L’ultima scoperta di Corbellini, prospettata come la verità delle verità nell’articolo intitolato “I geni dell’autoinganno” e apparso sull’ultimo domenicale del Sole 24 Ore, è che tutti coloro che continuano a praticare l’interpretazione dei processi sociali secondo i principi dell’interrogazione filosofica sono artefici della riproduzione di una “menzogna universale” che viene spacciata per ricerca dei significati della storia umana. Corbellini scrive testualmente (recensendo un libro di Robert Trives) che “a partire dalla religione, che si basa per definizione su falsità, tutti i saperi umani diversi dal sapere scientifico in senso stretto sono stati e continuano ad essere uno strumento dell’autoinganno che colpisce i sistemi della conoscenza”. Accusa di una perentorietà implacabile se si considera che, secondo Corbellini, “l’autoinganno è all’origine delle più terribili tragedie che vanno dalle separazioni familiari, alle guerre, ai disastri aerei e spaziali, alle manipolazioni dei fatti storici dove le nazioni si raccontano falsità nel presunto interesse delle cosiddette patrie”.
Ho scoperto così alla mia veneranda età di essere stato complice inconsapevole di crimini efferati e di portare sulle spalle la responsabilità di avere ingannato me stesso e tutti coloro con cui ho condiviso l’esperienza del mio impegno sociale, culturale e scientifico.
La difesa ad oltranza da parte di Corbellini del metodo scientifico, fondato sulla verificabilità empirica come unico metodo di ricerca che autorizza a prendere la parola sulle questioni del mondo, non lascia scampo a nessuno di quelli che continuano a considerare l’essere umano una complessità mai completamente accessibile, e la nostra stessa civiltà come un enigma nella vicenda dell’intero universo.
Corbellini, commentando il volume di Trives sopra richiamato, sostiene che i genitori, per favorire la diffusione dei propri geni, ingannano i figli e si autoingannano affermando che operano soltanto per realizzare il loro bene. Per seguire l’egoismo genetico della difesa ad oltranza del proprio patrimonio personale o di gruppo, gli esseri umani contrasterebbero con la menzogna la verità del processo evolutivo che è documentato da tutta la biologia. L’autoinganno e la menzogna si sarebbero sviluppati per rendere efficace l’interpretazione del mondo più conveniente alla propria sopravvivenza inducendo gli uomini ad ingannare se stessi e gli altri. A causa di questa persistenza dell’attitudine a mentire, si è prodotto un conflitto genetico da cui dipendono le sorti dell’umanità. Una parte delle informazioni che riceviamo secondo la sequenza delle mappe dei percorsi di vita segnati nel nostro Dna sono veritiere e consentono a livello inconscio di realizzare l’autenticità degli stimoli naturali, legati alla catena biologica mentre, al contrario, la parte delle informazioni elaborata consapevolmente è falsa: la coscienza umana è in realtà un luogo di manipolazione e di inganno che contrasta le tendenze naturali, inscritte nella nostra vicenda biologica a partire dal programma genetico di cui siamo espressione.
Costruiamo paradigmi interpretativi e teorie sociali per imbrogliare gli altri e noi stessi fino a falsare totalmente anche i racconti personali. Verità e menzogna sono dunque il riflesso di un conflitto fra il codice genetico, che guida i nostri comportamenti “naturali”, e la falsa coscienza che ne deforma il significato per trarne vantaggio per profitti personali. Tuttavia, anche questa parte della manipolazione falsificante è, secondo Corbellini, legata alla presenza di moduli inconsci, dediti all’inganno “e correlati anatomici le cui caratteristiche sono predittive di maggiori o minori capacità di inganno e autoinganno”.
Tutto questo argomentare, suggestivamente fondato sulle nuove conoscenze neurobiologiche, tende ad istituire un nuovo discrimine fra verità e menzogna, costituito dal metodo scientifico di cui tutti i saperi diversi, muovendosi soltanto sul terreno dell’illusione e della falsificazione, ne sono privi. Il metodo scientifico è l’unico che si affida all’esperienza e che attribuisce alla verifica sperimentale il vero e unico antidoto all’autoinganno e all’inganno generalizzato dalla cultura nella quale siamo finora vissuti.
