Google nel suo Doodle, oggi lo raffigura così: un ometto di spalle con tanto di sigaro che spunta di profilo, circondato da un sarcofago di un faraone e altri reperti egizi. Il personaggio del giorno per il motore di ricerca di Mountain View è Howard Carter e l’occasione è il 138mo anniversario dalla nascita di questo egittologo e archeologo britannico che nel 1899 portò alla luce la tomba del faraone egiziano Tutankhamon. Interessante notare come i Doodle spingano a conoscere personaggi storici e fatti, a volte, trascurati dai più. Abbiamo approfondito la conoscenza di quest’archeologo tenace che, a soli 25 anni, fece la scoperta più importante del XX secolo, con l’egittologo Giacomo Cavillier, direttore del Centro Studi di Egittologia e Civiltà Copta “J.F. Champollion”.



Chi era Howard Carter e perché è stata una figura così importante per le scoperte del nostro secolo?

Howard Carter, figlio di un artista, decide per passione verso reperti e antichità, di lasciare il suo paese natale, l’Inghilterra e di recarsi in Egitto. L’incontro che gli cambiò la vita fu quello con l’egittologo Sir William Matthew Flinders Petrie che lo prese nella sua spedizione nella città di Tell el-Amarna: con lui acquisì tutte le conoscenze necessarie. Grazie anche alla sua bravura nella lettura delle antichità e al suo formidabile intuito Carter ebbe la possibilità, trasferendosi poi a Luxor, di avviare una serie di ricerche sul sovrano Tutankhamon, allora semi sconosciuto. Venne nominato sovrintendente della necropoli di Tebe ed ebbe la possibilità di lavorare nella zona della Valle dei Re e delle Regine dove portò alla luce una serie di sepolture fra cui quella di Hatshepsut. Conclusa la sua carica cominciò a lavorare per il facoltoso avvocato Theodore Davis ma senza avere nessuna fortuna. Intanto, continuava a portare avanti la ricerca della tomba del misterioso faraone Tutankhamon cominciando a scavare nella Valle dell’Ovest, preclusa all’epoca agli scavi e vi trovò la tomba della principessa Hatshepsut. Ingaggiato e finanziato da Lord Carnarvon cominciò a setacciare tutta la Valle e, dopo cinque anni, ebbe l’opportunità di scoprire la tomba di Tutankhamon, che conteneva  il tesoro più grande mai portato alla luce.



Perché questa scoperta è così importante?

E’ la scoperta egittologica più importante poiché è stata condotta con una minuzia mirabile per l’epoca, poiché Carter setacciò l’intera Valle dei Re sottoponendola a un’indagine stratigrafica scrupolosissima. Inoltre, l’opulenza del corredo funerario, con ori e amuleti, ha potuto svelare chi fossero i faraoni all’epoca: sovranità divine, che in seno a quelle antiche civiltà, rappresentavano l’immortalità.

Quali erano le difficoltà e le condizioni in cui lavorava Carter?

Carter, come all’epoca anche Champollion, lavoravano incessantemente anche all’inizio e alla fine dell’estate in cui il caldo raggiunge anche i 50 gradi, in una Valle che riflette i raggi del sole. Questo perché i vari finanziatori stringevano i tempi delle varie campagne costringendoli a scavare in condizioni disumane. In più, poco prima della scoperta della tomba, fu costretto a tornare in Inghilterra per pregare Lord Carnarvon di concedergli altri fondi e ulteriore tempo per scavare. Una passione per la scoperta che lo portò anche ad ammalarsi.



Perché oggi, seppur con mezzi e tecnologie avanzate, non è stato più possibile compiere una scoperta di questa portata?

Prima di tutto perché a partire dall’Ottocento in poi il patrimonio egizio è stato più volte depredato e poi anche perché, attualmente, come sto facendo ora con il mio gruppo di lavoro nella necropoli tebana, la qualità della roccia e le scarse strumentazioni non ci permettono grandi scoperte: l’archeologo, anche ai giorni nostri, si deve affidare alle sue conoscenze e al suo intuito. In quelle zone, con temperature elevate, su terreni impervi, tutto si basa sugli studi delle usanze del popolo che considero straordinario ma lontanissimo dal nostro modo di essere. E proprio per questo difficile da interpretare e studiare. Teniamo conto, però, che le ricerche nella Valle dei Re, sulle tracce dei successori di Tutankhamon, non sono ancora terminate. Sono state ritrovate le tombe ma non sono stati rinvenuti i corredi funerari e le salme: benché ci siano stati saccheggi nelle epoche passate, mancano all’appello parecchi manufatti.

Molti si stupiscono della perizia ingegneristica egizia, che in tempi antichissimi, ha saputo costruire opere architettoniche fantastiche, come le piramidi, che sono arrivate quasi intatte ai giorni nostri.

Vorrei tralasciare le interpretazione di molti che attribuiscono queste opere agli extra terrestri o, comunque, a presenze non umane. Studiando approfonditamente questa civiltà, non stupisce che tali costruzioni fossero così imponenti: esse dovevano servire a custodire le spoglie del faraone, cioè un Dio in terra. L’intero paese si muoveva e lavora incessantemente, ciascuno per il proprio settore, per permettergli di involarsi verso il cielo attraverso la più imponente delle tombe: partecipando a questo processo, inoltre, ci si avvicinava all’aldilà da beati.

Quali sono le difficoltà economiche o burocratiche che affronta un egittologo che si appresta agli scavi?

Ai tempi di Carter esistevano pochissimi egittologi al servizio di ricchi mecenati che finanziavano le missioni. Purtroppo, oggi occorre avere una base economica per potersi permettere il viaggio, il soggiorno e le licenze di scavo. Oggi, poi, i controlli del governo egiziano sono molto serrati e l’egittologo è costantemente accompagnato da un ispettore che ne controlla il lavoro.

Ci sono parecchie diatribe fra governi che si contendono i reperti rinvenuti. Lei cosa ne pensa?

Le parole dell’archeologo dell’Ottocento Champollion furono profetiche: “ciò che appartiene all’Egitto, sia che si tratti di monoliti o portali, deve restare dove è stato rinvenuto”. Un obelisco non ha lo stesso effetto in una strada trafficata o davanti ad un tempio, suo luogo naturale. Dall’altro lato, ciò che è stato fatto appartiene alla storia e le grandi collezioni museali hanno esigenza di sopravvivere perché hanno garantito che la cultura si tramandasse nei secoli.

 

(Federica Ghizzardi)