Non è certo la prima volta che il partito più importante della sinistra italiana parla di temi bioetici e in particolare delle coppie di fatto. L’ultimo documento in ordine di tempo prodotto sul tema è la Carta d’intenti del PD in cui si propone, seppur in modo abbastanza vago, di superare il “bipolarismo etico”, di porre fine alle “diseguaglianze di genere” e di dare un “riconoscimento giuridico” alla “coppia omosessuale”. Il carattere volutamente generico della Carta è il frutto, ovviamente, del lavoro di lima effettuato tra le due culture politiche maggioritarie del partito, quella gramscian-pciista e quella cattolico-progressista. E non è un caso, infatti, che sia Pier Luigi Bersani, esponente di quella tradizione politica che affonda le sue radici nelle viscere profonde del vecchio Pci, che Giuseppe Fioroni, rappresentante, invece, di quel cattolicesimo democratico che ha da sempre cercato un momento d’incontro con le forze della sinistra, abbiano entrambi manifestato sentimenti di soddisfazione per la sintesi ottenuta.
Una sintesi politico-simbolica tutto sommato banale per la cronaca politica – e che assume una qualche importanza solo in vista delle elezioni del 2013 – ma che in realtà, a ben guardare, mette in evidenza almeno tre elementi di lungo respiro e di grande rilevanza storica. Innanzitutto, pone in risalto la continuazione di quel processo di ridefinizione e rimodulazione dell’identità politica della sinistra italiana i cui prodromi teleologici iniziano ad essere rintracciabili per lo meno dalla fine degli anni 60a e che assumono, poi, un carattere progettuale solo alla metà degli anni 80.
In secondo luogo, porta a compimento un processo che sancisce, al tempo stesso, sia la definitiva fusione politica tra gli eredi del gramscismo e del cattolicesimo di sinistra, che, paradossalmente, la loro definitiva marginalizzazione culturale. Una marginalizzazione scaturita dall’affermazione di una nuova cultura politica che non si viene a configurare come la sintesi delle vecchie tradizioni politiche ma che, al contrario, pur appropriandosi dei vecchi contenitori della politica (i partiti), si caratterizza per un nuovo lessico, una nuova dimensione valoriale e una nuova rappresentanza d’interessi. In definitiva, si afferma una nuova cultura politica che fa della laicità, declinata nei modi e nelle forme più diverse, una nuova bandiera identitaria.



Infine, il terzo elemento a cui facevo riferimento è la dimensione internazionale che assume questa nuova declinazione politica della sinistra e che, per esempio, prende oggi le vesti di un Hollande in Francia e di un Obama negli Stati Uniti e, ancor prima, quelle di uno Zapatero in Spagna. Tre esperienze politiche molto diverse ma che hanno in comune una visione del mondo le cui matrici culturali combinano assieme elementi di radicalismo e di neoliberalismo utilitarista con le nuove issues anti gerarchiche e libertarie che emergono, per la prima volta, nella seconda metà del XX secolo con i movimenti giovanili e con quelli femministi.
Indubbiamente, uno dei momenti decisivi per la costruzione di questa nuova ideologia è rappresentato dalla diffusione della contraccezione di massa che non fu, com’è risaputo, solamente un metodo di controllo delle nascite ma anche un grandissimo fenomeno socio-culturale che cambiò notevolmente lo stile di vita di milioni di persone. Non solo per ciò che riguardava la procreazione e la maternità ma soprattutto perché contribuì notevolmente alla diffusione di una visione del mondo completamente differente rispetto al passato. Ovvero che l’essere umano, grazie al progresso tecnico e biomedico, fosse finalmente sul punto di potersi liberare da tutti quei vincoli millenari imposti dalle leggi della biologia e che fino ad allora lo avevano incatenato ad un’esistenza difficile e infelice. La diffusione della pillola di Pincus su scala planetaria, prima, e la nascita della prima bambina grazie alle tecniche di fecondazione assistita, poi, rappresentarono i due momenti culminanti di questa concezione di progresso etico che si legò, indissolubilmente, alle conseguenze sociali, anch’esse rilevantissime, prodotte da un ciclo economico in espansione che aveva notevolmente modificato consumi, mentalità e stili di vita di tutto il mondo occidentale.
Tutto il dibattito odierno sui temi bioetici, in Italia e in Europa, prende le mosse da questo particolarissimo contesto storico. E per ciò che concerne il nostro Paese, il momento storicamente più importante non è, come molti credono, l’approvazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza del 1978, ma è la sentenza della Corte Costituzionale del marzo 1971 che sancì l’incostituzionalità dell’articolo 553 del Codice penale, il quale vietava la propaganda e l’uso di qualsiasi contraccettivo. Quella sentenza non fu solo uno spartiacque decisivo nella storia socio-culturale del nostro Paese ma rappresentò anche il primo momento di incontro tra quattro differenti culture politiche – quella radicale, quella socialista-libertaria, quella femminista e quella delle donne dell’Udi e del Pci – che avrebbero svolto un ruolo rilevantissimo negli anni successivi. 



