“Contro l’ovvietà e la chiusura mentale” potrebbe essere il sottotitolo di un piacevole libro di Luigi Ballerini E adesso cosa faccio? Ripensare il rapporto tra genitori e figli, edito da Lindau. Contro l’ovvietà nel rapporto genitori e figli; contro le chiusure mentali che scattano anticipatamente rispetto a questo bambino, a quel ragazzo, a me stesso, a tutti e a tutto.
Senza un simile sottotitolo, pur sottinteso, sarebbe ambigua la domanda-titolo: “E adesso cosa faccio?” e sarebbe inutile la risposta, cioè il libro. Ambigua, perché potrebbe depistare il lettore che non conosce l’autore ad aspettarsi un elenco di ricette per tutte le stagioni. Certo non sarebbe un volume di domande, ma un formulario di risposte: uno dei tanti manuali che annunciano miracoli a basso costo, in qualsiasi situazione, basta seguire le procedure dell’abracadabra tecnico-scientifico.
In realtà Ballerini, più volte nel testo, ribadisce che la domanda “E adesso cosa faccio?” è un invito a porsi l’interrogativo: “Cosa sta succedendo?”; sottinteso: “ Perché non teniamo gli occhi aperti e la mente allertata? Perché ci fermiamo all’ovvio?”
Riprendiamo un esempio del libro. Se il vostro bambino di colpo smette di voler camminare per strada, insiste perché gli si compri qualcosa ogni volta che si esce, strilla e si butta per terra quando è al supermercato, vuol dire che è successo qualcosa e che vi sta chiedendo qualcosa. È pericoloso allora fermarsi a «E adesso che faccio?», perché questa domanda, in genere, spinge ad una scorciatoia ripida, che, a sua volta, potrebbe costringervi prima o poi a caricarvi il bambino sulle spalle o abbandonarlo a se stesso.
«Cosa sta succedendo?» è, invece, una domanda feconda, «apre la possibilità a una grande opportunità: ripensare il rapporto con i figli in modo che la soddisfazione torni a trovare cittadinanza nelle nostre case» (p. 18). Cosa accade, in genere, tra i genitori, i figli e il reale? Accade l’emergere di una domanda «di rapporto, di compiutezza, in ultima analisi di soddisfazione» (p. 99), qualsiasi sia il pezzo di realtà in questione: la riuscita scolastica, il tempo libero, gli amici, facebook, la scelta della scuola, ecc.
Per “soddisfazione” Ballerini, che, come riconosce esplicitamente, deve molto al pensiero di Giacomo Contri, intende “investimento sulla realtà”, conquista-esito di un lavoro, che implica sempre una “compiutezza” e la consapevolezza di essere relazione. Non è quindi un appagamento superficiale senza giudizio.
Forse proprio per aiutarci in questa attenzione alla domanda, il libro procede, a volte esplicitamente, altre volte in modo implicito, secondo domande reali, strutturandosi in tre parti: Chi è il bambino. Chi è il ragazzo. FAQ dei genitori.
Il volume di Ballerini ci ricorda che la vera domanda è sempre questione di un pensiero in rapporto con il reale e il desiderio. Il nocciolo del libro è un pressante invito a stimare il pensiero del bambino, del ragazzo. Se il genitore (o il docente o qualsiasi altro adulto) non vede nel bambino la competenza di pensare in proprio, il suo “adesso cosa faccio” si trasforma in una sequenza di atti finalizzati, per esempio, a riempire il bambino di spiegazioni o indicazioni o comandi con un fine totalizzante; a dire tutto, anche ciò che è inopportuno perché non richiesto, dimenticando che il rapporto genitori-figli poggia su un implicito evidente: ”Tu ci sei; io ci sono. Insieme ne abbiamo un reciproco beneficio”.
Perché si tende a soffocare simile evidenza?
Ballerini non ha dubbi: «Ci frega sempre il “bambino ideale”. Se c’è una cosa davvero intollerabile per i bambini è il fatto che il loro pensiero non venga stimato, che venga disprezzato. Ciò accade in particolare quando li costringiamo a confrontarsi con il “bambino ideale”, [ …] quello che a scuola va sempre bene, che capisce subito le cose che deve studiare, che fa goal alla partita, che arriva primo alla gara di atletica, che è simpatico e trascina gli altri …» (p.35).
Il segreto sta nel guardare al bambino reale, senza dare nulla per scontato ovvero senza ridurre il bambino (l’etimologia di “scontare” rimanda al “ridurre”). È osservarlo «dal vero», in azione, con «apertura, docilità e abbandono», direbbe Jean Guitton. Solo così un genitore prende atto che effettivamente il bambino è «un altro soggetto da scoprire e assecondare nelle sue inclinazioni e gusti»; «è colui che pensa e pensa bene. Ossia pensa alla sua soddisfazione, anzi pensa la sua soddisfazione» (p. 18).
Anche su questo punto l’autore ci conduce ad andare oltre il pensiero comune e a certi dogmi della psicologia ricordando che «la centralità nell’educazione non risiede affatto nell’asse madre-bambino o padre-bambino, sta invece nel rapporto tra quell’uomo e quella donna, che prima di essere padre e madre sono due soggetti distinti, anche sessualmente. Il bambino è infatti rapporto con un rapporto. Prima vengono quei due, poi arriva lui: sia temporalmente nel divenire storico sia nella percezione di sé» (p. 125).
Osservando il passaggio (“mutazione”) dal bambino al ragazzo, che rende quest’ultimo “quasi irriconoscibile agli occhi di molti genitori”, Ballerini ci invita a rispondere a “Che cosa sta succedendo”. Su questo tema il libro ha delle pagine stupende. Qui mi limito ad annotare che per il nostro autore lo scarto, che osserviamo fra bambini (elementari) e ragazzi (medie), non è un dato di natura, ma una profonda trasformazione: «Ciò che è accaduto è che da bambini sani che erano li abbiamo resi simili a noi, li abbiamo omologati al pensiero di un adulto patologico» ( p. 59). Sono dunque gli adulti la causa della perdita del punto di partenza che Ballerini definisce sano, anzi maturo («i bambini partono maturi» p. 29)?
Non sembrerebbe, anche se l’enfasi della contrapposizione concettuale “bambino” e “adulto” rischia di far deviare il lettore sui sentieri dell’Emilio di Rousseau. È pur vero che Ballerini non dimentica che la cifra del rapporto è la realtà, che «[…] si impone sempre, deborda oltre i nostri progetti, tracima di là dalle nostre intenzioni. […]La realtà poi in sé è sempre positiva, in quanto posta da un altro come fattore imprescindibile per la nostra esperienza di uomini» (p. 87).
La consapevolezza di questa positività smaschera la deriva illuministica. Bambino, ragazzo, adulto stanno tutti sulla stessa barca. E hanno tutti bisogno di un maestro per riscoprire che “l’alba non è una cosa ovvia”, come suggerisce il racconto di Guareschi, riassunto da Ballerini nelle sue conclusioni.