A volte la storia sa stupire e ci riconsegna brani di vita vissuta, leggende che assumono i connotati della storia, passaggi epocali in 50 metri quadrati di scoperte archeologiche e ci fa riconsiderare il valore essenziale ed importante della Tradizione come a volte nella vita, strappati dalle preoccupazioni quotidiane e dal salire-scendere dello spread, non siamo così attenti a considerare né tantomeno a valorizzare.



Ci troviamo di fronte ad un evento straordinario di questo tipo: sotto il Duomo di Bergamo sono venute alla luce alcune eccezionali testimonianze storiche ed archeologiche che ridisegnano in modo inedito le prime presenze umane in città (fino a risalire al X secolo a.C.) e chiarificano, una volta per tutte, le origini del cristianesimo nella città orobica. L’inizio degli scavi che hanno portato a tale scoperta non è, come si potrebbe immaginare, la ricerca di qualche studioso di storia antica o il ritrovamento di un manoscritto inedito che ha guidato un “Indiana Jones” in salsa bergamasca, bensì la necessità per il parroco del Duomo di aggiornare l’impianto di riscaldamento.



Durante i lavori è stato rinvenuto, “casualmente” (ma come dice Konfu Panda “il caso non esiste”!) un angolo di una colonna del V° secolo, quindi gli scavi sono proseguiti, riportando alla luce il più importante spaccato della storia bergamasca, che abbraccia molti secoli, dal X a.C. al XVI d.C. (e tutti sovrapposti nello stesso luogo di 150 metri quadrati!): testimonianze di insediamenti preistorici e protostorici, un brano della città romana (con una strada, una domus e alcune tabernae), l’impianto della prima Cattedrale del V° secolo, dedicata a San Vincenzo, le integrazioni strutturali romaniche, un’iconostasi in buona parte conservata (che testimonia un uso molto diffuso di questa struttura anche nella Chiesa latina e non solo orientale), ampie porzioni di decorazione ad affresco del 1200 e del 1300 (rimaste per 800 anni sotto terra e perfettamente conservate!), le poderose fondazioni della nuova Cattedrale rinascimentale progettata dal Filarete.



Il ritrovamento ha pochi eguali in Italia. Se sono noti altri luoghi sacri che hanno restituito sotto la quota attuale i segni di precedenti impianti architettonici, sono rari infatti quelli dove sono maturate le possibilità (distributive, economiche, culturali) di valorizzarli adeguatamente e di farli conoscere.

Dopo aver approvato un primo progetto che prevedeva un semplice percorso archeologico, la Diocesi di Bergamo ha scelto di fare un salto di qualità. Conscia della ricchezza del patrimonio storico, archeologico ed artistico – oltre che spirituale – portato in luce, ha scelto di impiegare risorse ed energie per un nuovo e ambizioso progetto: la creazione di un museo aperto al pubblico, che consenta di leggere, e capire, i segni della storia e di interpretarli secondo la nostra cultura contemporanea e la nostra sensibilità. L’inaugurazione avviene oggi, 25 agosto, alla presenza del ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi con il Museo-Cattedrale che viene riconsegnato idealmente alla città. 

Il percorso museale inizia, come in un volume, con un Sommario, una sintesi dei periodi storici documentati dai resti archeologici ritrovati, e quindi dà accesso ad un doppio percorso, quello dello spazio e quello della mente, che il pellegrino/visitatore è invitato e aiutato ad affrontare. Il tema centrale, sul quale si innestano gli altri, è quello della Cattedrale: quella paleocristiana innanzitutto, i cui resti accolgono i pellegrini/visitatori fin dall’inizio del percorso con le lastre del nartece del V° secolo e poi con i plinti delle colonne e gli stupendi mosaici pavimentali; quella romanica, con l’innesto sull’impianto antico di poderose strutture in pietra da taglio per rinsaldare le murature originarie; quella due-trecentesca foderata di scene sacre affrescate; quella Filaretiana con le forti sostruzioni lapidee realizzate con materiale di reimpiego romano e paleocristiano.

