Alla grande kermesse di arte contemporanea aperta in questi mesi a Kassel, in Germania (Dokumenta 13, una mostra che si tiene ogni cinque anni e che richiama centinaia di migliaia di persone) c’è un protagonista che non è propriamente un artista ma che presenta un “lavoro” che non può lasciare indifferenti. Il suo nome è Khaled Hourani, ha 47 anni, ed è il direttore dell’International Academy of Art Palestine di Ramallah. Hourani, che frequenta per il suo incarico il grande circuito dell’arte contemporanea, lo scorso anno si era dato un obiettivo solo in apparenza stravangante: quello di portare per la prima volta in Palestina un quadro di Picasso. L’arte contemporanea ha nel suo dna una dimensione globale. Il collezionismo  non conosce confini, e se gli americani comprano artisti cinesi, a Pechino cercano gli eredi di Pollock. Ma in realtà questa giostra di opere che attraversano in lungo e in largo il mondo e che sembrano non conoscere più frontiere, esistono anche delle zone d’ombra. Zone per diversi motivi tagliate fuori da questi vorticosi flussi. La Palestina è una di queste zone, per motivi concreti dovuti alla mancanza di strutture e di mercato, e per motivi politici, perché far entrare qualsiasi cosa di non abituale in Palestina diventa subito un caso di Stato. 



Risultato: nessuno da quelle parti aveva mai potuto vedere dal vero un’opera del più famoso artista del 900. Un fattore che aveva colpito l’immaginazione di Khaled Hourani, come si trattasse di un’intollerabile discriminazione. Così a partire dal 2009 Hourani si è messo all’opera per realizzare un gesto che almeno simbolicamente rimediasse a questa situazione. Prima ha dovuto mettersi alla caccia di un museo che accettasse di essere partner di questa iniziativa, prestando una propria opera: e lo trovò nel museo di Eindhoven che mise a disposizione un Picasso delle proprie collezioni, un Volto di donna del 1943, per questa insolita trasferta. Ci sono poi voluti due anni per superare gli infiniti ostacoli burocratici, politici, di trasporto, assicurativi… 



Alla fine lo scorso anno il Picasso è arrivato a Ramallah dove è rimasto esposto al pubblico per un mese, in un ambiente molto spoglio, presidato in permanenza da due poliziotti dell’autorità palestinese. Sin qui uno potrebbe pensare a un gesto eminentemente simbolico e dimostrativo. Ma invece a Kassel, grazie al film che ricostruisce la vicenda, possiam scoprire che quel gesto è stato qualcosa di più, a conferma di quale sia la potenza custodita in un’opera d’arte. Una potenza che spesso il nostro occhio, impigrito dalla routine o velato dai preconcetti, non riesce più a intercettare. Il Picasso arrivato a Ramallah non era certo un dei Picasso più famosi; era un quadro di dimensioni anche abbastanza modeste. 



Tanta gente si è comunque messa in coda per poter vedere il “primo Picasso” della propria vita e così quell’immagine ha finito con l’accendere in molti un desiderio creativo rimasto da sempre sopito per le condizioni in cui quella gente si trova costretta a vivere. Per questo a Kassel Khaled Hourani ha portato un’opera che ad un certo punto dell’esposizione gli era arrivata da un carcerato, detenuto nelle carceri centrali di Gilboa. È una copia del quadro di Picasso, arricchita di alcuni simboli che indicano la condizione di detenzione dell’autore. Non solo, insieme all’opera a Kassel, in occasione della presentazione del docu-film, arriverà anche Amjad Ghannam, il detenuto che nel frattempo, anche grazie all’operazione Picasso, ha ottenuto la libertà. 

Questa è una piccola vicenda, che evidentemente non va caricata di retorica, ma che dimostra quanta energia positiva contenga un’arte che spesso abbiamo frettolosamente ribattezzato come portatrice di negativativià. In un certo senso quindi questa è una vicenda che ha anche una sua valenza “critica”: guardare a Picasso considerando questa sua capacità di essere ancora un attivatore di energie altrui, e indirettamente anche di libertà, certamente aiuta a farsi un’idea più precisa della sua grandezza, aldilà dell’orizzonte di gusto o di sensibilità estetica che ognuno si porta dentro.