«Dove sta l’imbroglio?» si chiede il capitano dei carabinieri Petronio Dall’Arca mentre sta interrogando un professore che si è spacciato per prete e… Ma non intendo togliere al lettore il gusto di seguire le varie trame di questo romanzo che del poliziesco ha l’avvincente cornice, l’aspetto esteriore, ma va ben oltre. È che quella frase dice con chiarezza che le cose – uso appositamente questa parola generica ed inclusiva – non sono quanto l’ovvietà superficiale lascerebbe intendere e le vicende umane sono sempre decisamente più complesse, cangianti, sorprendenti ed anche complicate di quanto appaiano immediatamente. E non tanto perché il protagonista del romanzo è chiamato a risolvere dei casi di cronaca nera in una cittadina siciliana – la Cavabella del titolo – che ai suoi occhi di non siciliano mostra una irriducibile diversità. A questa, in fondo, ci si potrebbe anche abituare e Dall’Arca, infatti, nel procedere del romanzo familiarizza con l’ambiente, fino a trovarcisi sostanzialmente a suo agio. In questo senso il romanzo non indulge mai a facili quanto superficiali scene o descrizioni di «colore siculo».



Ben altro è l’imbroglio di cui si parla. È la vita stessa di ciascuno dei personaggi – come la nostra – che è inimmaginabilmente più profonda e «imbrogliata» di quanto possa apparire, ha dimensioni che non sono facilmente riconducibili al due più due fa quattro. Imbrogliata è la storia della madre del piccolo annegato nel primo capitolo, quella del maresciallo la cui figlia è scappata di casa nel secondo, dell’inconsolabile vedovo del terzo e dello spacciatore dell’ultimo. Sono storie che, come quelle secondarie che le accompagnano, mettono in rilievo un’ombra che non si poteva sospettare. Sì, perché l’imbroglio è anzitutto la scoperta che ogni umanità ha un lato oscuro che non riesce a strapparsi d’addosso. Descrivendolo senza finzioni, ma anche senza compiacimento, l’autore si mostra coerente discepolo della lezione dell’amata Flannery O’Connor e, come lei, pienamente consapevole che il cattolicesimo non conduce ad un facile buonismo consolatorio. L’ombra va guardata dritto negli occhi. Il testo è zeppo di espressioni che documentano questo sguardo realisticamente consapevole del male che c’è nell’uomo, nella storia e persino nella natura. Così, per stare alle prime pagine, i granelli di sabbia costituiscono per i frequentatori della spiaggia «corazze di pena» e il mare fa «capire chi comanda» al bambino che vi annega; il capitano che pur va a visitare la vecchia madre nella casa di cura è attanagliato dagli «artigli» del senso di colpa e la statua della Madonna al centro della piazza ha la veste mossa «da un vento eterno di gesso» e «fa finta di essere lì per caso». E si potrebbe continuare a lungo.



I comportamenti stessi dei personaggi del romanzo hanno un aspetto oscuro di imbroglio: la «conversione» della moglie del capitano ha qualcosa di stucchevole, tanto quanto l’attaccamento del maestro per la moglie morta ha lampi di pazzia; la serietà dell’assistente sociale nasconde una solitudine che si vuol annegare con l’avventura di una notte e l’attaccamento al dovere del maresciallo è impastato da un astio che può scoppiare in violenza; la preoccupazione organizzativa del preside cela una lunga insoddisfazione che cova la ripicca e il pio scandalo del prete per il malvivente che frequenta la chiesa è solo scocciatura per la rottura di un tran tran acquisito.



Ma l’imbroglio non finisce qui. Esso ha anche un aspetto simmetrico: quello che appare ombra e solo ombra lascia intravvedere una luce che non ci si aspettava. Per dirla con Eraclito, «l’armonia nascosta è più potente di quella manifesta». E, tanto quanto l’ombra, una luminosa armonia, seppur discreta, intesse il romanzo. A partire dalla sua struttura: la divisione in quattro capitoli − le quattro stagioni del titolo − propone un ritmo, cioè un certo qual ordine; ed è un ritmo che significativamente si conclude sulla nota speranzosa della primavera. Anche le storie riservano – ma ovviamente non intendo svelarvelo – delle sorprese luminose. Nient’affatto perché l’autore si sforzi di costruire un fittizio happy end, ma perché l’imbroglio della vita, il manzoniano guazzabuglio del cuore umano, è davvero fatto di ombre e luci e il narratore le registra entrambe, con pietosa assenza di scandalo per le prime (semmai scandalizza e urta chi le nega) e con intimidita sorpresa per le seconde; che in fondo sono come un regalo inatteso, come il fiore primaverile di un atto buono, di una commozione profonda, persino di una conversione che sboccia su un terreno arido.

Carmelo Greco, Le stagioni di Cavabella, WePub, 125 pagine, 2,99 euro. Il romanzo, solo in versione digitale nei formati .epub e .mobi, si può scaricare da Amazon e dai principali negozi on line di e-book, oltre che dal sito dell’editore www.wepub.it