Giuseppe Toniolo ha avuto l’avventura di vivere la sua esperienza di economista in un periodo storico particolarmente difficile e assai travagliato. Sia per quanto riguarda i contrasti ideologici che intercorrevano tra l’ideologia socialista, i presupposti del libero mercato e l’avanzarsi (e farsi sempre più pressante) del capitalismo di matrice finanziaria, sia per quanto riguarda il quadro politico: la sua Treviso sarà governata dagli austriaci, dai francesi, ancora dagli austriaci e, infine dagli italiani. Fu quello un periodo travagliato anche sotto il profilo ecclesiale: egli partecipa al luminoso periodo di speranze aperte dall’enciclica Rerum novarum, ma successivamente gli è dato di dover obbedientemente accettare i pressanti “richiami” di Pio X.
Dobbiamo rammentare che fu quello un periodo storico ove le forze economiche, più che cercare profili di equo assestamento, erano interessate a far prevalere la propria posizione in aperto contrasto con quelle avversarie. Affatto veniva ricercata una soluzione che equamente trovasse una conveniente risposta alle esigenze avanzate; più che un dialogo si instaurò e si radicò lo scontro che, nel tempo, divenne inimicizia e pose barriere spesso invalicabili fra i due principali fattori della produzione: il lavoro e il capitale.
Forgiando il suo pensiero sui contenuti e sulle tracce che Leone XIII aveva impresso nella sua enciclica, Giuseppe Toniolo osservava la realtà ed avanzava risposte ponendo sempre al centro del suo discorso economico-sociale la persona umana e mai seguendo gli astratti ed anche ideologici pre-supposti di comportamento economico che venivano e vengono imperativamente attribuiti ai fattori produttivi e alle vicende economiche. Astratti perché avevano (ed ancora oggi hanno specialmente negli ambienti accademici) ruoli e comportamenti prestabiliti all’interno di modelli di impresa, e di mercato a loro volta prestabiliti, i quali sarebbero protesi solo a massimizzare o minimizzare certi risultati comportamentali. Sono questi modelli, spesso, di tipo statistico-matematico e che spesso nascono già con pretesi e prestabiliti obiettivi ideologici da postulare; modelli che spesso si riducono solo a compiacersi della loro “bontà” intrinseca e poco delle fattive soluzioni che avrebbero dovuto suggerire o apportare alla realtà che indagavano. Dobbiamo anche rilevare come in questi modelli spesso è solo il fattore capitale quello che è chiamato ad aggregare gli altri fattori produttivi e che, di conseguenza, traccia le possibili soluzioni, effettua le scelte e domina la scena.
A questi modelli capitalistici e tornacontisti si erano opposti Marx e i suoi seguaci enfatizzando, a loro volta, altri e diversi presupposti per i quali, da un lato, la proprietà privata dei mezzi di produzione (il capitale) era considerata un delitto e i diritti del fattore lavoro non era più ricompresi nella persona del lavoratore, ma erano astrattamente trasferiti nella collettività dei lavoratori di un certo paese.
Il Toniolo veniva così a trovarsi a dovere fare i conti con due diverse tipologie materialistiche dell’economia: quella capitalistica ove al fattore capitale era assegnato il potere di fare e di disfare le scelte economiche, e quella marxista ove ad una generica collettività di lavoratori era assegnato il potere delle decisioni che però, di fatto, era trasferito al partito dei lavoratori ed alla sua correlata “capacità educativa” da esercitarsi tramite la dittatura del proletariato. Il Toniolo aveva ben presente i limiti e gli errori etici delle due opposte posizioni, e senza avere la pretesa di rinvenire una terza via cercò – partendo dalla visione del libero mercato (che è cosa diversa dal mercato capitalistico) e dai limiti naturali che debbono essere assegnati alla proprietà privata – di impostare soluzioni che fossero protese al bene comune generalizzato e non al cosiddetto bene totale statistico del capitalismo o al bene totale proletariamente imposto del marxismo.
Il Toniolo intravede una possibile correzione dei modelli logico-deduttivi e della chiusa razionalità dei processi assunti dagli economisti liberali attraverso l’introduzione nella ricerca economica di dati antropologici accanto a quelli meramente economici; dati antropologici che se, da una parte, complicavano il lavoro di ricerca, dall’altro avrebbero avuto il compito di affinare la ricerca stessa rendendola più aderente rispetto alle variegate posizioni culturali, religiose e psicologiche coesistenti nelle specifiche realtà mondane. In questa maniera, il produttore, il distributore, il risparmiatore, il consumatore, ecc., non sarebbero più stati identificati, sic et simpliciter, con l’uomo economico della letteratura (cioè con una pre-assunzione di tipologia della persona umana che era astratta, astorica e sostanzialmente irreale, in quanto completamente svuotata di psicologia, di socialità, di autonoma volontà comportamentale e di “cuore”), ma, di fatto, sarebbero divenuti modelli di riferimento maggiormente concreti, in quanto i loro bisogni e le loro attese sarebbero emersi dall’indagine concreta e così sarebbero stati apprezzati anche tramite analisi qualitative idonee allo studio dei fenomeni socio-antropologici.
