Gli appassionati di numerologia attribuiscono grande valore al ventitré. La Terra ruota su un asse spostato di ventitré gradi, ne “i Ching” il ventitré rappresenta l’esagramma della Spaccatura, Mozart ha scritto ventitré Concerti per pianoforte e ventitré Quartetti e pure il collega Paganini di Capricci ne ha scritti proprio ventitré. E poi Adamo non aveva ventitré costole? Eppure non è a niente di tutto ciò cui si riferisce il sito: www.23andme.com.



Il ventitré così in relazione con “me” è quello delle paia dei nostri cromosomi. Il popolare sito americano è infatti in grado di inviare nelle case di pressoché tutto il mondo dei kit per la diagnosi genetica da fare comodamente sul divano. Il kit “plan for the future”, ad esempio, promette di identificare se il futuro genitore è portatore sano di almeno quaranta malattie ereditarie. Prendiamo ad esempio la fibrosi cistica: dal sito apprendiamo che un caucasico ogni ventinove è portatore di una mutazione che può causare tale patologia. Se entrambi i genitori sono portatori esiste il 25% di possibilità che il bambino nasca effettivamente colpito dalla malattia. Allora, per saperlo basta pochissimo: si riceve il kit, si inserisce un campione di saliva dentro l’apposito tubetto, lo si rispedisce al laboratorio e tempo due settimane siamo in grado di controllare online il nostro profilo genetico, comodamente da casa. Facile, no?



Siti di questo tipo fanno parte di quell’onda biotecnologica che sta per investirci permettendoci di fare autodiagnosi e previsioni, promettendoci di farci sentire più sicuri, più pronti ad essere genitori migliori in quanto più consapevoli.

Singolare come questa stessa America, però, che appare così affamata di garanzie sul futuro, si confronterà a fine mese con un libro che, stando almeno alle recensioni apparse sui quotidiani, sta già suscitando interesse e molte controversie: Bloom (Bocciolo, ndr) di Kelle Hampton. Durante la sua gravidanza l’autrice riferisce di essersi sottoposta ai test prenatali e di aver ricevuto quella tranquillità che cercava. Eppure, al parto dovette scoprire che la sua bambina era affetta da trisomia ventuno, altrimenti nota come Sindrome di Down.



Di questo libro – di cui molti critici e genitori passati per la stessa esperienza stigmatizzano la spettacolarizzazione della vicenda secondo pure logiche di marketing – possiamo salvare almeno il sottotitolo, comunque notevole in questa era di predicizzazione estrema: “finding beauty in the unexpected”. Trovare la bellezza nell’imprevisto. Innanzitutto, come non ritrovarci un’eco della poesia di Montale?

Prima del viaggio si scrutano gli orari,
Le coincidenze, le soste, le pernottazioni
E le prenotazioni (di camere con bagno
O doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
Si consultano Le guide di Hachette e quelle dei musei,
Si cambiano valute, si dividono
Franchi da escudos, rubli da copechi;
Prima del viaggio s’informa
Qualche amico o parente, si controllano
Valige e passaporti, si completa
Il corredo, si acquista un supplemento
Di lamette da barba, eventualmente
Si da un’occhiata al testamento, pura
Scaramanzia perché i disastri aerei
In percentuale sono nulla;
Prima del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
Il saggio non si muova e che il piacere
Di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. E tutto
È per il meglio e inutile.
E ora che ne sarà
Del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
Senza saperne nulla. Un imprevisto
È la sola speranza. Ma mi dicono
Ch’è una stoltezza dirselo.

Con i figli in fondo è così, si tratta sempre di “beauty of the unexpected”. Per carità, non si tratta certo di rifiutare anacronisticamente e aprioristicamente le opportunità offerte dalle biotecnologie. Ciascuno faccia i suoi conti con il senso di un certo approccio, senso proprio inteso come direzione, come strada che apre, e se ritiene vantaggioso percorrerla oppure no. L’ignoranza non è mai preferibile alla conoscenza, si tratta piuttosto di cosa ce ne facciamo di ciò che sappiamo. Semplicemente si tratta di tenere presente che il figlio è in ogni caso un altro soggetto, mai pre-dicibile, sempre da scoprire piuttosto. Quand’anche mappassimo tutto il suo genoma, identificassimo ogni singola mutazione di ciascun gene, arrivassimo a conoscere ogni coppia di nucleotidi ci troveremmo davanti comunque l’imprevisto della sua libertà, del suo pensiero capace di orientarne il moto per il bene o per il male. Perché, a discapito dei nuovi profeti delle neuroscienze estreme, il soggetto non è mai pre-determinato. Né da natura né da cultura.

Anche nella nostra vita, ciò che si configura come patologia è sempre scabrosamente prevedibile, pensiamo alle paure o alle compulsioni delle nostre personali nevrosi: sempre le stesse, banalmente scontate, immutate da anni, anzi da secoli per il fatto di essere state le stesse anche in chi ci ha preceduti. Il massimo di originalità nella patologia tocca imbarazzanti vette di scontatezza. Se esiste invece una cifra della normalità, anche psichica, sta tutta nella varietà, nella possibilità di sorprenderci. In fondo libertà, varietà e pensiero (orientante) potrebbero suonare come sinonimi.

Per questo non tifo affatto per www.23andme.com, anche e forse soprattutto dal punto di vista grammaticale. Semmai proporrei di registrare un nuovo dominio: www.23andI.com. Passare da “me” complemento, ad “io” soggetto potrebbe rappresentare il passo che segna la svolta per noi e i nostri minori. Perché ventitré coppie di cromosomi ci sono e sicuramente hanno i loro potenti effetti, ma il primato resta al soggetto, non solo non predicibile, ma sempre irriducibile alla pura natura biologica.

Lasciamoci sorprendere dai nostri figli.

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