Il 2011 è stato testimone di una ondata di movimenti di protesta e di indignazione senza precedenti in tutto il mondo. Dalle proteste in Nord Africa e Medio Oriente, al movimento Occupy Wall Street negli Stati Uniti, ai presidi davanti alla Cattedrale di San Paolo a Londra, alle dimostrazioni a Mosca, i manifestanti hanno espresso una profonda rabbia, condivisa da molti, verso la finanza globale.



Vi è una diffusa consapevolezza, implicita e ancora non sviluppata, che Stato e grande finanza si sono accordati a spese del popolo. Lo Stato burocratico centralizzato e il mercato senza controllo si sono svincolati dai corpi intermedi della società civile, rendendola succube del secolarizzato “mercato-Stato” globale. Questa convergenza tra Stato e mercato si può definire secolarizzata perché sottomette le relazioni umane, i legami civici e i vincoli sociali ad astratti valori e parametri quali lo scambio commerciale o la regolamentazione centralizzata. Ultimamente, ciò assoggetta la dimensione sacra della vita e della terra al potere dello Stato e del mercato e minaccia l’autonomia della società civile e dei gruppi religiosi. 



A vent’anni dalla caduta del comunismo statale sovietico, la recessione globale, nella quale il capitalismo di libero mercato ha precipitato l’economia mondiale, dà una opportunità unica per disegnare una via alternativa. Sia la devozione a sinistra allo statalismo centralizzato, sia il feticismo a destra per il liberalismo di mercato, sono parte di una logica secolare sempre più contestata. Non è una pura coincidenza che siano contemporanee la crisi del capitalismo globale e quella della modernità secolarizzata.  

La raccolta di saggi (The Crisis of Global Capitalism. Pope Benedict XVI’s Social Encyclical and the Future of Political Economy, ed. by A. Pabst, Cascade Books, Eugene Oregon 2011), da me recentemente pubblicata, delinea una nuova economia politica che rifiuta il capitalismo in favore della società civile. L’idea di economia civile origina dalla Caritas in veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI (2009), che, sulla base della dottrina sociale della Chiesa a partire dalla enciclica Rerum Novarum (1891), rappresenta l’intervento più radicale nell’attuale dibattito sul futuro dell’economia, della politica e della società.



La tanto attesa enciclica ha riacceso, in un certo senso, la battaglia sull’anima del cattolicesimo, come mostra Tracey Rowland nel suo contributo al libro. Da un lato, neo-liberisti come Michael Novak e teo-con come George Weigel denunciano “le eresie economiche della sinistra” e trascurano quanto il Papa dice contro lo sfrenato capitalismo di libero mercato. Dall’altro lato, vi sono i teologi della liberazione e i cattolici “socialdemocratici”, che ignorano le critiche di Benedetto XVI allo Stato centralizzato e spingono per soluzioni stataliste della attuale recessione.

In contrasto con entrambe queste fazioni, il Papa ha tracciato una “terza via” cristiana, unendo limiti rigorosi al potere dello Stato e del mercato a una economia civile centrata su imprese mutualistiche, cooperative, unioni di credito e altre soluzioni basate sulla mutualità. Questa concezione viene esaminata e sviluppata da John Milbank nel suo capitolo. Sostenendo un sistema economico reinserito nella società civile, il Papa prospetta una economia politica che trascende la vecchia dicotomia tra Stato e mercato, tra sinistra e destra.

L’opinione comune che la sinistra protegga lo Stato dal mercato, mentre la destra privilegia il mercato rispetto allo Stato, è falsa dal punto vista dell’economia e ideologicamente ingenua. Così come oggi la sinistra vede nel mercato il meccanismo più efficiente per creare ricchezza privata e welfare pubblico, così la destra ha sempre contato sullo Stato per assicurare i diritti di proprietà dei benestanti e per trasformare i piccoli proprietari in lavoratori a basso costo, togliendo loro la terra e le tradizionali reti di supporto.

Questa ambivalenza ideologica maschera una collusione di fondo tra Stato e mercato, come illustra l’introduzione al volume. Lo Stato impone un unico quadro giuridico standardizzato che permette al mercato di estendere le relazioni contrattuali e monetarie virtualmente in tutte le aree della vita. In questo modo, entrambi riducono la natura, il lavoro umano e i legami sociali a merci il cui valore è stabilito solo dalla ferrea legge della domanda e dell’offerta.

