Poiché, come se non fosse esistito a severo monito un romanzo come “Arancia meccanica” di Burgess, siamo entrati nell’era della sigaretta elettronica (ovvero il simbolo del vizio annacquato, dei feticci elettronicizzati del rischio, generati dall’ancor più rischioso paradosso per il quale si può usufruire di qualcosa di dannoso eliminandone l’effetto nocivo) ci sembra giusto chiamare in causa un fine e onesto scrittore del secolo scorso come Dino Buzzati, il quale, nell’ampio ventaglio della sua bibliografia, annovera anche un prezioso libro illustrato sulle pipe, scritto a quattro mani con il cognato Eppe Ramazzotti, che ne era un grande esperto.
Questo trattatello ironico, intitolato asciuttamente Il libro delle pipe, uscì in prima edizione nel 1946, ai tempi della ben più celebre favola de La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Fu poi riproposto dall’editore Martello nel 1966 e da Giunti nel 1986, e ancora oggi conserva tutto il suo fascino di opera sognante e satirica, capace di catturare persino il lettore più accanitamente “tabaccofobo”. Non si tratta infatti di un testo specialistico, né deve ingannare lo stile di scrittura falso-ottocentesco, sapientemente ricostruito ad hoc, per “aristocraticizzare” parodicamente un libro che potrebbe apparire di letteratura tecnica.
La scintilla buzzatiana è intima e intatta, ed è quella che scocca dentro l’insignificante particolare del quotidiano per appiccare l’incendio del surreale, che non è mai fuga, ma breccia improvvisa dentro le viscere del reale.
La pipa, nella prefazione, è infatti definita come “esimia manifestazione nel regno delle cose inanimate”: tornano alla memoria le Città invisibili di Calvino, ma qui il tema su cui fioriscono le fantasiose variazioni è un oggetto ben più prezioso e aggraziato, quella pipa che, nel celebrato assunto magrittiano de “La trahison des images”, era solo un pretesto per riflettere sulla rappresentazione figurale della realtà, ecco che nell’immaginario di Buzzati diventa chiave di lettura del mondo. A partire dalla superficie della dissertazione divertente ed erudita imbastita da Buzzati e Ramazzotti, si fa spazio, col voltare delle pagine, lo scarto surreale, l’affondo simbolico dentro l’atto meramente estetico della fumata.
La pipa, già per Baudelaire, era esperienza di profonda partecipazione: “Gli cinge e culla l’anima la rete / Mobile e cilestrina che si leva / Dalla mia bocca in fiamme // E incantano il suo spirito le spire / D’un dittamo potente, e d’ogni affanno / Fanno lieve il suo cuore“.
Buzzati si immedesima nel raffinato dandy di fine ottocento e racconta cronache e aneddoti, avventure e ritrovamenti di pipe preziose, ballando sul filo della favola e della leggenda, ma con quel velo d’ironia che, nascostamente, mira a far emergere gli effetti – talvolta divertenti, talaltra grotteschi – della sacralizzazione di un vizio prezioso come quello della pipa.
Si susseguono le accurate descrizioni delle pipe di schiuma, di radica e di porcellana, se ne enumerano le varietà, le decorazioni, i difetti e le virtù. Ma d’un tratto − con la consueta naturalezza narrativa di Buzzati, maestro nel trasformare col minimo sforzo il reale nel fantastico e viceversa – ecco che si leggono le vicende delle “pipe fantasime” e delle “pipe preistoriche“, delle “pipe parlanti di Edimburgo” e della “pipa a rotelle dell’ammiraglio Nicolò Fardi di Grivonera“; per giungere alla “pipa di pellirosse“, di cui è riportata l’immagine e in didascalia, questo gustoso commento: “Si osservino gli avidi rai del Gatto Mammone all’orciuolo (fornello) ove esso forse crede celinsi interiora di pollo“.
Dunque Buzzati s’inventa una ricca storiografia, catturando il lettore tramite la descrizione di misteriosi e ricchi fumatori dalla bizzarra onomastica, spietati collezionisti, contrabbandieri, ladri, esorcisti, marajiah, circoli di fumatori, colonnelli impazziti e quant’altro.
Ma allora si tratta di un divertissment? Dell’ennesimo “esperimento di magia” o forse di un esercizio di stile?
È proprio a questo punto che verrebbe voglia di interpellare Buzzati, che tanta dignità letteraria ha voluto imprimere a questo oggetto ricco di storia e carattere estetico, chiedendogli cosa ne avrebbe pensato della pipa elettronica. Ma lui, con quella ironica preveggenza tipica dei grandi scrittori (e non senza una lontana eco dello Svevo dell'”ultima sigaretta”), ci aveva già pensato, descrivendo così la “pipa scientifica prussiana”: “Obbrobrioso meccanismo è codesto! Il fumo, uscendo dal fornello, si raffredda nella serpentina e gorgoglia nell’acqua della polla; poi perde altro calorico nel lungo percorso fra i tubi dritti. Due salivini (di cui uno a rubinetto) estraggono gli umori distillati: e chi usa la Pipa, anziché fumare, si illude di farlo, aspirando soltanto aria pura; come sulle vette de’monti“.