Questione antropologica e radice cristiana. Mi paiono questi i due assi fondamentali individuati dal card. Bagnasco nell’intervista a Famiglia Cristiana.
Sulla questione antropologica, la declinazione più utilizzata è quella dei “valori non negoziabili”. Ma, per cogliere di che cosa si sta parlando e evitare ogni strumentalizzazione, occorre leggere questa espressione nel quadro della “questione antropologica”. Su questo, la Cei pone un punto ampiamente rimosso nel dibattito pubblico: nell’ultima parte del 900 la questione della convivenza – trascinata da un processo di mutamento sempre più accelerato – ha travalicato i confini tradizionali, definiti all’interno della questione sociale. Il combinato disposto di uno sviluppo tecnico-economico sempre più spinto e di una liberazione individualistica su scala di massa ha radicalizzato l’incidenza della trasformazione in corso, ormai esplicitamente arrivata a toccare più direttamente il piano antropologico. Oggi, distintamente, la nostra capacità di azione e determinazione si deve misurare con la stessa conformazione umana. L’impostazione della Chiesa cattolica porta inevitabilmente ad una seria cautela su queste tematiche che, toccando elementi fondamentali della vita umana, espongono l’umanità a rischi incalcolabili e all’hýbris del suo desiderio di onnipotenza. Si può essere d’accordo o non d’accordo con questa posizione, ma è incomprensibile l’indisponibilità di tanti a considerare come rilevanti le questioni che vengono così sollevate. Non fosse altro che per la attenzione con cui, in tutte le culture che conosciamo nella storia, tali questioni sono state trattate.
Il card. Bagnasco non usa l’espressione “radice” – che a me pare il termine più efficace. Di fatto, però, è questa l’idea che affiora nell’intervista. Per quanto sia innegabile la presenza di altri radicamenti – altrettanto nobili e importanti – quello cristiano ne costituisce il principale, dal quale l’Italia non può né dovrebbe prescindere. Storicamente, il rapporto tra questa radice e il paese è stato fertile, anche se non sempre facile. E la crisi della seconda repubblica – come peraltro è già accaduto in altre epoche storiche – ripropone ancora una volta tale questione.
La storia, poi, ci insegna che la relazione tra l’Italia e la radice cristiana nel corso del tempo ha preso diverse conformazioni. E d’altra parte ogni tempo ha le sue proprie caratteristiche, per cui sarebbe sbagliato fare riferimento ad un unico modello. Da questo punto di vista, mi pare che il card. Bagnasco tenda a ritenere inattuale l’ipotesi di una nuova Dc, optando per una soluzione che mira ad ancorare la presenza dei cattolici ad alcuni punti di riferimento fondamentali: difesa della persona e della sua dignità dal concepimento alla morte naturale.
Passando per tutte le fasi che stanno nel mezzo, che richiedono attenzione, riconoscimento, solidarietà. È su questa via che il card. Bagnasco ritiene si debba lavorare per riconciliare il paese con la sua radice cristiana: quasi creando un baricentro profondo che si muove su piano non riducibile, anche se non lo esclude, a quello politico.
Un tale compito ricade prima di tutto sulle spalle dei laici cattolici.
Qui si arriva al tema del lievito − Bagnasco parla di fermento − e dei testimoni credibili. Si potrebbe dire, con Theobald, che ciò che occorre è uno stile, che nasce da un accordo profondo tra pensieri, parole e azioni. Nell’epoca del relativismo estremo − che sconfina nel nichilismo − la presenza dei cristiani nella sfera pubblica − e poi nella politica − ha a che fare dunque con la testimonianza. Con una incarnazione. Che è poi la capacità di dar corpo a una fede che non è una credenza, una mera convinzione cognitiva, bensì un atteggiamento verso la realtà fondato sulla certezza di una presenza. In un mondo disorientato come quello in cui viviamo − dove si devono affrontare mille sfide anche tra loro contraddittorie − è illusorio pensare di definire il ruolo dei cristiani lungo un unico asse. Fosse anche di tipo politico.
Meglio cercare di fissare riferimenti sicuri per tutti i “naviganti” che si vogliono avventurare in mare aperto: la questione antropologica e la radice cristiana. Come dire, non ci può non essere unità nella fede. Ma questa unità − che costituisce un dono prezioso − può e forse deve anche trovare declinazioni diverse, a condizione di salvaguardarne la struttura fondamentale. Nella consapevolezza che le sfide che il tempo lancia alla fede sono così alte e impegnative che, se non escludono l’agone politico, non sono riducibili ad esso. Nella serena consapevolezza indicata dal Vangelo e da duemila anni di storia: che la fede si sostiene non tanto con la politica quanto con la vita.