Non è forse lecito che un filosofo ponga una domanda retorica su un tema economico, chiedendosi perché mai la Grecia sia entrata – o indotta a entrare – nella cosiddetta “area euro”. Non è lecito perché sicuramente vi saranno, da parte degli economisti, risposte argomentate e convincenti, alle quali nulla il filosofo potrebbe contrapporre. Tuttavia questa domanda paradossalmente nasce proprio dalla lettura del libro di Giuseppe Zanetto Entra di buon mattino nei porti. Un viaggio all’origine della nostra storia (Milano, Bruno Mondadori, 2012): libro di rara profondità per riflettere, in modo non consueto, sia sulla Grecia sia su quel che ha rappresentato nella nostra storia. E la nostra Storia non è, non può essere, legata a quella che giudica un paese sulla base di una moneta artatamente imposta, che ha al tempo stesso imposto una “parità” di comportamento a paesi – e storie, e tradizioni – che “pari” non erano, e mai saranno. 



La nostra Storia ha la Grecia alle origini, come ricorda Zanetto, ma una Grecia che non si può neppure appiattire su quella Storia, anche se, attraversandola, quella Storia è nei suoi luoghi, nei suoi percorsi, nei suoi paesaggi, manifestando una “complessità” che non si può ridurre né ai miti del passato né all’immagine di un fallimento, dove la colpa principale di un popolo sembra essenzialmente quella di non essere tedeschi. Zanetto ci conduce in un viaggio attraverso la Grecia e i suoi luoghi che, attraverso le manifestazioni della cultura e dell’arte, porta con sé riflessioni generali sul senso del presente e dell’eredità classica.



In un saggio del 1919, dal significativo titolo Crisi dello spirito, il grande poeta Paul Valéry sottolinea come, per recuperare un “senso” all’Europa (allora reduce dalla prima guerra mondiale), si dovesse ripercorrerne la genesi sino a ritrovare un destino in quelle radici “mediterranee” che ne hanno impostato la storia, radici che individuava nella grecità classica, nel cristianesimo e nella romanità. La prima radice classica, che dunque permette di attraversare la Grecia, anche la Grecia attuale, in tutti i suoi richiami visivi e antropologici, oltre che storici, artistici e culturali, è quella che in Zanetto ricorda l’autentico valore profondo del mito. Il mito attraversa tutte le epoche e sembra interessare tutte le forme dove c’è vita, dalla classicità al mondo cristiano. Il mito, o meglio la capacità di far convivere la narrazione mitica alla nascita della ragione, del logos, è ciò che la pagine di Zanetto rendono concretamente evidente, evidenziando così l’anima particolare della Grecia. 



I luoghi greci descritti appaiono dunque nel loro valore simbolico, divenendo simbolo della complessità stessa di un passato che si sposta nel presente. Il simbolo non è un valore che connette l’immanenza e la trascendenza su un piano solo teologale o solo artistico, bensì un processo che coglie la stratificazione di percorsi all’interno dei quali si disegnano, in tutta la loro complessità, le trame che attraversano l’esperienza del mondo vitalmente complesso che la Grecia, anche oggi, presenta, essendo, come scriveva Schelling del mito, una “possibilità infinita di produrre sempre nuove situazioni”. Sono queste “nuove situazioni” che in questo libro emergono, in cui la Grecia appare come un organismo vivente, fuso nei suoi paesaggi e nella sua storia, incontro di natura e arte realizzato dalla poesia greca – che diviene il paradigma del simbolico e della vita stessa dei simboli. 

Proprio perché vuole evidenziare questa vita del mito e del simbolo nel nostro presente, il libro di Zanetto ricorda anche che il mito è “parola”, e dunque è “narrazione”: la Grecia è costruita dalle storie che si leggono nei suoi paesaggi, nei suoi luoghi, da Delfi alla Macedonia, sino a Olimpia e all’Acropoli. Il mito non è mistica magico-poetica, bensì consapevolezza storica – e visiva – svolgendo una funzione conoscitiva: già nella loro originaria dimensione linguistica, i miti sono una forza che costituisce l’anima delle nostre azioni, di ciò che spinge l’uomo ad approfondire la propria sensibilità nella creazione artistica, trasformando in gesto le espressioni del linguaggio.