Chiunque abbia seguito sin qui il tentativo di esporre le tesi dell’articolo che ho richiamato, può rendersi conto del senso di smarrimento che si prova di fronte a questa vertiginosa fuga dalla realtà che tende a ridurre tutti coloro che non la pensano come Corbellini ad impostori opportunistici che mirano soltanto a conservare e difendere la propria sopravvivenza personale attraverso la riproduzione del codice dell’autoinganno. Il dubbio che subito mi pervade è che Corbellini non sia affatto consapevole di quanta volontà di potenza e desiderio di assoggettamento degli altri ci sia nel suo modo di difendere il primato del metodo scientifico. Intanto mi viene spontanea una prima banale considerazione (forse anch’essa prodotta dalla mia tendenza all’autoinganno): una volta che tutto viene ricondotto a meccanismi genetici, determinati dalle predisposizioni biologiche di ciascuno di noi, come si fa a distinguere tra stimolazioni che producono rappresentazioni veritiere e stimolazioni che invece alimentano l’autoinganno? Se restiamo fermi al campo del conflitto genetico, come si fa su questo piano puramente naturale e meccanicistico a distinguere i geni buoni da quelli cattivi, visto che la conclusione più banalmente logica di questa premessa è che tutto ciò che risulta geneticamente determinato corrisponde ad attitudini naturali, inscritte nel programma genetico di ciascuno di noi? Se anche i geni ci spingono all’inganno e alla menzogna, e se la civiltà ha visto la prevalenza di questi geni su quelli dell’autenticità e della verità, come si fa poi a considerare il risultato di una dinamica genetica in termini di falsità o verità? Tutto ciò che è geneticamente determinato dovrebbe essere scientificamente vero.
L’autoinganno della coscienza presuppone un dualismo tra coscienza e incoscienza che certo non può essere ricondotto alla differenziazione dei geni, giacché tutto ciò che è riconducibile a dinamiche genetiche non può che essere omogeneo sotto il profilo della verità o della falsità. O la capacità della coscienza di produrre interpretazioni controfinalistiche rispetto alla verità genetica implica la presenza di un ordine del discorso non determinato geneticamente, oppure ogni discorso dovrebbe risultare giustificato dalla pura dinamica biologica del nostro patrimonio genetico.
A questo punto la domanda che viene spontaneo porsi è a quale strategia del potere di controllo risponde una linea argomentativa come quella di Corbellini, dal momento che non si riesce certamente a trovare un certificato di garanzia della verità delle sue affermazioni sulle dinamiche psicosociali degli esseri umani. Per quale ragione non può essere applicato alla tesi di Corbellini lo stesso paradigma che può essere applicato anche agli altri saperi? È proprio un inammissibile autodafè quello che consente a Corbellini di esprimere giudizi così perentori di falsità e inautenticità ai discorsi di tutti i saperi che non siano il suo.