Lungo il percorso il visitatore ha modo di affrontare altri temi suggeriti dai reperti esposti (sarcofagi antichi, corredi funerari, frammenti di materiali di uso quotidiano) e dalle citazioni di S. Agostino che affiancano gli apparati didattici. L’intento è quello di accompagnare il visitatore all’interno della Basilica paleocristiana così come era, facendogli sperimentare quello che il Vescovo di Ippona diceva in un’omelia di dedicazione di una chiesa: “Certamente questa chiesa in nome di Dio è stata costruita per voi; per opera di lui e anche per le pie, generose, benefiche offerte vostre. E’ stata costituita per voi. Ma soprattutto voi stessi siete la Chiesa; è per voi, come luogo dove fisicamente entriate, ma soprattutto le vostre menti debbono essere il luogo dove Dio entra” (discorso 359, 9). 

La suggestione è forte: dopo otto secoli riscoprire le radici della Cattedrale è come scoprire il tesoro che, inaspettatamente, un lontano (ma caro) parente ci ha lasciato in eredità e che ci fa conoscere molto meglio la nostra famiglia.

Entrati nella Basilica ci si trova, idealmente, abbracciati dalle tre navate (c.a 45 mt. di lunghezza e 25 mt. di larghezza) e da subito si è attirati dal presbiterio nel fondo introdotto da un’iconostasi (medioevale) affrescata.

Oltre che per il sistema di esposizione e per il linguaggio allestitivo impiegato, il museo della Cattedrale di Bergamo si caratterizza per una importante novità museografica: nella seconda parte del percorso, dove gli spazi sono meno interessati da presenze archeologiche, sono esposti paramenti e suppellettili sacri di grande qualità artistica (Il Tesoro), che hanno convissuto per secoli con le strutture delle varie fasi della Cattedrale messe in luce. Tale scelta non solo costituisce una ulteriore offerta culturale ma vuole contribuire a far meglio comprendere al pellegrino/visitatore il rapporto tra spazi, architetture ed espressioni artistiche presenti nello stesso luogo, mostrando come il nesso liturgia-architettura-suppellettili sia tutt’altro che estrinseco o puramente estetico.

Siamo di fronte ad un evento: per secoli le origini della Chiesa di Bergamo sono state avvolte nell’incertezza dei documenti che solo a partire dal IX secolo parlavano chiaramente di una Chiesa locale strutturata. Certo: le notizie orali arrivavano fino al IV secolo, ma la leggenda aleggiava spesso accanto alla storia, pur gloriosa, dei padri. Ora questa “storia” ci ha fatto un regalo assolutamente gratuito: ci ha riconsegnato una Cattedrale risalente al V secolo, grande e – diciamolo pure – anche ricca. Essa ci testimonia chiaramente il fatto che nel V secolo a Bergamo c’era una comunità cristiana numerosa (chi avrebbe “sprecato” un Basilica così grande?), ricca e riconosciuta dal contesto pagano circostante (la Basilica viene costruita abbattendo alcune domus romane, scavalcando un pezzo di strada romana – forse il decumanus – riorganizzando l’assetto urbano della città verso est; e la costruzione avviene dentro le mura cittadine quando le basiliche cristiane del tempo erano quasi tutte costruite fuori le mura come a Milano dove anche il grande vescovo Ambrogio organizza la costruzione delle basiliche cimiteriali fuori le mura…).

Qualche lettore non troppo avvezzo a queste scoperte potrebbe obbiettare: “ma in fondo ci troviamo di fronte a quattro pietre… pur preziose! importanti per gli specialisti o per coloro che hanno un interesse specifico”. In verità siamo di fronte sì a delle pietre ma che parlano e raccontano una grande storia a tutti noi. E’ una storia fatta di uomini e donne che, forti della loro fede, hanno costruito. Per dare stabilità e concretezza a quella fede. Oggi questi uomini ci insegnano – ed insieme ci sfidano – a rimanere fedeli innanzitutto alla nostra Tradizione: fatta di fede e laboriosità, di concretezza e spiritualità, di slanci ideali e opere. Certi che una fede senza le opere è morta; ma nello stesso tempo che le opere, anche le più grandi, diventano ruderi se non sono rivitalizzate da una fede viva nel presente, ovvero da un’esperienza che riconosce Cristo come ciò che abbiamo di più caro nel frangente storico che andiamo vivendo.

Per questo noi non abbiamo bisogno di pietre per credere, ma gioiamo quando le pietre che ritroviamo ci danno conferma di un’esperienza viva che ci avvince nel presente. E che affonda le sue radici in un glorioso passato.