In un recente articolo dal titolo “Odio”, Rosa Montero ha scritto nella sua rubrica su El Pais che “la Spagna è piena di Torquemada, la cui prima reazione quando conoscono qualcuno è giudicare se è sufficientemente fedele al proprio schieramento o no, se è veramente di sinistra o destra”. E ha aggiunto: “Deve essere molto gratificante dividere il mondo tra buoni e cattivi ed essere convinti che uno faccia sempre parte della sponda corretta”.
Rosa Montero ha ragione, come l’aveva Goya quando negli anni Venti rappresentò il manicheismo vendicativo spagnolo nel suo quadro “Duello rusticano”. Questo odore di torquemadismo alla spagnola descritto da Rosa Montero e dipinto da Goya, più tipico della natura umana che esclusivo di quella iberica, è lo stesso su cui ha insistito un recente articolo di Concita De Gregorio pubblicato su La Repubblica dal titolo “La Spagna che cancella Zapatero”. L’ex direttore de L’Unità ha scritto che “la grande discussione [in Spagna] è attorno al tema della memoria”, una memoria, secondo lei, “corta, cortissima, negata, rimossa”.
La De Gregorio ha ragione quando dice che il problema spagnolo è un problema di memoria, cioè della consapevolezza della propria storia, ma si sbaglia su quasi tutto il resto. L’assenza di memoria del popolo spagnolo è un male gravissimo, ma è solo una parte del vero problema, più profondo e complesso: la combinazione maligna tra l’amnesia generalizzata e la memoria selettiva esercitata dal potere.
Nel suo articolo, la De Gregorio ricorda le accuse di corruzione che pendono su Francisco Camps del Partito popolare e Iñaki Urdangarin, genero del Re Juan Carlos, ma dimentica selettivamente di citare le accuse di corruzione cui si trova di fronte l’ex ministro socialista José Blanco o i casi di corruzione del governo andaluso targato Psoe.
La De Gregorio loda gli artisti e gli intellettuali di sinistra “cresciuti col socialismo”, ma dimentica di fare riferimento a casi come quelli delle cantanti Russian Red e Nena Daconte, che sono state linciate dall’estabilishment culturale di sinistra: la prima per aver osato dire che era di destra, la seconda per aver cantato a un festival per la vita e contro l’aborto. Memoria selettiva, appunto. Ma risulta ancora più sorprendente la facilità con cui cambiano i criteri democratici a seconda del colore della maggioranza. Quando nel 2004 10.909.687 spagnoli hanno votato per Zapatero si trattava di un trionfo democratico, di una nuova era per la libertà. Quando nel 2011 10.830.693 spagnoli hanno deciso che era meglio Rajoy, si è parlato di “monopolio conservatore”, di ritorno al governo della destra franchista.
Questo odio che disseziona la realtà per farla combaciare con la propria ideologia e che lancia anatemi contro chi non sta dalla stessa parte abbonda in Spagna, come i prosciutti saporiti e il buon olio d’oliva. Proprio per questo surplus, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è importare odio italiano. Tuttavia, nella storia della Spagna ci sono stati altri tipi di memoria ed eventi che escono dallo schema del rancore ideologico, sia di sinistra, che di destra o di centro.
Uno di questi casi è la cosiddetta Transizione spagnola: un momento storico in cui gli spagnoli, di destra e di sinistra, hanno preferito, non senza parecchi sacrifici, la riconciliazione al rancore perpetuo, la democrazia e la moderazione al “Duello rusticano” di Goya. Lo spiega molto bene la mostra “La transizione spagnola, la forza della riconciliazione”, che si è potuta visitare nei giorni scorsi a Encuentromadrid e che è stata curata da Fernando de Haro, cui hanno collaborato politici (di destra e di sinistra) che hanno partecipato alla Transizione, storici e studenti.
Dalla fine degli anni Sessanta cuoceva a fuoco lento in Spagna uno spirito di riconciliazione che è sfociato, dopo la morte di Franco nel 1975, nell’unico caso di transizione pacifica da una dittatura a una democrazia nella storia europea del XX secolo. Reinterpretare la Transizione e voler reinstaurare l’odio della guerra civile non è un esercizio di memoria storica, ma, come ha scritto lo storico Stanley Payne nel catalogo della mostra, “un tentativo di rompere il modello politico della Spagna, il modello dello Stato, per riorientarlo verso un sistema settario”. Scrive De Haro: “Il 14 luglio 1976 si potevano leggere le seguenti parole su Mundo Obrero (“Mondo operaio”, ndr), organo di stampa del Pce (Partito comunista spagnolo): ‘Non si può scherzare con il desiderio di amnistia di tantissime persone. L’amnistia è la condizione primaria per la riconciliazione degli spagnoli e il ripristino della libertà’. Era la sinistra ed era tutta la Spagna, quindi, a parlare di riconciliazione. Non è stato dimenticato, c’è stata molta memoria, di quella buona”.
È noto che Isocrate, quando stava per terminare la guerra del Peloponneso, scrisse che occorreva “governarsi collettivamente, come se nulla fosse accaduto”. Alcuni hanno detto che questo è quello che è successo nella Germania post-hitleriana. Beh, non è stata questa la tendenza dominante nella Spagna che voleva uscire dagli anni della dittatura franchista. Gli spagnoli sapevano quello che era successo, ma hanno preferito guardarsi in faccia e costruire insieme: così hanno fatto i ministri franchisti e i leader comunisti, socialisti e del centro. Monsignor Fernando Sebastián, arcivescovo emerito di Pamplona e testimone privilegiato di quegli anni, ha sottolineato durante la tavola rotonda che ha presentato la mostra a Encuentromadrid che ciò che è successo quindi è che è stata “trasmessa una mentalità rinnovata che voleva superare la contrapposizione dei due blocchi. Una mentalità in primo luogo di perdono – sapevamo chi era morto e come, ma avevamo la volontà di andare oltre –, e in secondo luogo di riconoscere all’altro il proprio identico status”.
La De Gregorio parla di una Spagna smemorata: “A teatro – scrive – è un fiorire e di spettacoli sul tema del non so, non ricordo. Saggi e romanzi narrano a profusione delle rimozioni colletive dalla guerra civile in avanti”. Non tutta la Spagna vuole dimenticare, ma nemmeno ricordare selettivamente episodi che si usano come pietre e che hanno come unico effetto quello di generare più divisione tra gli spagnoli. La Spagna non ha bisogno di una “seconda Transizione”, ma di prendere coscienza di quello che è successo nella prima e, come hanno voluto fare a Encuentromadrid, recupeare il suo spirito.