Da quella sentenza in poi prende avvio una storia tormentata all’interno della sinistra italiana dove prima uno sparuto drappello di donne e poi piccoli centri culturali iniziano a svolgere un continuo e spesso infruttuoso lavoro di influenza politica all’interno sia del Psi che del Pci. Solamente alla fine degli anni 80 il quadro politico inizia a mutare e una serie di istanze libertarie e radicali – differenza sessuale, pillola RU486, diritti gay – iniziano ad avere una prima timida rappresentanza politica. E se la Carta delle donne, ideata nel 1986 da Livia Turco quando era la responsabile delle donne del Pci, fu il più importante documento dell’epoca, il congresso del Pci del 1989 rappresentò il momento ufficiale in cui, per la prima volta, il partito fondato da Gramsci a Togliatti recepì in una veste pubblica questi temi e li inserì nell’agenda politica.
Dal 1989 ad oggi il partito che erediterà il radicamento sociale e la struttura organizzativa del Pci dedicherà una parte della sua riflessione politica a questi temi. E soprattutto li inserirà, sempre, all’interno del grande totem della laicità che diventerà una nuovo vessillo simbolico e una nuova fonte di legittimazione politica. Lo farà ad esempio Piero Fassino nel Congresso dei Ds del 2001 quando affermò che essere riformista significava «riappropriarsi del valore essenziale della laicità, come cultura della libera scelta, riconoscimento del pluralismo culturale, etico e religioso». Lo ribadirà il documento congressuale dei Ds del 2005 in cui si definì la laicità come «come buona compagnia per la politica, per orientarsi nelle acque agitate di un futuro ormai presente, che allarga le frontiere della scienza, della bioetica». Lo riconfermerà il IV Congresso dei Ds del 2007 in cui venne approvato un intero “ordine del giorno sulla laicità”. E verrà riaffermato, per l’appunto, nella Carta d’intenti del Pd di qualche giorno fa, quando viene invocata una «laicità del diritto» sui temi che riguardano «la vita e la morte delle persone».
Alcuni commentatori hanno evocato, con ragione, le solitarie intuizioni di Augusto Del Noce che per primo capì i limiti della “società opulenta”, la sua carica di “omologazione”, lo spostamento della sinistra cattolica su posizioni “neo-borghesi” e la deriva del Pci in un “partito radicale di massa”. Rimane da capire, adesso, quale sarà il ruolo di Matteo Renzi in tutto questo processo. Il sindaco di Firenze, per ora, è l’unico battitore libero della sinistra e si pone parzialmente al di fuori di questi schemi concettuali. Sarà interessante vedere se sarà soltanto l’eccezione che conferma la regola oppure se avrà la forza e il coraggio di elaborare una visione del mondo che interrompa un processo storico decennale il cui portato simbolico-culturale, però, è così forte e diffuso che certamente non basteranno alcune convention per sancirne la rottamazione.

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