Nell’ambito del primo incontro di “Conversazioni a Milano” su Oltre lo statalismo, oltre la finanziarizzazione?, svoltosi a Milano dall’11 al 15 giugno (ad opera della Fondazione Sussidiarietà e Fondazione Ceur), mi è stato chiesto di trattare, come argomento, Globalizzazione e secolarizzazione. Il post ’89 e la crisi della dimensione etico-politica. Argomento vasto nel quale non è difficile perdersi o cadere nel generico. Nella consapevolezza che , dopo l’89, non è finita la storia, come riteneva Franzis Fukuyama, ma certamente è finita la “pensabilità” della storia – i giovani non hanno più passato e la scuola e l’Università sprofondano in questo vuoto -, ho provveduto a tracciare un percorso temporale dal quale risultasse perché la crisi della globalizzazione, dopo il crack finanziario del 2007, coincida, oggi, con la crisi della secolarizzazione. Un default che coinvolge anche la dimensione etico-politica.
Sulla categoria di globalizzazione non è difficile intendersi. Indica quel processo di unificazione del mondo, da parte del neocapitalismo nella sua forma finanziaria, che, dopo la caduta del comunismo, non ha trovato più limitazioni geopolitiche ed etiche. Più problematico è il concetto di secolarizzazione il quale, in realtà, non può essere ristretto ad un unico modello ma varia nel variare delle condizioni storiche. Nell’incontro milanese abbiamo indicato tre paradigmi della secolarizzazione che, in Italia ed in Europa, hanno trovato attuazione nel corso degli ultimi 50 anni. La cosa interessante è che questi modelli non tramontano definitivamente, ma, a certe condizioni, ritornano sia pure in forma nuova.
Così il primo paradigma, quello contrassegnato da un illuminismo “morbido”, si afferma nel periodo 1945-1960. L’Occidente post-bellico necessita dell’incontro tra forze laiche e forze religiose per opporsi al nemico sovietico nella dialettica Est-Ovest che divide il mondo. È un modello che tornerà attuale negli anni 80 , con la grande alleanza tra Ronald Reagan e Giovanni Paolo II in funzione dell’abbattimento del regime comunista, e, dopo il settembre 2001, con Bush junior e il progetto teocon di un Occidente “cristiano” contro l’Islam. Progetto, quest’ultimo, fallito per l’avversione del Papa e per l’insuccesso tragico del sogno di un Iraq democratico post-bellico.
A questo modello, fondato sul compromesso tra Occidente laico e cristianesimo in funzione di avversari comuni, se ne accompagna un secondo dominato dall’idea di una secolarizzazione ostile verso la religione, di un illuminismo “duro” che estingue, alla radice, lo stesso senso religioso dell’uomo. È il paradigma degli anni 60 che sta dietro al sociologismo e allo psicologismo delle scienze sociali le quali riducono ad “ideologia” ogni momento ideale. La persuasione è che l’industrializzazione, sinonimo di modernizzazione, abbia ormai modificato le condizioni antropologiche che stanno dietro la mentalità “religiosa” (premoderna), siano esse cristiane che atee.
Il nuovo illuminismo secolarizza, ad un tempo, cristianesimo e comunismo, le due “chiese” retaggio di un mondo pre-critico. L’Occidente diventa qui “occidentalismo”, una ideologia che presume di vincere il comunismo non con l’ausilio delle componenti religiose, ma sul terreno stesso dell’avversario, quello materialistico. La “società opulenta” vince il marxismo sul terreno materiale, senza bisogno di giustificazione ideale. È questo modello della secolarizzazione che ha accompagnato la globalizzazione del post-’89, trovando esso, nella caduta del comunismo, la conferma della propria verità.
Negli anni 60 era stato superato dal terzo paradigma, quello della secolarizzazione “calda”, che trovava nel marxismo la sua contro-religione “religiosa”, l’ateismo che, per raggiungere le masse, diveniva religione. Era la visione del mondo degli anni 70 destinata a raffreddarsi nel decennio successivo per poi, a seguito del crollo del muro di Berlino, tramontare del tutto. La secolarizzazione fredda che accompagna l’epoca della globalizzazione, quella di un nichilismo senza angoscia, di un vuoto colmato dai colori della società estetica, consuma, ad un tempo, la religione, l’etica, la politica. È il mondo di oggi che assiste, impotente, alla dissoluzione dei miti del post ’89 e che non è più in grado di trovare le risorse per uscire da una crisi di cui non si intravede il termine.