«La crisi in cui è entrata l’Italia con l’inizio del XXI secolo è prima di tutto una crisi di identità e cioè in definitiva una crisi culturale». Lo scrivono Roberto Esposito ed Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, proponendo, come rimedio estremo alla nostra trascuratezza – «abbiamo fato scomparire luoghi e paesaggi unici al mondo, cadere in rovina siti archeologici e monumenti illustri» – l’istituzione di un ministero della Cultura. 



Sullo stato di abbandono del nostro patrimonio culturale e paesaggistico ha lanciato l’allarme anche Salvatore Settis su L’Espresso di questa settimana, con un lungo articolo in forma di lettera «Al prossimo presidente del Consiglio (chiunque egli sia)». Non c’è più tempo da perdere, dice lo storico Settis, occorre muoversi, trovare soldi, costi quel che costi, «ponendo fine alla condizione residuale del ministero dei Beni culturali e alla scelta di ministri incapaci». 



Galli della Loggia ed Esposito però vanno oltre, perché non si limitano a suggerire un riforma dell’attuale ministero. Suggeriscono di fare una cosa nuova, un ministero della Cultura, appunto: come a dire, cari politici, la gestione dei beni culturali è fallita, il tempo dei palliativi è finito perché la malattia è molto più profonda. Serve dunque una delega speciale, un mandato che non si occupi appena dei prodotti del suo genio ma di difendere la cultura del paese, il suo essere unica al mondo. Vittorio Sgarbi però boccia la proposta. Senza appello.

Sgarbi, che ne pensa della proposta lanciata da Ernesto Galli della Loggia e Roberto Esposito?
La trovo totalmente priva di senso. Galli scrisse un bellissimo articolo contro l’eolico, dopo le tante cose scritte da me poi da Gianantonio Stella, stigmatizzando le politiche delle Regioni più violate da questa aberrante scelta politica. Ecco, quello era un articolo di grande lucidità. Con il loro pezzo sul Corriere, invece, Galli della Loggia ed Esposito hanno mostrato di non capire il punto.



Dove sbagliano secondo lei?
Credono che la Cultura sia una cosa altra da quello che già c’è, e che chiamandola in causa si nobiliti, creandolo, un progetto. No: è l’attuale ministero dei Beni culturali che dovrebbe e potrebbe essere completamente diverso da come è adesso. La cultura è un’astrazione, per questo è molto meglio il nome odierno; solo che il nome odierno ha il difetto, reale, di stare a metà strada tra l’opzione morale e quella materiale.

Ci spieghi.
La nostra identità storica, culturale e artistica è assoltamente peculiare, ma proprio per i luoghi e le opere di assoluta importanza che abbiamo. Luoghi e opere nel senso fisico del termine. Pensiamo al Vaticano: dove sta la sua «cultura»? In quello che il Vaticano possiede contiene, e che non ha nulla da invidiare al Louvre…

Allora che cosa bisogna fare?

Fondere il ministero dell’Economia con il ministero dei Beni culturali, creando un ministero del Tesoro e dei beni culturali. A quel punto il ministro non sarebbe più uno che concede quattro spiccioli a un collega titolare di un dicastero residuale; sarebbe invece costretto a prendere atto del fatto che la sua delega gli sta davanti agli occhi. Se uno ha tonnellate d’oro è ricco, no?

Certamente…
Ma lo sarebbe di meno uno che ha in casa 20 Van Gogh, 40 Picasso e 10 Matisse? Noi siamo esattamente questo: abbiamo Botticelli, Leonardo, Michelangelo… Quanto vale L’ultima cena di Leonardo? Varrà o no 4 miliardi di euro? Ma L’ultima cena è lì, si può toccare. Occorre fare i conti con l’economia, non si può pensare alla cultura come ad un quid affidato alla gestione di pochi  sofisticati. Gestione di che cosa, poi? Cosa vi mettiamo, la letteratura, la musica? Lasciamo stare l’astrazione e unifichiamo il ministero dell’Economia con quello dei Beni culturali. È l’unica strada, non ce n’è un’altra.

Salvatore Settis invece chiede soldi e attenzione per salvare il nostro patrimonio negletto.
Chiedere soldi non serve a nulla. I soldi bisogna averli e chi li ha, e li elargisce, è il Tesoro. Se il ministro del Tesoro fa anche il ministro dei Beni culturali il problema è risolto. La scelta non può essere lasciata alla discrezionalità di un ministro: dev’essere interna al ministero stesso.

Ma allora cosa vuol dire, come sostengono Galli della Loggia ed Esposito, che è necessario «tutelare la nostra identità e la nostra memoria storica»?
Dal punto di vista della gestione, assolutamente nulla.

(Federico Ferraù)