Corbellini rappresenta lo spirito del tempo come dimostra la consonanza con gli articoli di Sandro Modeo che appaiono sul supplemento del Corriere della Sera. Nel suo ultimo saggio, intitolato L’etica è una questione di ormoni, Modeo ha completamente liquidato tutta l’inquietudine dell’animo umano espressa nelle opere d’arte dei monumenti della nostre città. Il nuovo libro di Patricia Churchland, Neurobiologia della morale, rende finalmente giustizia di tutte le discussioni etiche che vanamente gli uomini hanno cercato di alimentare nel corso dei secoli. Secondo Modeo, che riferisce il contenuto di questo libro, 700 milioni di anni fa una stringa di aminoacidi ha influenzato non solo la fisiologia del parto ma ha anche prodotto l’attaccamento della madre e la protezione dei cuccioli della sua specie. Il fondamento dell’etica, secondo Modeo, trae origine dall’esempio della mamma topo che include nel proprio spazio biologico quello dei piccoli da nutrire, pulire e proteggere anche quando non sono propri figli. In realtà, secondo questa scoperta, l’ossitocina ha introdotto la pratica della cura extraparentale, predisponendo così il nostro antenato topo a porsi il problema della responsabilità verso gli estranei alla propria discendenza. I “topi della prateria”, monogami e solidali, hanno introdotto nell’evoluzione degli esseri umani l’attitudine a valutare moralmente la responsabilità verso i non parenti. Tutto il processo evolutivo che porta alle argomentazioni morali anche della nostra epoca è determinato dall’ormone dell’ossitocina che è alla base del mutualismo e della cooperazione sociale. L’ossitocina è l’ormone della solidarietà morale fra gli esseri umani, e la sua presenza basta a determinare la differenza a livello neurofisiologico tra l’anaffettività di un serial killer, caratterizzato da un deficit ormonale, e la stabilità di una coppia di uomo e donna che si prende cura della propria prole e che è affettuoso anche con i vicini di casa.
Francamente non saprei cosa rispondere di fronte a questa vera e propria offensiva del sapere neuroscientifico e neurobiologico, giacché mi trovo al bivio di sentirmi o l’erede di un topo delle praterie americane o di un intellettualoide medievale che ha inventato per ragioni di potere le categorie del bene e del male. Sarebbe facile liquidare queste posizioni inquadrandole in quelle che le scienze sociali classificano come fuga dalla realtà e delirio megalomane se non mi rendessi conto che oggi questa divulgazione pseudoscientifica sull’ultima verità della condizione umana non esprimesse una strategia di deresponsabilizzazione di ciascuno di noi rispetto ai propri comportamenti e se non mi suscitasse il dubbio che siamo in presenza di una vera e propria offensiva neomaterialista che tende a rendere possibile un controllo biochimico degli esseri umani.
Un pianeta sovraffollato come il nostro non è governabile senza un paradigma scientista che condanni ciascuno di noi a fare i conti col proprio genoma e con la propria ereditarietà biologica. Nessun altro mondo è possibile in una visione scientista in cui la libertà di progettare il proprio destino è soltanto espressione di autoinganno e negazione dell’evidenza proposta dalla sperimentazione delle scienze neurobiologiche.
Ciò che mi sorprende invece è che negli stessi inserti che contengono questi articoli ci siano poi scritti che sembrano apertamente contrastare questa visione del mondo. Come mai il cardinale Ravasi, che si fa promotore del “Cortile dei gentili” per favorire il confronto fra fede e scienza, scrive nello stesso supplemento domenicale in cui si professano le tesi di Corbellini un saggio sui detti di Gesù (pubblicati a cura di Matteo Grosso, nel volume intitolato Il Vangelo secondo Tommaso), nel quale si ripropone la tesi del Cristo Messia come fonte di meditazione dell’uomo contemporaneo? Un lettore di giornali, che abbia la pazienza di seguire i diversi interventi, non può non restare sorpreso: Corbellini denuncia la menzogna universale di ogni religione mentre Ravasi, qualche pagina dopo, ripropone il mistero di Cristo come tema attuale per la comprensione della crisi della nostra civiltà.
Come si orienta un lettore del domenicale del Sole leggendo Corbellini e Ravasi? Non è forse questa strana convivenza una fonte di equivoco che disorienta ciascuno di noi nella configurazione dei temi reali del confronto che si dovrebbe sviluppare? Cosa è necessario per arrivare alla conclusione che la proposta che viene dalla neurobiologia è oggi un tentativo di cancellare la storia umana e di farci accettare un anno zero il cui futuro è soltanto nella mani di scienziati e tecnici? Lo chiedo agli autori degli articoli e a tutti noi come una necessità di uscire da ogni equivoco e assumersi finalmente la responsabilità di ciò che si pensa o si dice avendo il coraggio e la forza di contrastare le pretese egemoniche dell’attuale offensiva neonaturalistica.