Leggendo il libro di Zanetto, seguendo i suoi itinerari, comprendiamo così la legge che guida il mito, le sue alchimie e le sue metamorfosi, l’incessante scambio interpretativo fra natura e uomo che il suo potere realizza e che non è riducibile a schemi meccanicisti. Lo stupore di fronte al mondo, quello che in Grecia ha spesso accolto il visitatore, da un tramonto a capo Sunion o al mare di Ulivi che si apre dall’altura di Delfi, sono il segno di quella polivalenza antropologica dello spirito che il mito stesso dimostra nelle parole poetiche, nella molteplicità propria di luoghi, memoriali e immemorabili, che la Grecia offre.

 Il libro di Zanetto, nel fascino dei suoi percorsi, aiuta dunque a non vedere la Grecia nell’ottica esclusiva di una crisi economica, peraltro indotta e stimolata in palazzi ben lontani da quelli greci, bensì a studiarla alla luce di una più profonda crisi dello spirito moderno, crisi che guardando ai valori simbolici che la Grecia presenta può forse permettere di riannodare i fili di una tradizione,  cercando di comprendere che cosa è stata, che cosa è e che cosa potrà essere la nostra storia:  l’Europa sta ora perdendo la sua memoria e la sua tradizione e la crisi dell’Europa è, in primo luogo, una crisi della modernità, in cui le differenze si sono così parcellizzate e miniaturizzate da non essere più in grado di trovare un minimo comun denominatore, e da non reperire più, al tempo stesso, le antiche matrici comuni.

Il libro di Zanetto invita dunque a guardare alla nostra storia, recuperando un’idea originaria di “qualità”, mettendo in noi il sospetto che forse la crisi dell’Europa ha avuto avvio nel momento in cui la quantità ha dominato incontrastata, nel momento in cui la mera grandezza materiale, gli elementi di statistica, i numeri, hanno indotto a dimenticare, in questo grande “capo dell’Asia” che è l’Europa, quelle differenze qualitative su cui si fonda il lavoro storico della nostra attività spirituale. L’unico modo per difendere questo principio qualitativo, eliminando di conseguenza l’incombente dominio del quantitativo, è forse la poiesis, l’arte, quell’orizzonte costruttivo che è  capace di restaurare, di riunificare un’idea mitica di forma, che sempre trova fra le differenze che caratterizzano il mondo della qualità un punto mediano, un equilibrio mobile, una regolamentazione: l’arte è quella tradizione simbolica che mette in dialogo le differenze che accoglie.

Se la risposta alla crisi dello spirito è il recupero della tradizione vivente presente nel “classico”, ciò significa anche, come osserva T. S. Eliot, che “la tradizione non è un patrimonio che si possa tranquillamente ereditare: chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica”. E perché ciò accada è necessario, come si ricava dal libro di Zanetto, che si abbia “un buon senso storico”, consapevole che il passato è al tempo stesso, e in modo ossimorico, memore di alcuni aforismi di Nietzsche, passato e presente, sentimento congiunto, quindi, e di conseguenza, simbolico, dell’atemporale e del temporale.

La tradizione, come scrive Pound nel 1913, “è una bellezza che noi conserviamo, e non una serie di catene che ci leghino”. Essere “classici” significa, come ricorda ancora Valéry, essere sempre in crisi. Perché è solo attraverso la crisi che si raggiunge quella maturità che è il sigillo più autentico della tradizione europea classica. Tradizione che è compito della poesia e del mito, ma anche del paesaggio e dei suoi percorsi, sempre di nuovo presentare e perpetuare. Seguire gli itinerari che il libro di Zanetto presenta attraverso le meraviglie della nostra Storia significa, in questa estate di crisi, comprendere che forse l’autentica crisi è altrove, al di là dell’euro, dentro di noi.