Ciò che ispirava questa posizione (che la dottrina sociale della Chiesa ha fatto propria dalla Rerum novarum in poi) sono, nella loro sintetica sostanza, i riferimenti evangelici per cui l’uomo non vive di solo pane e per cui non si deve fare agli altri ciò che non si vuole che gli altri facciano a noi. Erano questi i saldi presupposti etici in cui si radicava e si dipanava la ricerca socio economica di Giuseppe Toniolo e proprio in virtù di questi presupposti, egli non si poteva accontentare di analisi e di risultati che acriticamente si ponevano come obiettivo soluzioni neutrali o ideologicamente di parte, ma spingeva la sua analisi dentro le congiunture e le parti componenti il sistema economico per rinvenirne quelle soluzioni che fossero logicamente e congiunturalmente le più aderenti ai dettati etici del Vangelo e, di conseguenza, più aderenti ai bisogni della persona umana e al bene comune.
Proprio per questo egli poteva scrivere: “Gesù dirigete gli studi e l’attività mia al mio perfezionamento e alla Vostra gloria”. Viene così sottolineata l’intelligenza del povero di spirito che ricerca soluzioni per il reale che siano al contempo rispettose della singola persona umana e del bene comune della collettività, per cui mai la persona deve diventare numero-individuo, mai l’interesse del singolo deve prevalere sull’interesse di un altro o della collettività, mai la collettività deve disinteressarsi, nell’ astratto perseguimento del bene totale, del bene delle singole persone che quella collettività costituiscono. Per Giuseppe Toniolo la pace sociale deve sempre essere postulata, ma avendo cristianamente coscienza che essa è pur sempre un dono e che deve essere continuamente richiesta anche attraverso una coerente ricerca scientifica: la ricerca come continua preghiera.
È questa la sostanza della sua posizione socio-economica che molti strali gli attirerà non solo da parte del mondo laico, ma anche da quella parte del mondo cattolico che aveva la pretesa di tenere segregato nel privato il fatto religioso rispetto all’interesse pubblico, il quale, invece, sarebbe dovuto scientemente e neutralmente essere perseguito e questo per la pretesa di rendere l’economia una scienza, ovvero un ragionamento sul reale umano a cui si ha la pretesa di dare soluzioni solo attraverso lo strumento matematico-statistico.
Giuseppe Toniolo è convinto che nell’operatività economica la spinta propulsiva deve rintracciarsi in un sano tornaconto, ma è, altresì, convinto che questo interesse non dovrà mai trasformarsi in un principio da dover massimizzare ad ogni costo e che mai può trasformarsi in speculazione e in ricerca del potere di un individuo o di una collettività su altri individui o su altre collettività. Tutto questo perché nella prospettiva cristiana la spasmodica ricerca del tornaconto resta pur sempre in contrasto con il perseguimento del bene comune e della solidarietà economica e mai, specialmente nei confronti del lavoro, potrà trasformarsi in soluzioni di “materialismo cupido” da spingere “gli industriali fino al parossismo il lavoro degli operai, come mezzo a guadagni sfruttatori, mentre gli operai lo subiscono soltanto come necessità e lo dispettano come un marchio di novella servitù”. Il suo ragionamento diviene anche un preciso monito verso l’ozio finanziario allorché evidenzia: “Poco giova ad un paese l’avere molti proprietari di terre forse incolte, o molti capitalisti forse oziosi che vivono di prestiti allo Stato; bensì altamente profitta l’avere il massimo possibile di proprietari e capitalisti che direttamente partecipino colla la loro operosità personale agli ardimenti e ai sacrifizi del lavoro produttivo”.
Questo ci introduce ad un tema centrale nella ricerca del Toniolo, il rapporto tra capitale e lavoro. Sarà questo un tema che impegnerà tutto il secolo trascorso e che ancora oggi coinvolge il dibattito etico e scientifico. Nell’analisi del Toniolo il capitale, differentemente dal lavoro e dalla natura, non è un fattore produttivo originario, ma è, in buona sostanza, “un prodotto, e quindi un risultato di un’anteriore industria… è un prodotto sottratto al consumo e destinato ad ulteriore produzione”. In questo senso il capitale deve essere inteso e trattato come “un fattore artificiale cioè preparato dall’uomo col concorso della natura, e non già primigenio come questi due…” per cui “il capitale per sé immediatamente non è produttivo, ma solo mediatamente, cioè soltanto per mezzo delle forze umane e di natura”; di conseguenza “la funzione del capitale è complementare, cioè integra quella del lavoro e della natura”. Da tutte queste posizioni logiche il Toniolo ne consegue che: “Più largamente deve dirsi, che se autore del capitale è l’uomo, avuto riguardo alle cause concomitanti, il capitale è figlio di tutta l’umana civiltà”; per cui occorre tenere sempre presente “che se il lavoro domina progressivamente la natura per mezzo del capitale, è sempre l’uomo che trionfa, sicché la produzione economica è umana per eccellenza, anche allora che per ingente impiego ed uso stromentale del fattore capitale si parla di economia capitalistica per eccellenza”.
