Sono millecinquecento, più o meno, i martiri e confessori della fede uccisi dai bolscevichi e canonizzati finora dalla Chiesa ortodossa russa. Ma questa cifra, che non ha uguali in tutta la storia della cristianità per mole e per concentrazione temporale, è solo una minima parte della schiera di ignoti credenti che hanno dato la vita per Cristo nel XX secolo in Urss.



La Commissione martiri del Patriarcato di Mosca lavora a pieno regime perché si possa dare la dovuta venerazione alla schiera incalcolabile dei “nuovi martiri” ortodossi, anche se la progressiva chiusura degli archivi rende sempre più difficile, ormai quasi impossibile, studiare a fondo i materiali di ogni singolo caso. 



Del resto, il lavoro negli archivi è assolutamente indispensabile per stabilire se ci sia stato o no martirio, poiché, contrariamente al tradizionale stile di canonizzazione ortodosso, che teneva conto innanzitutto della presenza di spoglie mortali incorrotte e della venerazione popolare, le nuove regole stabilite dall’autorità ecclesiastica sono molto rigorose e prevedono, oltre alla stesura di una “vita” del candidato martire, anche l’acquisizione di tutti i materiali dell’inchiesta: il mandato di arresto, tutti i verbali degli interrogatori e dei confronti, l’atto di accusa, la sentenza, l’atto di esecuzione. Inoltre, affinché la canonizzazione possa avere luogo è necessario verificare che, durante l’inchiesta, il cristiano non abbia, con le proprie deposizioni, coinvolto nessun altro innocente. Una condizione, questa, che molti ritengono fin troppo esigente data la tremenda pressione psicologica, la violenza fisica e il ricatto subito dalle povere vittime.



La presenza di queste precondizioni consente comunque di sgombrare il terreno da una venerazione dei martiri generica e sentimentale, dalle agiografie stilizzate. Dopo un vaglio così rigoroso resta soltanto il valore autentico, e infatti troviamo delle storie di martiri spoglie, antieroiche ma proprio per questo impressionanti.

Come quella di Nikolaj Tochtuev, consacrato diacono nel 1922 proprio nel pieno della prima persecuzione antireligiosa del giovane Stato sovietico. Viene arrestato quasi subito e mandato al confino; quando torna riesce a svolgere il suo ministero in un paese della periferia moscovita, Bolševo.

Il venerdì santo del 1940 viene convocato nell’ufficio dell’Nkvd a Mytiši, dove un giudice inquirente gli prospetta 8 anni di prigione se non accetta di fare l’informatore della polizia. Il diacono accetta, forse si spaventa, e firma l’impegno; torna a casa ma deve ripresentarsi il lunedì successivo. Possiamo immaginare lo stato d’animo di padre Nikolaj durante le celebrazioni pasquali, conscio di essersi impegnato per iscritto… Tuttavia esce dalla liturgia pasquale con una decisione.

Il lunedì dell’angelo raccoglie quel che gli può servire in prigione e si presenta all’ufficio dell’Nkvd con una dichiarazione scritta: «Compagno comandante, sconfesso la mia precedente firma, che ho fatto solo per poter celebrare la Pasqua e dire addio alla famiglia. Le mie convinzioni religiose e il mio abito non mi permettono di tradire neppure il mio peggior nemico…».

L’ufficiale dell’Nkvd, pensando che sia ancora tentennante, lo lascia tornare a casa e gli dà del tempo per riflettere; ma padre Nikolaj ha ormai deciso e cerca di spiegare la propria posizione in una nuova dichiarazione che è una vera confessione di fede: f«Compagno comandante, mi permetta una spiegazione scritta. Non so parlare bene perché ho poca istruzione. Non posso fare quello che Lei mi chiede. È la mia decisione ultima e definitiva. Molti acconsentono per salvare se stessi a spese del prossimo, ma a me una vita del genere non serve. Voglio essere puro davanti a Dio e agli uomini, perché quando la coscienza è pulita si è tranquilli, mentre quando la coscienza è sporca non si trova pace. Una coscienza ce l’abbiamo tutti, e soltanto le azioni indegne la soffocano; per questo non posso essere come Lei vorrebbe… Ho famiglia, ma per essere onesto davanti a Dio, per amor Suo lascio anche la famiglia… Cosa crede, che non mi pesi lasciare otto persone di cui nessuna in grado di lavorare? Ma Colui per il quale accetto di soffrire mi dà la forza e sostiene il mio spirito, e sono certo che non mi abbandonerà fino all’ultimo respiro, se Gli sarò fedele. Tutti dovremo rendere conto di come abbiamo vissuto su questa terra…

Accetto la purificazione attraverso le sofferenze che Lei mi infliggerà. Le accetterò con amore perché so di averle meritate. Voi ci considerate nemici perché crediamo in Dio, e noi vi consideriamo nemici perché non credete in Dio. Ma se guardiamo più a fondo e cristianamente, voi non siete i nostri nemici ma i nostri salvatori: ci spingete a viva forza nel Regno dei cieli e noi non lo vogliamo capire: come buoi testardi cerchiamo di scansare le sofferenze; è stato Dio, infatti, a darci un governo che ci purifica, mentre eravamo così schizzinosi… Non così dovevamo vivere, secondo il volere di Cristo. Mille volte no, per questo bisogna frustarci, ancora e ancora, perché ci convertiamo. Dato che non siamo capaci di farlo da soli… il Signore ha fatto in modo che voi ci spingeste a forza nel Regno della gloria. Per questo non posso che ringraziarvi».

Il 5 luglio 1940 lo arrestano; il 2 settembre la Seduta Speciale dell’Nkvd lo condanna a 8 anni di prigione, dove morirà il 17 maggio 1943, pochi giorni prima del suo quarantesimo compleanno.

 

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