Era straordinariamente somigliante a suo padre Boris Pasternak, grande poeta e autore del romanzo Il dottor Živago. E sebbene questi avesse lasciato ben presto la famiglia – la moglie Evgenija Lur’e e il figlio di 7 anni, per un nuovo amore, Evgenij aveva sempre mantenuto un profondo legame con lui: fino all’ultimo non l’ha mai chiamato altrimenti che papocka, un vezzeggiativo pieno di affetto. Di più, Evgenij Pasternak – spentosi a Mosca il 31 luglio scorso, a 88 anni d’età – ha dedicato interamente la propria vita, insieme alla moglie Elena Vladimirovna, alla memoria di Boris Pasternak. Lavorando assiduamente sugli archivi, pubblicando un’edizione critica in undici volumi dell’opera omnia Pasternak, compreso lo straordinario e vastissimo epistolario degli ultimi anni, e affiancando allo scrupoloso lavoro filologico di anni – in compagnia e talvolta alla sequela di amici delle generazioni più giovani – un progressivo approfondimento della personalità di Pasternak e del suo percorso di maturazione umana e cristiana.



È merito suo e di questo lavoro comune se la figura di Boris Pasternak è andata via via emergendo in Russia nel suo spessore, nel suo dramma ma anche nella sua limpida fede cristiana, irriducibile al polpettone hollywoodiano a cui molto spesso è associata in Occidente. «Non ci siamo ancora resi conto di che grande dono sia. Un Pasternak che non abbiamo ancora letto, su cui non abbiamo ancora meditato. Il Pasternak del futuro. Noi ce l’abbiamo in mano», così ha descritto il lavoro di Evgenij Pasternak una sua grande amica, la poetessa Ol’ga Sedakova, aggiungendo: «Evgenij Borisovic conosceva il valore di ciò che suo padre aveva introdotto nel mondo; la sua vita non è stata al servizio della memoria della propria famiglia, ma al servizio di questo messaggio che ci riempie di stupore, di questa novità che non invecchia, “mia sorella la vita”. Una vita che per Pasternak aveva anche altri nomi – immortalità, resurrezione».



Non è un caso che il lavoro sull’opera di Boris Pasternak abbia plasmato profondamente la vita di Evgenij, conducendolo tra l’altro, dopo i quarant’anni, al battesimo. Mi aveva raccontato questa vicenda poco più di un anno fa, quando nonostante l’età e gli acciacchi aveva entusiasticamente aderito all’idea di organizzare la mostra dedicata a Pasternak al Meeting di Rimini e aveva deciso addirittura di partecipare alla presentazione, anche se all’ultimo momento problemi di salute gli avevano impedito di partecipare. Durante una delle mie visite nel suo appartamentino all’antica, zeppo di libri come tutte le case dell’intelligencijarussa, mentre pranzavamo insieme (a qualunque ora capitassi, per sua moglie era impensabile non rifocillare il visitatore), aveva rievocato proprio questo episodio: «Ci siamo battezzati nel 1976, e la domenica ci alzavamo alle cinque e mezzo per andare da padre Dmitrij Dudko a Grebnevo, dove la polizia ogni tanto organizzava delle vere e proprie retate. Dalla polizia hanno avuto noie soprattutto i nostri figli, quando andavamo in chiesa. Del resto, sono stati loro a farci battezzare, erano stati loro a voler ricevere il battesimo e insistevano perché facessimo tutti insieme, in famiglia, questo passo». «Pensandoci bene – aveva concluso il suo racconto Evgenij Pasternak – il nostro ingresso nella Chiesa è stato un processo naturale: oltre alla concezione cristiana di mio padre, che ha sempre improntato il nostro rapporto, vi ha contribuito tutto il nostro entouragedi conoscenze…».



Qui Evgenij Borisovic aveva ricordato Katja Krašennikova, che aveva confortato gli ultimi mesi di vita del padre mantenendo i contatti con il padre spirituale Nikolaj Golubcov; Irina Sofronickaja, una vecchina ultranovantenne condannata a 25 anni di lager per la sua fede cattolica, un sorriso radioso anche se la schiena è piegata a novanta gradi, che tutte le domeniche partecipa alla prima messa in latino nella chiesa di San Luigi dei Francesi accompagnata dal figlio di Evgenij, Petr Pasternak… Ma questo elenco potrebbe allungarsi, come osserva ancora la Sedakova, ricordando la sua lunga amicizia con  la famiglia Pasternak e una battuta di Evgenij: «“Ma chi è l’imbecille che ha detto che la verità nasce disputando? Dalle dispute non nasce un bel niente!” – mi aveva durante uno dei nostri ultimi incontri. Lui ricordava ragazzini i miei maestri, da Sergej Averincev a Nataša Trauberg a Vjaceslav Ivanov. Da un pezzo era il più anziano. E non solo per gli anni che aveva. È che era la memoria vivente di un’altra Russia, di un’altra vita, un’altra società, dove, per usare le parole di Boris Pasternak, “amare era più facile che odiare”. Dove la grandezza era familiare, come Lev Tolstoj che partecipava alle serate musicali in casa del suo nonno».