Lo scorso ottobre 2013 la mostra Vita e destino. Il romanzo della libertà e la battaglia di Stalingrado a cura del Centro Studi Vasilij Grossman di Torino è stata esposta per la prima volta in Francia, nella capitale, presso la sede storica di uno dei luoghi culturalmente più prestigiosi dell’Europa post-illuminista, l’École Normale Supérieure. È un’occasione per rinfrescare la memoria sull’impatto culturale di Grossman in Francia e per spiare quali siano le prospettive che si aprono. 



Il francese ha a che fare con Grossman dal punto di vista biografico. Grossman (1905-1964) conosceva il francese bene, essendo stato educato da piccolo in francese durante la sua residenza a Ginevra e Losanna (1912-1914). Il francese, che sua madre insegnava a Berdichev, rimase sempre per lui un segno della dimensione internazionale che l’uomo deve avere e della radice di tale dimensione in una comune umanità fatta degli stessi desideri di felicità e giustizia. Non è un caso che uno dei personaggi centrali di Vita e destino, il “folle di Dio” Ikonnikov, esprima in francese il suo rifiuto definitivo a partecipare alla costruzione delle camere a gas.



Francia e francese non sono meno importanti per la vita della sua opera. Quando i microfilm di Vita e destino arrivarono alla fine degli anni Settanta in Occidente, furono due russi dell’emigrazione francese, S. Markiš ed E. Etkind, a volerne ostinatamente la pubblicazione. Ad accollarsi l’onere fu un editore svizzero di nazionalità serba e lingua francese, V. Dimitrijevic, fondatore della casa editrice l’Age d’Homme. Fu proprio la prima traduzione in francese del capolavoro graossmaniano (1980), a cura di A. Berelowitch e A. Coldefy-Faucard, che portò lo scrittore alla ribalta internazionale.



Infatti, sebbene qualche titolo fosse già uscito in Occidente, è solo con la pubblicazione francese di Vita e destino che alcuni intellettuali, affascinati dalla limpidezza e dalla libertà del pensiero grossmaniano sui totalitarismi, iniziarono a considerare lo scrittore sovietico come un classico del Novecento. Tra questi nomi occorre ricordare innanzitutto E. Lévinas (Alterité et Transcendance, 1996) che riprese Grossman nel suo discorso sull’etica. Successivamente, sono da ricordare gli studi di Alain Finkelkraut (cfr. Noi, i moderni, Lindau 2006) e François Furet, che considerò Grossman «uno dei più profondi testimoni del nostro secolo» (Cfr. Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, Mondadori 1995 e XX secolo. Per leggere il Novecento fuori dai luoghi comuni, con Ernst Nolte, Liberal Edizioni 1997).

A partire dagli anni Ottanta l’opera post-bellica di Grossman è stata tradotta quasi completamente in francese: Tout passe (tradotto da J. Lafond, L’Age d’Homme 1984), l’antologia di racconti La Paix soit avec vous (tradotto da N. Changkakoti, L’Age d’Homme 1989), gli scritti dal fronte Années de guerre (Autrement 1993) e Le Livre noir (scritto con I. Èrenburg, Acte Sud 1995).

Oggi sono ancora molti, e molto diversi tra loro, gli intellettuali francesi affascinati da Grossman. Al di fuori dalla cerchia accademica va ricordato Daniel Pennac, autore della famosa saga dei Malaussène, che ha dedicato a Grossman La fata carabina e in più di un’occasione ha citato Vita e destino come uno dei suoi libri più amati. Negli ultimi anni Grossman in Francia è soprattutto legato al nome di T. Todorov che ha voluto leggere l’intero Novecento come “il secolo di Vasilij Grossman” (cfr. Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti 2001) e che ha curato l’edizione completa delle opere di Grossman in francese (Oeuvres, 2006). Nello stesso periodo è anche uscita la traduzione della prima parte della dilogia su Stalingrado (Pour une juste cause, trad. L. Jurgenson, L’Age d’Homme 2008), un titolo che manca ancora in italiano. L’anno scorso, ultimo segno dell’interesse francese per la figura dello scrittore, è uscita una nuova biografia Vassili Grossman: un ècrivan de combat (Éditions du Seuil, 2012), curata da M. Anissimov e incentrata sulla questione ebraica nell’autore russo.

La mostra parigina allestita all’École Normale Supèrieure, esito del lavoro ormai quasi decennale del Centro Studi di Torino, ha portato un contributo profondo e originale all’interno di questa tradizione, come ha sottolineato M. Crépon, allievo di Lévinas e direttore del dipartimento di filosofia che ospitò tra gli altri Bergson e Sartre. L’evento è stato anche la prima occasione per lanciare il 2014 come anno grossmaniano, cinquantenario della morte dello scrittore, che culminerà nella grande conferenza internazionale che si terrà a Mosca il prossimo settembre.

“Quando Parigi starnutisce, l’Europa si busca un raffreddore”, diceva Metternich per sottolineare il ruolo decisivo della cultura francese. Speriamo che anche questa volta accada lo stesso: la mostra che illustra l’afflato unico alla libertà di Grossman, così sincero quando deve dire il bene e il male, l’uno e l’altro non alterati dalla dialettica che sempre tende all’ideologia, possa essere uno dei germi da cui rinasca un’Europa fatta di gente sinceramente alla ricerca del vero.