Tuttavia, la mercificazione di persone e cose viola un principio etico universale, alla base della maggior parte delle culture nel passato, dove alla natura e alla vita umana è stata quasi sempre riconosciuta una dimensione sacra. Come altre religioni, il cristianesimo difende la inviolabilità della vita e della terra contro la subordinazione di tutto e di tutti del “mercato-Stato” al mero significato materiale e all’utilità economica quantificabile. Come dico nel mio capitolo, questo argomento è stato sollevato inizialmente dagli economisti civili dell’Illuminismo napoletano e sviluppato poi dai cristiani “socialisti”, quali Karl Polanyi e il suo amico anglicano R.H. Tawney; a questo proposito si veda il contributo di John Hughes sulla dottrina sociale anglicana.

Significativamente, il Papa scrive nell’enciclica che “Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali, che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità.Benedetto XVI non difende la società civile come attualmente si è configurata, ma invita a una nuova sua organizzazione in cui il “mercato-Stato” globale sia reinserito in una più ampia rete di relazioni sociali e venga governato da virtù e principi universali, quali solidarietà, fraternità e responsabilità. 

Concretamente, il Papa sembra incoraggiare la creazione di imprese che operino secondo il principio mutualistico, come cooperative o imprese possedute dagli stessi lavoratori, di cui è un esempio la cooperativa Mondragon, basata in Spagna, che ha più di 100mila dipendenti e i cui prodotti fatturano più di 3 miliardi di dollari. Questo tipo di imprese perseguono fini sia privati che sociali, reinvestendo i loro profitti nella società e nella comunità, invece di arricchire solo il top management o gli azionisti. Benedetto sembra anche essere in favore di associazioni professionali e altri corpi intermedi, dove lavoratori e proprietari possono decidere insieme salari giusti e prezzi equi.

Contro la concentrazione di ricchezza nel libero mercato e la redistribuzione di reddito controllata dallo Stato, la maggior parte dei saggi del volume propongono un programma più radicale in linea con l’enciclica: il lavoro riceve delle risorse (sotto la forma di partecipazioni) e affitta capitale (non viceversa); il capitale stesso, in parte, arriva dal lavoratore e da cooperative di credito sostenute dalla comunità, e non esclusivamente da banche guidate dai loro azionisti.

Al pari del “mercato-Stato”, anche finanza e scienza devono essere riportate all’interno delle relazioni sociali e devono sostenere, non distruggere, gli organici legami dell’uomo con la natura, come suggerisce David Schindler nel suo apporto. L’economia mondiale deve passare dalla speculazione finanziaria a breve termine all’investimento a lungo termine nell’economia reale, nello sviluppo sociale e nella sostenibilità ambientale.

Prese insieme, queste e altre idee sviluppate nell’enciclica superano le riforme frammentarie e considerano una trasformazione totale della logica secolare che sostiene il capitalismo globale. Accanto a contratti privati e provvedimenti pubblici, Benedetto cerca di introdurre la logica del dono e dello scambio gratuito nei processi economici, un’idea messa in rilievo nel volume da Stefano Zamagni. Lo scambio di mercato di beni e servizi non può operare adeguatamente senza il dono libero e gratuito della mutua fiducia e della reciprocità, così duramente indebolite dalla stretta creditizia globale.

Papa Benedetto XVI chiede una economia civile che rappresenti una radicale posizione “media” tra la prospettiva esclusivamente religiosa e quella strettamente laicista. La fede può portare a concezioni forti del bene comune e alla convinzione che il comportamento umano, quando disciplinato e guidato, può cominciare ad agire in modo più caritatevole. Ciò può comportare anche conseguenze dal punto di vista secolare: più le iniziative basate sulla fede avranno successo anche in termini laici (ad esempio, maggiore sicurezza economica, equità, sostenibilità e partecipazione civica), più facile sarà per le istituzioni secolari adottare elementi di questo approccio, senza tuttavia far proprie le sue basi religiose. La concezione di Benedetto di una economia politica alternativa può essere così accolta sia da chi ha fede e sia da chi non ne ha.