Queste affermazioni, in piena sintonia con la Rerum novarum, costituiscono i presupposti logici al postulato del primato del lavoro sul capitale che la Dottrina della Chiesa sempre affermerà sino a delucidarlo in tutti i suoi risvolti economico-sociali nelle tre encicliche sociali di Giovanni Paolo II e sino ad interrogarsi se sia eticamente corretto attribuire al solo capitale qualsiasi livello di reddito netto prodotto dall’impresa o se, invece, una volta che fosse garantita la remunerazione congrua per il rischio ontologico d’impresa al capitalista, l’eventuale eccedenza non dovesse essere opportunamente suddivisa (o rimanere a disposizione dell’impresa) tra lavoro e capitale nella considerazione che il reddito in esubero a quella remunerazione debba congiuntamente attribuirsi a questi due fattori che “abitano” l’impresa.
Questi sono i presupposti da cui si diparte il ragionamento del Toniolo circa il rapporto tra capitale e lavoro. Il lavoro ha il primato rispetto al capitale perché in un’economia che abbia a ripudio il fatto speculativo è il lavoro che produce la ricchezza, e la parte di questa che non è consumata o sciupata va naturalmente a costituire il capitale sia sotto forma finanziaria che di insieme coeso di beni. Sarà, quindi questo accumulato stock di ricchezza che dovrà, almeno nella parte che meglio si presta allo scopo, essere riutilizzata per generare nuovo lavoro, questa è la naturale vocazione del capitale disponibile. Se, invece, questo ontologico e proficuo circuito viene interrotto e se il capitale, a cui si potrebbe dare la destinazione di investimento per la produzione di lavoro, lo si sottrae da questa sua naturale vocazione, allora prenderà piede la speculazione e il capitale, possibilmente sotto forma finanziaria, sarà destinato a produrre nuova ricchezza finanziaria e avrà il compito di arricchire chi è già ricco e di non generare o mantenere i livelli occupazionali.
Avendo questo retroterra etico-culturale, Giuseppe Toniolo si impegna a favorire, nella concreta realtà economica, tutte quelle forme aziendali in cui il lavoratore assume una parte attiva nella gestione sia del capitale che del proprio lavoro. Individua nell’impresa cooperativa lo strumento che meglio permette di perseguire questi obiettivi socio-economici. Tramite lo strumento cooperativistico egli, al contempo, intende educare alle vicende della realtà economica e far progredire i lavoratori, i quali, nel voluto isolamento delle loro singole possibilità in cui li aveva posti il potere del capitale, spesso non sono in grado, se non adeguatamente supportati nella solidarietà e nella mutualità, di mettersi insieme per ricercare soluzioni che favoriscono l’esercizio diretto di attività di intrapresa. Allo stesso tempo si operava per la nascita di associazioni sindacali che fossero ispirati dall’ossequio al principio solidale del bene comune, affinché il lavoratore della fabbrica e della campagna potesse essere in grado di contrapporsi in maniera adeguata al potere padronale e a quello del capitale al fine di sostenere le proprie necessità sociali.
Anche per il sostegno di queste attività produttive di tipo artigianale o cooperativistico egli si opera per la costituzione di istituti che gestissero mutalisticamente il credito e che fossero direttamente collegati alle attività produttive di un certo territorio, e questo perché questi istituti “respirando” più direttamente l’area economica del territorio di loro riferimento fossero non solo più vicini alle necessità congiunturali di quelle economie, ma fossero anche strumento per sollecitarne le crescite dimensionali e per dare a loro un sostegno finanziario che altrimenti non avrebbero avuto. È questo il disegno di un’economia solidale ove il lavoro, il capitale, le attività produttive si sostengono solidariamente insieme e dove la persona umana è posta nuovamente al centro delle vicende economiche.
La pretesa neutralità dell’economia e delle sue correlate operatività non è in grado di perseguire questi obiettivi, ma per farlo diviene necessario che essa ponga le sue radici e si sviluppi sul e con il principio etico del bene comune. Giuseppe Toniolo ha rinvenuto la sostanza di questo principio nell’etica cristiana, la quale, egli afferma: “deve assumersi come la più alta e sicura espressione dell’etica razionale”. Confermando così la sua certezza nella ragionevolezza e nella razionalità della proposta cristiana.