“Gli dissi che non mi pareva giusto che il mondo sapesse tutto di come vive il medico, la prostituta, il marinaio, l’assassino, la contessa, l’antico romano, il congiurato e il polinesiano, e nulla di come viviamo noi trasmutatori di materia”.
Primo Levi stava ripensando alla sua carriera ormai compiuta di chimico industriale e immaginava di dedicarsi con più impegno alla letteratura. Con quelle parole, tratte dal capitolo Argento del suo Sistema periodico, voleva spiegare a un vecchio amico cosa lo spingesse a scrivere. Pensando alla scarsa cognizione che ha il pubblico di quel che fa un chimico, sarebbero parole ancora attuali; è vero che da qualche anno si vedono spesso personaggi in camice bianco nei laboratori dei telefilm, ma le vicende in cui operano restano perlopiù legate a medicina, assassinii e congiure, mentre le vite poco segrete di prostitute e contesse non trapelano più da libri proibiti ma ci annoiano ad ogni ora del giorno.
Eppure anche in quel caso Levi sembrava giocare con il lettore, tra ironia ed understatement, perché le sue pagine sono su un piano completamente diverso dalla semplice narrativa e men che meno dall’aneddotica. Non si spiegherebbe altrimenti come mai, nel venticinquesimo anno della sua tragica fine, da tante parti del mondo lo si sia ricordato non solo per la sua immagine di testimone dell’orrore, ma ancor più per la sua complessiva dimensione di scrittore. E se pensiamo a quale spazio occupano le basaltiche pagine di Se questo è un uomo nella storia e nella coscienza del 900, sembra quasi incredibile che sia un altro il capolavoro per cui viene considerato tra i maggiori del suo tempo. Il sistema periodico, appunto.
Rubo qualche riga per descrivere il libro a chi non lo conoscesse (il garbo verso il lettore mi imporrebbe di scrivere “a chi non lo ricordasse”. Ma, amici, siamo seri: chi lo ha letto non lo dimentica!). I nomi degli elementi che danno il titolo a ognuno dei 21 capitoli sono spunti logici per ripensare alla propria biografia, magari come semplice metafora (Argon, Ferro), ma il più delle volte come delle concrete madeleine che riportano a momenti significativi. Solo raramente riappaiono le immagini della prigionia, come nelle riflessioni di Vanadio che anticipano quelle definitive di I sommersi ed i salvati, ma anche nelle poche pagine di Cerio, che alterna leggerezza analitica a quel gusto picaresco che ha sempre accompagnato Levi, dalle memorie de La tregua al romanzo di Se non ora, quando?.
Più spesso si tratta di esperienze vissute di un tecnico, come gli spassosi Azoto e Cromo. I due racconti più antichi risalgono ai giorni in cui un neolaureato ebreo aveva trovato fortunosamente un impiego in una cava defilata dal fanatismo razziale, e dedicava a leggere e scrivere le sue sere solitarie. Il primo dei due, Piombo, è da solo un piccolo capolavoro: racconta la storia di un antico cavatore, Rodmund, di cui si intuiscono le origini forse scandinave e l’arrivo nella Sardegna ricca di minerali. Mi è capitato di leggerlo a scuola, di fronte a studenti che non sapevano di cosa si trattasse, con pochi trucchi scenici come porre l’aula in penombra e nascondere la copertina del libro. L’ho fatto raramente – non bisogna inflazionare i miracoli – ma ho sempre visto su di me occhi rapiti in un silenzio irreale: e questo, con la letteratura da poco, non capita.
Tra i molti articoli apparsi nelle ultime settimane, ho trovato davvero efficace A life scientific di Ian Thomson, anche perché le pagine del Financial Times non sono sospettabili di parzialità verso la narrativa nostrana (o la chimica). La tesi dell’autore è che non solo i libri di Levi siano prodigiosi in sé, ma che Il sistema periodico sia stato niente meno che la molla che ha rimesso in moto un’antica ma abbandonata tradizione, quella della grande letteratura ispirata da argomenti scientifici, da Lucrezio a Darwin.
Thomson cita Dawkins e ovviamente Stephen Jay Gould (quest’ultimo forse più vicino alla levitas del Nostro, penso ai saggi di L’altrui mestiere), ma è appena il caso di aggiungere Sacks, che volutamente aveva messo il tungsteno nel titolo della sua autobiografia. L’attenzione con cui il critico ha gustato le pagine di Levi arriva anche a quella curiosa antologia letteraria personale che è La ricerca delle radici, in cui due titoli evocatori di spunti etici come Le parole del Padre e La misura di tutte le cose si riferiscono, e non per scherzare, alle norme di sicurezza del manuale di laboratorio del Gatterman e ad una norma tecnica Astm per valutare la resistenza degli adesivi all’attacco degli scarafaggi!
E da qui torniamo direttamente ad Idrogeno, il racconto delle diverse motivazioni per cui due adolescenti si apprestavano a scegliere lo studio della chimica: “Ero sazio di libri, che pure continuavo a ingoiare con un voracità indiscreta, e cercavo un’altra chiave per i sommi veri: una chiave ci doveva pur essere, ed ero sicuro che, per una qualche mostruosa congiura ai danni miei e del mondo, non l’avrei avuta dalla scuola”. La filosofia del liceo classico gli aveva insegnato le domande, dalla chimica cercava – e nella chimica aveva trovato – tante risposte, finché quella chiave gli ha permesso di comprendere la dignità dell’uomo nel Creato, artefice e spettatore insieme. Mi vien da pensare a come la chimica sia ulteriormente avvilita dalla nuova riforma scolastica, ma non stiamo a sparare sulla Croce Rossa.
Non riesco però a chiudere senza ricordare due suoi libri meno famosi, ma ai quali ritorno spesso per prendere una boccata d’aria. Storie naturali e Vizio di forma, cioè i primi dopo La Tregua (usava lo pseudonimo di Damiano Malabaila, come per non mescolare il sacro con il profano). Sono due raccolte di racconti di fantascienza, a volte di puro divertimento come nella parodia della creazione vista con gli occhi di una riunione tecnica aziendale, ma alternati ad altri di una profondità angosciante, come il dittico sull’ipocrisia degli aiuti umanitari La nutrice – Il rafter, la chiusura apocalittica di Ottima è l’acqua o le riflessioni bioetiche di Versamina o di Trattamento di quiescenza che, fra l’altro, anticipa temi diventati poi abituali nel cinema.
Levi a scuola non si legge, tranne la sua sconvolgente opera prima. E forse è un bene, perché è troppo grande per essere soffocato dalla routine del risaputo. Difficile inquadrare nelle formulette critiche dei libri di testo un autore che riesce a fare letteratura pensando alla tissotropia del filo di una ragnatela.