L’uomo dell’acqua, ultimo libro di Alver Metalli, convince ancora una volta che la misura del racconto sia quella che più si addice alla sua sensibilità e meglio esprime l’intenzione narrativa che sta alla base delle sue storie. I tre racconti che compongono il volumetto (il primo che dà il titolo all’insieme, poi Strane cose a Magdalena e infine Zia Concezione) hanno come scenario la condizione dei popoli latinoamericani. Quei popoli che Alver Metalli conosce da decenni per l’attenzione che vi dedica come giornalista e perché il sub continente sudamericano è casa sua oramai da molto tempo.



Si capisce bene che i racconti non sono frutto di invenzione disincarnata. Sicuramente Metalli ha visto di persona villaggi come quello de L’uomo dell’acqua: un posto abitato da sempre dalle medesime famiglie che fanno gli stessi lavori, un posto attanagliato dalla siccità, dalla fatica di sopravvivere, dal ripetersi all’infinito di azioni uguali a se stesse. Sicuramente ha osservato direttamente il pellegrinaggio alla casa di qualche sciamano, come quello che abita a Magdalena e che con umiltà esercita il suo speciale dono – in questo caso quello di far smettere di fumare – solo in particolarissimi giorni dell’anno. Sicuramente ha constatato de visu quale disperazione porti migliaia di messicani ad ammassarsi lungo il muro che divide il loro Paese dall’eldorado statunitense a Tijuana e a scavalcarlo cercando poi di sfuggire alle pattuglie frontaliere nordamericane.



Questi i tre scenari dei racconti; ma, appunto, si tratta di racconti e non di reportage giornalistici. La differenza non è solo nel genere letterario, bensì in quello che ultimamente si intende dire. Dal punto di vista letterario Metalli descrive le situazioni che ha visto facendole emergere dal muoversi e parlare dei suoi personaggi. È un’azione drammatica, si potrebbe dire, una vera storia che si svolge. Una storia corale nel primo racconto, dove nel sonnolento paesino nella morsa della siccità arriva la notizia che sta per arrivare un famoso professore che è in grado di trovare una falda nascosta e, così, far di nuovo scorrere il fiume che un tempo – ricordano di aver sentito dire i più vecchi – lambiva il paese.



Nel secondo racconto il dramma è tra due persone: il fumatore inseguito dal pensiero intermittente ma stabile di affidarsi – irrazionalmente? Sì, risponderebbero gli smaliziati colleghi giornalisti – alle cure di un mite sciamano per smettere di fumale e lo sciamano stesso che all’inizio rifiuta i suoi servigi perché troppo stanco. Nel terzo racconto il protagonista è una guardia di frontiera americana dallo strano nome – Paternoster – e dall’ancor più strana zia (la Concezione del titolo), vecchia bigotta che ad ogni circostanza aveva pronta la massima biblica da applicare; vecchia bigotta sì, eppure il nipote poliziotto non se ne può dimenticare e quelle massime non smettono di fargli da guida, quasi controvoglia, nelle scelte che deve compiere.

Quello però che fa di questi spaccati di umanità latinoamericana un’opera letteraria è che ciò che vogliono dire deborda il limite storico e geografico in cui l’azione si svolge ed assume una connotazione universale. Niente di predicatorio o di definitorio, intendiamoci. Anzi Alver Metalli in tutti e tre i racconti lascia intenzionalmente aperto, o solo accennato, il finale. Non è la definizione che gli interessa, ma una dinamica. La prima avrebbe il cattivo sapore di una ricetta che va bene solo per luoghi e persone di cui si parla; la seconda me la sento addosso anch’io che in Sudamerica ci sono stato solo una volta e di scappata.

La dinamica è quella dell’attesa che, già di per se stessa anticipa in qualche modo ciò che si attende; così gli abitanti del villaggio assetato ne hanno già trasformato ed abbellito il volto semplicemente mettendosi in azione per ricevere l’uomo dell’acqua che non si sa se arriverà. La dinamica è quella dell’affidarsi per uno che sa che non ce la farà mai a togliersi da solo un vizio come quello di fumare del protagonista del secondo racconto. La dinamica è quella della pietà che differenzia il poliziotto Paternoster dai suoi volgari colleghi, del tutto indifferenti alle sofferenze dei poveracci che scavalcano il muro. Per loro è una questione di routine acciuffarli e rimandarli di là; Paternoster non ce la fa: gli rodono dentro le massime bibliche di zia Concezione.

 

Alver Metalli, L’uomo dell’acqua, Gallucci, Roma 2012