Il romanzo storico, si sa, “tira” sempre; e tra le ambientazioni favorite per questo genere di racconti il medioevo è costantemente in pole position: cavalieri e armature, castelli e cattedrali, monaci e codici sono uno scenario ideale per collocare le più mirabolanti avventure. Ma il medioevo dei romanzi è quasi sempre – poche le eccezioni, da I pilastri della terra a Jean Guillou – il medioevo della cultura dominante, Chiesa corrotta, nobili prepotenti ed eretici poveri e leali che cercano di combattere l’una e gli altri: in fondo un pretesto per ribadire nell’immaginario collettivo dove stiano i buoni e i cattivi. Niente di tutto questo, invece, ne La congiura delle torri, opera prima d’un giovane insegnante ligure trapiantato nella bergamasca, che proprio a Bergamo e nel suo contado ambienta la sua avventura. Un medioevo storicamente impeccabile, innanzitutto: la vicenda che fa da sfondo alla storia – la disputa tra le grandi famiglie locali per contendersi il controllo del vescovado della città – è ricostruita fedelmente sulla scorta dei documenti d’epoca, frequentati pazientemente dall’autore seguendo la valida consulenza della medievista Maria Teresa Brolis. E come l’ambientazione, così sono realistici i personaggi, tanto quelli storici quanto i parti della fantasia: tra le mura dei castelli come fra quelle dei monasteri, tra le strade della città come lungo i viottoli delle campagne, compaiono uomini e donne veri, con i loro pregi e i loro difetti, i loro slanci ideali e le loro bassezze, la fedeltà e i tradimenti di cui tutti siamo capaci. «Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima – direbbe il poeta –, eppure sempre in lotta, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce»: ecco, i celebri versi di Eliot calzano a pennello all’avventura umana dei protagonisti di questo romanzo, che procedono nella vita «spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via».



In breve, la storia. Folco, secondogenito dei conti Lamberti, viene ospitato nella foresteria del monastero di Astino, mentre Landolfo, nobiluomo bergamasco, lo introduce al mestiere delle armi. 

Arruolato nelle milizie di Landolfo, Folco si trova coinvolto nelle guerre che oppongono fazione a fazione, città a città, sostenitori del Papa e partigiani dell’imperatore, sperimenta la fraternità che nasce coi commilitoni sul campo di battaglia e scopre di quanto tradimento siano capaci quelli che sembrano amici. Tra uno scontro e l’altro si innamora, prima di una fanciulla promessa a un giovane del campo avverso, poi di una seconda; ed è anche – paradossalmente – grazie all’esperienza dell’amore con queste donne che Folco comprende poco a poco quale sarà la sua vocazione: «guerriero di Dio», monaco e cavaliere a un tempo, secondo la rivoluzionaria proposta che san Bernardo sta predicando anche a Milano. Un racconto insomma che attraverso avventura, amore e amicizia mette a tema la questione di tutti, per che cosa vale la pena spendere la vita.



E pazienza se la lettura è resa piuttosto impegnativa da una sovrabbondanza di metafore e da salti di registro linguistico spesso arditi e originali, ma più adatti a fermare lo sguardo del lettore sul verso di una poesia che a farlo scorrere in avanti nello svolgimento di un romanzo: Fadigati è giovane, ha talento, deve solo imparare a disciplinarlo; e il seguito – che il finale aperto delle Torripre annunzia inevitabile – confermerà il suo valore.

Francesco Fadigati, La congiura delle torri, ed. Bolis, pagg. 350, euro 14.

 



(Roberto Persico)