettata. Il mezzo giuridico tipico (ancorché non necessario od esclusivo) è quello del riconoscimento di diritti fondamentali, o comunque indisponibili, e il pregio di una simile logica è, certamente, quello di aver recuperato il concetto di reciproco rispetto nel rapporto di coppia, di uguaglianza nella diversità. Naturalmente, all’interno di questa logica nulla vieta che il sentimento possa legare persone dello stesso sesso e, spesso con suggestivi salti retorici, meritevoli di più analitico approfondimento, non a caso si può manifestare (e si sta manifestando) una tendenza a vedere il riconoscimento di unioni tra persone dello stesso sesso come un’implicazione del rispetto di ritenuti diritti fondamentali della persona.
L’aspetto maggiormente significativo di questa prospettiva – e quello che ha già statisticamente manifestato tutta la propria rilevanza – è quello per il quale, se il fondamento (anche giuridico) del matrimonio è visto nel sentimento, la variabilità e mutevolezza nel tempo del medesimo comporta inevitabilmente la possibilità di scioglimento dal legame ogni qual volta il suo fondamento sentimentale venga meno.
Ecco che la positiva esigenza del riconoscimento della reciproca dignità dei coniugi sottesa alla presa di campo della logica sentimentale del matrimonio, finisce poi per avere implicazioni che incidono in modo pesante sulla stabilità delle famiglie. In altre parole, alla solidarietà che associa i diritti ai doveri viene sostituita una visione che assolutizza il diritto alla felicità individuale, senza disponibilità ad integrarlo con il bene degli altri componenti del gruppo familiare: cessato il sentimento, non solo viene meno il fondamento sostanziale del matrimonio, ma il rapporto da strumento di realizzazione della propria felicità si muta nel suo opposto, diviene cioè causa della propria infelicità dalla quale ci si deve dunque liberare al più presto.
Inoltre, occorre interrogarsi su quanto dicevamo in un precedente intervento, cioè sul pericolo di trasformare qualsiasi nostro personalissimo desiderio in un diritto fondamentale, ricordando che tale riconoscimento non è affatto innocuo e vantaggioso per tutti, perché comporta l’insorgenza di obblighi e la possibilità coattiva di farli rispettare: occorre cioè investigare i caratteri che una unione deve avere per aspirare ad ottenere rilevanza giuridica, ad assurgere addirittura a diritto fondamentale e bisogna chiedersi se davvero tutte le unioni possano avere queste caratteristiche.
Con la terza logica di matrimonio come promessa-dono si effettua un diverso salto di qualità che merita un approfondimento a parte.
(2 – continua)