I cristiani devono prendere coscienza del fatto che il processo di secolarizzazione può insorgere solo all’interno della cultura cristiana. La secolarizzazione della società, la secolarizzazione del singolo così come quella di un certo raggruppamento o ramo della società, è una conquista propria del cristianesimo.
Quando Cristo afferma di non essere venuto a portare la pace ma una spada (Mt 10, 34) si riferisce alla separazione dell’uomo dal tronco comune dell’umanità. Perché è l’inizio dell’operazione della salvezza, operazione con cui Cristo non salva tutti ma ognuno. È questa la ragione per cui ogni singolo deve essere separato dal tronco comune dell’umanità, per poter poi decidere personalmente cosa vuole fare. Perché si tratta di una scelta: l’uomo può scegliere di innestarsi all’ulivo celeste – al nuovo corpo della comunione umana che ha le sue radici nei cieli – o di continuare a esistere in quella forma che assume dopo essere stato reciso. Prima di Cristo questa possibilità di scelta semplicemente non c’era: per l’uomo la possibilità di vivere una vita secolarizzata non esisteva, e di conseguenza non poteva essere secolarizzata nemmeno la società, perché non c’era questa spada. Il fenomeno, quindi, che vediamo accadere oggi nel mondo non è un qualcosa che distrugge il cristianesimo, qualcosa contro cui i cristiani sono chiamati a combattere, ma è qualcosa che è stato introdotto nel mondo dal cristianesimo stesso.
Altra questione è che l’umanità è chiamata a non dimenticare che esiste la possibilità di un cammino ulteriore e che l’isolamento del singolo a cui porta la secolarizzazione può essere superato.
La spada della secolarizzazione opera ancora davanti ai nostri occhi: si infila come una lama nei nuclei familiari e li divide – li divide attraverso delle leggi – separando la moglie dal marito e i figli dai genitori, e continua così a sezionare sempre più il corpo dell’umanità. Dobbiamo ricordarci che questo fenomeno per noi non è un ostacolo e che non siamo chiamati a combatterlo. Dobbiamo ricordarci che si tratta di qualcosa che dà all’uomo una possibilità ultima di definire se stesso, di decidere se si definisce cristiano o no. E questa è una cosa che può fare solo ogni singolo. Se un cristiano si ritiene tale solo perché è stato educato al cristianesimo nella sua cultura d’origine, o perché si attiene a delle norme di vita che gli sono state insegnate nell’infanzia (che gli sono state consegnate dall’esterno), o perché gli riesce facile continuare a seguire una certa strada o, ancora, perché ha trovato un determinato ambiente che gli è consono e in cui può vivere al sicuro una vita indolore, in cui può allinearsi, invece di decidere lui, scaricando il peso della scelta su quell’ambiente… se un cristiano è arrivato a un’associazione e non a Cristo, non è un cristiano.
Il problema più grave legato alla secolarizzazione è quello di sconfiggere quel suo aspetto sociale che porta le persone ad aderire alla chiesa come a un’associazione ritenendo che questo basti. Così la gente che arriva alla chiesa non la vive come partecipazione al Corpo di Cristo, ma come appartenenza a una comunità in cui si può vivere senza preoccupazioni e percorrere tranquillamente sentieri già tracciati senza avere il minimo desiderio di cercare un incontro personale con Cristo.
Questo è il pericolo che minaccia la Chiesa ed è un pericolo che non ci arriva dal mondo ma dall’interno della Chiesa stessa. Se la Chiesa si riduce a permettere all’uomo di rimanere con lei senza andare a Cristo per il cristianesimo è una catastrofe.
La società secolare con cui ultimamente lottiamo con sempre maggior forza non è in nulla temibile per il cristianesimo. È anzi il frutto e l’ambiente vero del cristianesimo, perché costituita in tal modo da consentire a ogni uomo di fare una scelta personale e cosciente.
La questione diventa pericolosa quando la secolarizzazione (o quando noi, nella nostra lotta contro la secolarizzazione) separa il corpo dal suo capo: il corpo che è la Chiesa dal capo che è Cristo. E questa, purtroppo, è una cosa che oggi accade molto di frequente. Io ritengo che quando noi – ognuno per sé – pensiamo a come dobbiamo comportarci in un mondo e con uomini che non hanno trovato la strada che porta al Corpo di Cristo, possiamo risponderci solo in un modo: dobbiamo diventare, per ogni uomo che ci troviamo accanto, testimoni del fatto che innestarsi a Cristo è la felicità. Mentre entrare in un sistema che pretende di governarci tanto da toglierci la necessità di pensare – così che non dovremo più pensare a niente – sarebbe un incubo.
Se saremo invece testimoni di questo tipo, ci accorgeremo che la condizione in cui attualmente versa il mondo è per noi un’occasione, una possibilità immensa, e nient’affatto un orrore o una catastrofe.
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Il testo presentato è un estratto della relazione tenuta da Tat’jana Kasatkina in occasione del convegno internazionale della Fondazione Russia Cristiana (5-8 ottobre, Seriate e Milano) sul tema “Identità, alterità, universalità”. La comunicazione dell’autrice, membro dell’Accademia delle scienze di Mosca, era dedicata a “Le sfide della secolarizzazione come provocazione positiva”.