“Nonna, qui c’è qualche insetto che ti mangia le patate!”, esclamò Lenka osservando alcune piante defogliate dai morsi della dorifora. “Prendi due sassolini e schiaccia quelle bestiacce, cara!”, rispose l’anziana. La settimana di vacanza dalla nonna, nella campagna morava, stava finendo. Di sera, la nonna le mostrò una spilletta con una dorifora di vetro incastonata: “Me l’avevano regalata quand’ero ragazza, al tempo della ‘lotta all’insetto americano’…”.



Il vorace coleottero era arrivato in Europa dall’America negli ultimi decenni dell’800, dapprima in Inghilterra per poi diffondersi sul continente, specialmente in Francia dopo la prima guerra mondiale (a causa dalla presenza di truppe americane) fino a colpire altri paesi, compresa l’Italia intorno agli anni ‘40.



Nella Germania nazista la popolazione rurale delle regioni colpite, impegnata nella caccia alla dorifora, era ricompensata con 5 pfennig per ogni insetto e 2 pfennig per ogni larva scovati. Berlino, giunta alla conclusione che gli Alleati usavano la dorifora come arma biologica contro il Reich, istituì un corpo militare speciale che da un lato aveva il compito di contrastarne la diffusione, dall’altro studiò la possibilità di ripagare la perfida Albione della stessa moneta ributtando il coleottero sulle sue coste.

Nell’immediato dopoguerra l’infestazione proseguì naturalmente verso Est. Già prima del colpo di stato comunista del febbraio ’48, il ministero dell’agricoltura cecoslovacco creò un comitato di lotta che collaborava con i paesi confinanti e mobilitò contadini, studenti e persino l’esercito. Ma la lotta risultava di anno in anno sempre più aspra, e così nei paesi socialisti dalla realtà si passò dialetticamente alla fantasia.



Il 28 giugno 1950, a pochi giorni dall’inizio della guerra di Corea – che vide i due blocchi mondiali pericolosamente contrapposti, – il governo cecoslovacco denunciò sui media che l’invasione della dorifora non era una calamità naturale, ma era “indotta artificialmente e intenzionalmente, con l’ausilio delle nubi e dei venti, dagli imperialisti occidentali e dai loro agenti sabotatori”. Così anche il coleottero mise l’elmetto: la stampa di regime non si stancò di sottolineare il legame politico tra la lotta alla dorifora e l’intervento occidentale in Corea, facendo paragoni azzardati tra il “campo di battaglia cecoslovacco” dove il popolo lavoratore, con l’aiuto delle incursioni aeree sovietiche pacifiche che irroravano i campi di pesticidi, lottava contro l’”insetto americano”, e le notizie dal fronte coreano dove invece “gli aerei killer americani sganciano bombe sulle città”.

L’insetto divenne un antieroe, nemico della pace, “ambasciatore di Wall Street”, “vorace omicida imperialista”, venne raffigurato con il faccino dello zio Sam con tuba e paracadute; del resto se l’era cercata: sul dorso non aveva delle strisce che richiamavano l’old flag americana?

All’inizio della campagna mediatica, nell’estate del ‘50, sui giornali uscirono centinaia di articoli sul tema. Terribile il cine-settimanale dell’epoca (visibile su youtube: http://youtu.be/HOk_t1iilrQ) che nelle battute finali si riferisce a Milada Horáková, giurista e politica impiccata il 27 giugno, con queste parole: “Abbiamo sistemato la Horáková, sistemeremo anche la dorifora”.

Nelle scuole, nelle stazioni, negli uffici postali furono affissi proclami di mobilitazione generale della popolazione; fu ingaggiata anche La formica Ferda, popolare eroe dei fumetti. Nei campi, schiere di studenti guidati da adulti catturavano la dorifora tra le file di patate gettandola in una bottiglia contenente petrolio. Anche il socialismo premiava chi ne raccoglieva di più, mentre puniva coloro che si opponevano alla collettivizzazione dell’agricoltura (“l’unione fa la forza”) e tradivano la patria infischiandosene della lotta all’ultima patata.

Lo stesso avveniva nei paesi satelliti confinanti. In Germania Est sospettarono addirittura che non solo gli Usa volessero rovinare i raccolti, ma anche monopolizzare il mercato dei pesticidi. Nel giugno ‘50 Berlino diffuse una protesta firmata da giornalisti di vari paesi (compreso l’italiano A. Jacchia), in cui si scriveva che “le dorifore sono più piccole delle bombe atomiche, ma sono ugualmente un’arma dell’imperialismo americano scagliata contro la popolazione pacifica”. Intanto “la popolazione” si è mangiata, oltre alle patate salvate dall’”imperialismo”, tonnellate di Ddt e altri pesticidi.

A un certo punto gli Usa dovettero intervenire. L’ambasciata americana a Praga inviò al ministro dell’agricoltura una nota dove, con una certa ironia, smentiva le presunte responsabilità americane nella diffusione della piaga: “L’ambasciata dubita che la dorifora, anche nella forma più vorace, possa consumare l’amicizia che lega i nostri due paesi”.

Dagli anni ’60 in poi, fugati un po’ di dubbi, la dorifora divenne una presenza endemica anche all’Est, da fronteggiare – ancor oggi – con metodi meno fantasiosi.

L’autobus che avrebbe riportato Lenka a Praga attese qualche istante per far salire una donna corpulenta che arrivava trafelata. Indossava un vestito a strisce e dimenava le braccine che arpionavano due borse. Lenka si girò verso il finestrino per non mettersi a ridere: nella sua goffaggine, le era sembrata un enorme “insetto americano”.