Quando abbiamo letto, più di vent’anni fa, Io speriamo che me la cavo, siamo tutti rimasti molto impressionati; da una parte la leggerezza della scrittura, da un’altra la stranezza del format (sessanta temi dei bambini), da un’altra quella tematica semiseria come può essere il mondo visto dai bambini. Di fatto si è trattato di un libro che ha aperto una ferita: di chi è la scuola?, per chi si fa scuola? Perché si fa scuola? Un semplice maestro elementare, nato nel vecchio centro di Napoli, ha portato una provocazione da cui, per chi ha voluto, non si poteva tornare indietro.
Ma Marcello D’Orta non si è fermato qui, anche se i suoi libri successivi non hanno ottenuto lo stesso successo. Lasciata la scuola dopo il milione di copie vendute, si è sempre occupato di tematiche educative, non ha mai perso il cuore che la sua esperienza di maestro gli aveva dato. Nei suoi libri dà voce a una Napoli degradata ma sempre ricca di speranza. Ricordo soltanto Dio ci ha creato gratis e A voce d’ ‘e creature (2012), libro che nasce dall’incontro dei ragazzi di don Merola con il maestro più famoso di Napoli; in queste pagine i bambini riescono con la loro sfacciata innocenza a dire cose di cui gli adulti hanno paura, ma sempre gridando il loro inno alla vita. È da qui – sembra dire l’autore – che può partire il riscatto di Napoli.
Di grande impegno culturale è stato il lavoro sugli ultimi anni trascorsi a Napoli da Giacomo Leopardi: All’apparir del vero. Il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi. D’Orta affronta l’enigma, tante volte dibattuto, della fede del poeta, e sottolinea il suo rapporto complesso e talvolta ambivalente con Dio. Il libro dà voce agli scritti di Leopardi nei quali il poeta non risolve, attraverso ragionamenti filosofici, il problema della sofferenza, ma entra nel cuore del suo mistero.
Dal primo best seller fu tratto un film con il medesimo titolo, diretto dalla Wertmuller e interpretato da Paolo Villaggio; D’Orta ha collaborato con diversi quotidiani nazionali, non ha mai smesso di occuparsi di problemi educativi; anche i nonni entrano nell’orizzonte dei suoi scritti, quando pubblica i disegni e i pensieri dei bambini: I nonni se non ci fossero bisognerebbe inventarli.
Perché possiamo dire che è vero quanto egli affermava che “se lo si è fatto con passione, maestro si rimane per tutta la vita”?
Perché dentro la parola passione egli racchiudeva una forma dell’educazione: saper guardare; i bambini sgarruppati di Napoli sono la sintesi della saggezza, dell’allegria scanzonata, e insieme della spietatezza della vita, che bisogna saper accompagnare. Ma per accompagnare occorre un occhio che sappia guardare dov’è il bisogno vero di ogni uomo e condividerlo.
Malato da più di un anno, D’Orta trovava nella scrittura − in questi ultimi tempi stava lavorando a un libro su Gesù – un’antitesi al male. Il figlio, padre Giacomo della Congregazione dei Minimi di san Francesco, oggi celebra la liturgia funebre nella sua Napoli.