Chi scrive è un tifoso e quindi non può recensire un libro, l’ennesimo della serie sempre interessante e puntualissima e piena di grandezza interpretativa, di Lodovico Festa, senza ammirarne l’eleganza della forma e l’acume dell’interpretazione. Ora si tratta di un cavallo di battaglia del nostro (il potere in Italia), il quale ha scritto “Ascesa & declino della Seconda Repubblica. Italia 1992-2012”, per le Edizioni Ares e la delizia dei lettori. Il segreto dell’analisi di Festa è di saper sempre tenere insieme ciò che l’analisi politologica ed economica accademica dividono: ossia l’economia e la politica, che sono l’una con l’altra intrinsecamente collegate grazie all’anello del potere. E questo libro è l’abbozzo geniale di una storia del potere in Italia.



Storia, dunque, in primo luogo dei rapporti tra Urss e Pci poi della decadenza e del crollo dei medesimi. Degli Usa e del suo ruolo via via meno propulsivo nei confronti della Dc, per via dello squagliamento di quest’ultima. Protagonista prima occulto della scomparsa dei partiti legati alle grandi potenze occidentali è la magistratura, il cui potere, via via che quello dei partiti si offusca, per la sua stessa azione diviene sempre più visibile, a differenza che in passato.



In questo libro vi sono le invenzioni politologiche geniali, lo ripeto, di Festa, espresse in forma giornalistica eccezionalmente efficace. Il crollo della vecchia classe politica inizia nel 1994 con l’annunciata – giornalisticamente – accusa contro Berlusconi da parte di un potere giudiziario irrefrenabile e mosso dalla potenza degli interessi che vogliono sbarazzarsi di Craxi e dei suoi circoli di interesse: palestinesi, estremistici e modernizzanti insieme i quali si sono espressi in forme non gradite né all’establishment economico, né a quello Usa. Farà non a caso la stessa fine di Andreotti, che si era opposto a Reagan in occasione dell’intervento Usa in Libia. Ma la conseguenza per l’establishment, e che ne misura tutta la decadenza ormai in fieri, è l’ascesa di un parvenu come Berlusconi che scompagina le carte tra lui e non altri imprecisati attori: maturano i frutti del colpo di Stato strisciante che passa sotto il nome di Mani Pulite, certo provocato dal costo della corruzione e dall’avidità congiunta d’imprenditori collusi e di politici famelici, ma anche dalla volontà di ridurre il peso dei partiti in Italia. Disegno che oggi si è compiuto. Inizia la storia di una Italia che ogni volta che vuole ritrovare se stessa, si perde.



Questo rappresenta il bellissimo libro di Festa: l’incapacità di un nation building senza una sponda internazionale che, infatti, non esiste più se non in forma sporadica e frammentaria. Gli Usa ormai si concedono interventi o sporadici o estremi a fronte di situazioni incancrenite, un po’ come hanno fatto in Libia: senza di loro Gheddafi sarebbe ancora al suo posto nonostante le ridicole frenesie di Sarkozy. La divisione dell’Occidente dinanzi agli Usa è la chiave di volta, per Festa, per comprendere il malessere internazionale ed europeo in primis dell’Italia odierna: la divisione in occasione della sfortunata guerra contro l’Iraq con la Germania e la Spagna che si sfilano dall’alleanza con gli Usa è l’anticipazione di un’Europa che si troverà ad affrontare la più terribile crisi economica mondiale dopo il 1929 divisa tra il suo nord e il suo sud in modo drammatico. 

A fronte di ciò Festa segue giorno dopo giorno l’ascesa e la decadenza del sistema partitico nazionale che si cerca di costruire dopo la fine della Dc e del Pci. Ha parole e giudizi di fulminea lucidità nei confronti degli eredi del Pci. La stessa capacità lo sorregge nei confronti degli eredi della Dc. Tutti, salvo il più granitico Bersani vestito dei panni dell’amministratore che resiste impavido dinanzi alle sirene della visione strategica, scelgono di essere dei capi personali e cosi facendo segnano la loro rovina. Così come questa stessa scelta segna la rovina del più forte dei leader personalistici: Berlusconi e i suoi seguaci che sono appannati dal potere e dalla persecuzione giudiziaria insieme.

Si rotola tutti per una scarpata spesso senza onore, come i ciechi di Bruegel o gli ubriachi delle campagne della nostra infanzia. Una misera fine per una classe politica che voleva modernizzare il Paese e cambiarne le secolari abitudini: l’Italia manca di virtù e manca di visioni. Mille competenze tecniche non fanno una visione e in questa congerie di tecnicismi emerge il demiurgo di un potere in frantumi che altri non può che essere a intermittenza il Presidente della Repubblica. Infelice Repubblica quella che – macchiavellicamente detto – non riesce a far del Parlamento il Principe, e deve affidarsi al Principe che dal Parlamento dovrebbe essere, invece, governato.