Una storia incrocia sempre altre storie. Ma in questo romanzo (Monica Mondo, Sarà bella la vita, Marietti, 2012, 96 pp.) lieve e profondo di Monica Mondo – giornalista di Sat 2000, commentatrice sempre attenta all’aspetto propriamente umano di quel che accade – gli incroci assumono una forma del tutto particolare. La storia principale, il filo conduttore, è la vicenda di una ragazza, che a diciott’anni si ritrova a pesare trentotto chili. Bella, bionda, intelligente, di buona famiglia, senza problemi, all’apparenza; ma è rosa da una malattia della mente che poco a poco si porta via tutta la sua carne. Intorno a lei si affannano il padre, la madre, i dottori: nessuno ha la chiave del mistero di questa esistenza che divora se stessa.
Ma lei, comunque, confusamente, sentiva che “c’era una promessa” (quasi un ritornello, quest’espressione, nel libro: potrebbe essere un altro titolo, o forse, meglio, la premessa al titolo); e allora, confusamente, testardamente, prova a vivere. Ed è allora il racconto di lampi dell’infanzia, una ringhiera in un cortile non lontano da via Solferino, Milano, dove il babbo lavora al Corriere, il nonno che le racconta le fiabe e la ascolta ripetere le prime lezioni di scuola.
Poi il babbo si trasferisce a Torino, in una famosa casa editrice, e lei s’inebria dei corridoi che sembrano rimandare ancora l’eco dei passi dei grandi scrittori che hanno fatto la letteratura italiana. A Torino cresce, studia, attraversa i torbidi degli anni Settanta, le lotte studentesche, le amicizie, gli amori, quattro amici e una chitarra. Poi gli inizi del lavoro, eredità quasi scontata, giornalista, la scoperta di tutto il dolore del mondo che tocca raccontare.
Ma le storie che la vita di Lei – la protagonista, mai nominata – incrocia non sono solo quelle delle persone che incontra. Sono anche quelle dei libri e dei film e delle musiche che lei – l’autrice, Monica Mondo – ama, e che usa per fare da contrappunto ai passi della storia, ogni capitolo un libro (o una musica, o un film).
Così, alla scena d’apertura nello studio del medico fa eco la vicenda di Gertrude nei Promessi sposi; l’adolescenza torinese si rispecchia nei grandi libri di Einaudi, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino che stringe fra le mani quando sviene alla notizia che non potrà mai avere figli – l’anoressia ha asciugato l’ipofisi e dunque l’ovulazione sarà compromessa –, i brani dei Dialoghi con Leucò di Pavese che scambia col fidanzato, le Lettere dei condannati a morte della Resistenza che ogni volta la fanno piangere. Il racconto della morte di Roberto, operaio della Fiat che la sera studia ingegneria, bruciato vivo durante l’attacco “antifascista” a un bar frequentato da “neri” è l’eloquente controparte di Formidabili quegli anni di Mario Capanna.
Le musiche di Crosby Sting Nash & Young fanno da colonna sonora agli amori della giovinezza, e On the border di Al Stewart all’amore che sarebbe durato per sempre, forse proprio perché così faticoso, e dunque serio. “Nessuno ha mai detto che è facile, dedicarsi la vita. Si impara ad amare così, quando chi hai accanto non è quel che vuoi, non come tu vuoi. Ma è per te, ne sei certo. Sapeva che c’era una promessa”.
E poi le voci di Eliot e di Tolkien e di Chesterton e di tanti altri, tutte a far da coro a un libro che è un inno alla vita. Perché – si può dire, non è un giallo di cui non si possa rivelare il finale – la predizione che non avrebbe potuto avere figli non era destinata ad avverarsi. La promessa di vita, la promessa di bene – “sarà bella la vita”, appunto – è stata più forte. E alla fine nasce Chiara. Figlia di Lei e dell’uomo della sua vita, naturalmente. Ma anche di Francesco, di Assisi, di Dante – è sotto l’insegna di un verso del grande fiorentino, “Non dica Ascesi, ché direbbe corto“, che si narra il miracolo –, di don Franco, di tutti quelli che hanno contribuito a tener viva la speranza.