È giusto e anche importante liberarsi da quella che viene chiamata “l’ossessione di Bascapè”, il luogo a pochi chilometri dall’aeroporto di Linate dove cadde l’areo su cui volava e trovò la morte Enrico Mattei, il 27 ottobre del 1962. Proprio quella tragica, e ancora misteriosa, fine ha spesso fatto dimenticare nella sua complessità la grande opera del presidente dell’Eni. Così, quando ci si riferisce a Mattei, si finisce sempre per parlare del “caso Mattei” e si dimentica il ruolo che il presidente dell’Eni ebbe nello sviluppo, o meglio nel “miracolo economico” italiano del Dopoguerra.
Quindi a cinquant’anni dalla morte ben vengano gli Scritti e discorsi editi da Rizzoli, così come utili e interessanti appaiono i saggi di Nico Perrone e di Giorgio Galli. Sapendo comunque che ipotesi, dubbi e perplessità accompagneranno sempre quella morte, non solo in Italia. Italo Pietra, amico di Mattei ed ex direttore de Il Giorno, ricordava che nella primavera del 1963 fu ricevuto da Nikita Kruscev, al Cremlino, per una intervista, ma fu per primo Kruscev a “intervistare Pietra” con questa secca domanda: “Mi dica subito qualcosa dell’assassinio del suo amico Mattei”.
Il “complotto e il “retroscena” evidentemente non erano e non sono solo una prerogativa italiana. I retroscena che hanno alimentato “l’ossessione di Bascapè” non sono solo quelli legati al contrasto tra il cartello petrolifero delle cosiddette “Sette sorelle” e la politica energetica di Mattei, ma, dopo la sua morte, anche a una pubblicistica imprecisa e a volte quasi stravagante. Si può anche restare perplessi per gli “sfondoni” di alcuni commentatori americani, ma anche qualche giornalista italiano non ha scherzato sulle supposizioni e sugli errori grossolani.
Secondo qualcuno, Mattei aveva finanziato il golpe in Libia che portò al potere il colonnello Gheddafi. Eppure Mattei era morto da sette anni (1962) quando Gheddafi andò al potere (1969). Secondo un altro celebre giornalista fu Enrico Mattei a finanziare e ispirare la scissione socialista della fine del 1963, quando era già morto da quattordici mesi. Per un altro celebre giornalista e scrittore italiano Mattei era addirittura una sorta di ricattatore internazionale: “Mattei finanziava il Movimento di liberazioni algerino; era guerra dichiarata anche tra l’Eni e la Francia… È probabile che egli adottasse metodi di sfida e di lotta per conquistare l’amicizia delle potenze occidentali, che costituiva il suo vero obiettivo”. Insomma, per liberarsi dell’ “ossessione di Bascapè”, occorrerebbe che alcuni si liberassero anche dell’“ossessione di Mattei”, che molti portavoce degli ex “grandi poteri italiani”, su grandi giornali che non sono mai stati teneri con Enrico Mattei, hanno coltivato prima e dopo la morte del fondatore dell’Eni.
Forse qualcuno, e più di uno, non ha mai accettato che tra gli artefici dello sviluppo e del “miracolo economico “ italiano ci fosse un “patriota italiano” che agiva da manager pubblico, da imprenditore dell’industria di Stato. Probabilmente qualcuno non ha mai compreso, o ha fatto finta di non comprendere, che senza l’intraprendenza di Enrico Mattei non solo sarebbe stata “liquidata” (come gli aveva detto il Governo Parri) la vecchia Agip, nata in periodo fascista, ma non sarebbe stata neppure fondata l’Eni, con il grande patrimonio di conoscenza e di tecnica che ancora oggi ha, e la politica energetica italiana sarebbe finita nella mani dei grandi gruppi stranieri, magari con il concorso benevolo degli oligopolisti elettrici italiani.
Si è insistito piuttosto, anche in questi anni, sulle colpe di Mattei, sulla collusione con la politica, con i “partiti usati come taxi”. Scriveva Italo Pietra: “I miliardi del metano non erano che briciole della grande torta del Palazzo; ma questo Mattei aveva delle idee, dava spirito di corpo a una industria di Stato, rompeva il sonno in testa all’industria privata e alle loro amiche del cartello petrolifero. Era così ingenuo e così sicuro di sé che giocava a carte scoperte, pesava sulla bilancia della politica senza farne mistero, tirava sassi senza nascondere il braccio. Così è diventato un simbolo, una testa di turco e tale è rimasto. Tutti i pretesti sono buoni per prenderlo di mira. Persino i significati dei discorsi più chiari e più degni sono stravolti, a fine polemico. L’amore per la patria è gabellato per febbre nazionalistica, il terzomondismo per mal d’Africa, la lotta alle “Sette sorelle” per passione autarchica, per furore fascistoide contro gli anglosassoni”.
L’impressione alla fine è che Mattei era senz’altro un personaggio scomodo per gli americani e gli oligopolisti mondiali del petrolio, ma non era neppure tanto comodo per molti italiani, anche di differente o opposta opinione politica, che forse hanno ricevuto come un “miracolo mediatico” la cosiddetta “ossessione di Bascapè”. Forse sarebbe bene ragionare ancora e studiare attentamente quel periodo dell’immediato Dopoguerra italiano, anche alla luce dei progetti di crescita del Paese che non si vedono più da un quindicennio. Chissà che gli esempi dell’imprenditore pubblico Enrico Mattei e dell’imprenditore della “fabbrica come comunità”, Adriano Olivetti, possano suggerire qualche soluzione ai “maghi della finanza” del nuovo rampante capitalismo uscito dagli anni Novanta e franato sui mutui subprime dei derivati.