Il grande Niccolò Machiavelli raccomandava che l’unico modo per conquistare e mantenere il potere in terre lontane è che il principe guidi di persona il proprio esercito (niente mercenari o capitani di ventura) e che una volta ottenuta la vittoria si vada a stabilire nei territori occupati (niente vassalli o faccendieri che il popolo locale prenderebbe facilmente in odio).



Queste erano le linee guida per l’arte della conquista nei tempi che furono, quando conquistare comportava un rischio personale della vita per il comandante e il suo esercito, nonché l’incontro con popolazioni nuove, i cui diversi costumi stupivano e alle volte persino cambiavano la prospettiva del conquistatore. Si pensi soltanto alle grandi conquiste di Alessandro Magno o al De bello gallico di Giulio Cesare, dove insieme alla celebrazione delle gesta dell’esercito romano si trovano descrizioni minuziose, alle volte intrise di rispettosa ammirazione, dei costumi e del valore dei nemici. La conquista rigorosamente in propria persona ha comportato spesso esiti storici inaspettati, come quando i Romani vittoriosi in Grecia si ritrovarono rapidamente ellenizzati oppure come quando i barbari anglosassoni che avevano messo a ferro e fuoco quel che restava dell’Impero romano si ritrovarono cristiani in tempi sorprendentemente brevi. Gettarsi alla conquista era in ogni caso l’inizio di un’avventura che avrebbe comportato una inevitabile trasformazione di sé. 



Oggi le conquiste di Paesi interi si fanno a distanza con un click del mouse, a volte nemmeno quello, laddove sono sofisticati sistemi informatici a decidere di sbarazzarsi di titoli di Stato poco redditizi e così rovesciare governi e gettare intere popolazioni nella miseria. 

A differenza dei suoi antenati, l’anglosassone odierno che si getta alla conquista di quel che resta di Paesi come la Grecia, la Spagna o l’Italia non fa alcuna esperienza dei costumi, del valore, della diversa prospettiva sulla vita caratteristica di questi popoli, dei quali ha al limite una visione stereotipata da cartolina maturata forse nell’atmosfera irreale di qualche villaggio turistico. Il condottiero finanziario dei giorni nostri non si trova a dover guardare in faccia le vedove e gli orfani il giorno successivo alla battaglia, non dovrà imparare i rudimenti di una lingua ignota per poter intendere le trame dei rivoltosi e nemmeno dovrà inchinarsi di fronte ad un avversario la cui debolezza fisica non toglie nulla alla sua forza morale e culturale (ancora una volta si pensi ai Romani in Grecia o ai barbari in Europa). Non si troverà in alcun modo inquietato, ferito, cambiato dalle proprie conquiste. Rimarrà per sempre l’anonimo incravattato che nessun poeta canterà nei secoli a venire e che ha contribuito a sua insaputa a ciò che nessuna epoca storica in passato ha mai avuto l’onore di registrare: colossali conquiste totalmente prive di res gestae.



Al massimo, il condottiero finanziario odierno leggerà di sfuggita di qualche suicidio o di qualche sommossa lontana mentre sorseggia il suo caffè mattutino, forse nemmeno del tutto cosciente che – semplificando un po’ – il dito che ha premuto il tasto sinistro del mouse è legato a doppio filo con il dito che, a migliaia di chilometri di distanza, ha premuto il grilletto di una pistola.

Come in tutte le fasi storiche di asfissia personale e collettiva, anche oggi quello che manca, in fondo, non sono le regole o l’etica, bensì un’esperienza, un’immersione diretta nella realtà, che sola è capace di cambiare anche il barbaro più incolto e far risorgere nuove forme di civiltà anche dalle macerie più cupe.