“Due tipi di uomini salvano interamente la statura dell’essere umano: l’anarchico e l’autenticamente religioso. La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito: l’anarchico è l’affermazione di sé all’infinito e l’uomo autenticamente religioso è l’accettazione dell’infinito come significato di sé”. Le opere teatrali di Shakespeare ci permettono di distinguere chiaramente questi due rapporti con l’infinito. Edmund, il personaggio illegittimo in Re Lear, per il quale non esistono regole fuorché la sua volontà, è l’anarchico. La sua volontà di potenza non ha alcun vincolo con le stelle, la devozione verso la famiglia, gli amici o gli amanti. Edmund vive la tortura e le atrocità del padre con gran serenità d’animo. Addirittura in punto di morte cerca di istaurare un legame affettivo, offrendo il perdono ai nemici e cercando di evitare l’assassinio di King Lear e Cordelia. Alla fine, Edmund capisce che creare da sé l’infinito è un’illusione.
Nonostante sia difficile discernere la fede di Shakespeare dalla sua tragedia, si può dimostrare che è particolarmente interessato a temi di riconciliazione e di capacità di mediazione in generale. In particolare, è interessato più di ogni altro tragediografo contemporaneo ai fantasmi e alle fate. La mediazione tra gli uomini e la divinità era problematica durante la Riforma protestante, che negava l’esistenza del Purgatorio e proibiva che si pregasse per i defunti. Il fantasma del padre di Amleto è un vero e proprio spettro, ma la sua condizione spirituale è ambigua. In un universo protestante non c’è spazio per la religione popolare e le fate, e quindi questi elementi divengono parte di un discorso poetico puramente astratto e immaginario. In La Tempesta c’è uno spirito etereo di nome Ariel, che è a servizio del mago Prospero, e Calibano, il figlio della strega. Mercuzio cita la potenza di Regina Mab, una fata che ha potere sui sogni dei dormienti in Romeo e Giulietta; in Sogno di una notte di mezza estate, le fate non intervengono sui sogni degli uomini ma influenzano le azioni dei personaggi umani.
Attraverso l’uso delle fate, Shakespeare ci mostra il rapporto dell’uomo con l’infinito. Esse ci aprono le porte del mistero che vive in ognuno di noi per dimostrare quanto poco conosciamo il nostro essere. In Sogno di una notte di mezza estate, le coppie di innamorati girano per il bosco fuori dalla città di Atene, mentre Ermia e Lisandro cercano di fuggire insieme, e Demetrio, che è geloso, li segue. A sua volta, Demetrio è seguito da Elena. Oberon, re degli elfi, utilizza un succo magico affinché Demetrio torni ad innamorarsi di Elena, ma succede qualcosa non previsto: la pozione amorosa viene spruzzata negli occhi di Lisandro e il triangolo erotico viene così rovesciato.
Puck, il servo di Oberon, unge anche le palpebre di Titania con la pozione amorosa, così lei si innamora incidentalmente di un simpatico buffone di nome Bottom, la cui testa viene trasformata in quella di un asino. Com’è proprio di questo genere, la commedia ha lieto fine e gli incantesimi vengono sciolti, ma l’effetto dell’azione di questi esseri è quello di alienare le persone dalla loro essenza. La regina Titania dice all’asino Bottom: “Ed io ti spoglierò d’ogni scoria mortale/ sì che volar tu possa come etereo elfo” (Atto III, sc.2) e, nonostante il pubblico, osservando la figura grottesca a cui queste parole sono rivolte, lo percepisca come qualcosa di ironico, Titania sta affermando qualcosa di terribilmente vero.
La differenza col mondo degli elfi svela le profondità di quello degli uomini. La commedia si conclude con uno spettacolo nello spettacolo, sceneggiato da Bottom e i suoi goffi attori. Teseo, Duca d’Atene, li deride: “queste favole antiche e questi giochi delle fate”. Teseo giudica ridicola l’idea di pensare che se comprendiamo una gioia, allora essa ci è donata da qualcuno, un Donatore. Le fate della commedia donano la gioia che unisce gli amanti ed esse si rivelano mediatrici del Divino. Quindi l’infinito ci è offerto da Dio come significato di sé, e le fate potrebbero essere i suoi mediatori.