Lo stupore si rinnova nel contemplare l’alternarsi delle stagioni, la Primavera erompe con il risveglio verdeggiante delle piante, con il manifestarsi colorato dei fiori. Proprio alla pari del “seme evangelico”, che se non muore non porta molti frutti, così la nuova fase del tempo reca con sé la vita nella variopinta bellezza del cosmo. Nel ciclo liturgico della fase forte di riflessione, la Chiesa ha fatto meditare pensare con attenzione offrendo come guida tre temi: la preghiera come atteggiamento dello spirito per elevarsi a Dio con un umile sentire di sé in orazione. “Orare” significa pregare il divino per onorare la sua magnificenza creante, e insieme esporre i nostri bisogni, le aspirazioni legittime inappagate. Far piovere dal Cielo la grazia sulla terra.
La sobrietà del vivere, l’altro tema guida, in termini più austeri significa “penitenza”. Anche l’esistere (“la pena del vivere”) ha la sua ascetica, la sua fatica, lo sforzo per superare gli ostacoli dell’umana vicenda. In tempi di conclamata crisi economica, con più facilità bisogna prendere atto dei limiti generali e vivere entro le frontiere del possibile, secondo la misura della saggezza cristiana e dell’imbarazzo generale.
C’è poi l’invito di fare la carità per sollecitare il nostro spirito al distacco affettivo dalle realtà terrene di questo mondo. E sovvenire con la lucidità del razionale chi manca del necessario per una vita dignitosa per essere chiamata umana. La carità più grande è obbedire a Dio, poiché la celebrazione del Triduo Pasquale ci dice di offrire un culto con l’Offerta (che è Cristo che si dona nella Passione) “in spirito e verità” a Dio Padre: tenerezza di paternità universale. “Dio vuole tutti salvi” bussando alla nostra libertà di opzione.
Pasqua è Dio che passa, interpella ogni coscienza per un retto vivere nell’onestà dei rapporti con gli altri e con l’Altro; è un introdurci nel Pane dell’Amore (Cristo nell’Eucarestia) per vivere nell’intimità della Comunione, ove si perfeziona “la pienezza della carità”.
Pasqua assurge a emblema di Dio che libera tutti i credenti dalla schiavitù degli idoli, rappresentati dal panteon lussureggiante delle divinità dell’antico Egitto, per guidare gli uomini alla Terra Promessa. Ideale di libertà dello spirito nell’osservanza delle Dieci Parole (i dieci comandamenti), vademecum etico del vivere associato. La festività pasquale assume pure un significato teologico molto avvincente, poiché il peccato riconosce la propria sconfitta di fronte all’invasione della grazia. L’uomo non soggiace più al “mistero d’iniquità” incombente su ogni creatura, ma è lavato e purificato dal peccato originale nell’acqua battesimale e immesso in un ciclo di Redenzione, quindi elevato ontologicamente con il battesimo, il sacramento base della santificazione cristiana. Tutti possono diventare “Figli adottivi di Dio”.
È questo il più grande titolo teologico che un uomo possa raggiungere nel suo “cursus honorum”, neppure la carica di papa è superiore, anche se la dignità di “episcopus episcoporum”, col diritto supremo di potestà “di sciogliere e di legare”, suppone un grado di alta perfezione nel cammino verso la santità nel confermare nella fede i fratelli incerti.
La perfezione diventa un impegno morale di tutti quelli che si trovano nella situazione di redenti, lavati dal sangue del petto “squarciato” di Cristo immolato sulla Croce. Sicché il peccato e la morte non sono più ostilità metafisiche insormontabili, ma rientrano in un disegno di sapienza e di amore che Dio Padre ha predisposto a salvamento di tutta l’umanità. “O Felix culpa”, esclamerà sant’Agostino, che ha sollecitato un intervento divino così provvidenziale e originale per l’uomo. All’uomo moderno è richiesta l’adesione libera e cosciente di conversione, di traghettare il passaggio da una vita pagana a una vita cristiana. Cambia radicalmente la visone della vita tra un credente e uno non credente. Non è più l’uomo illuministico che pensa di salvarsi da sé, ma l’uomo che collabora con Dio per pervenire a una salvezza totale di corpo e di spirito. Il cristianesimo sotto questo profilo è “un umanesimo integrale”, come ben ha intuito Maritain.
La Pasqua domanda anche l’inchino della nostra intelligenza in sintonia con l’epopea redentiva nell’accettare Cristo, morto e Risorto. La carità suprema di un Dio trascendente, vertice di perfezione oblativa, icona di ogni immortalità nell’abbraccio di Dio. “Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”, grida san Paolo nel volger del Terzo Millennio dei secoli eterni. Saremo capaci di considerare Dio “nostro contemporaneo” e nostro compagno di viaggio?