In un recente articolo sul Foglio, Roberto de Mattei vede nel ricorso frequente di don Giussani alle categorie di “esperienza” e di “incontro” un contributo non marginale alla liquefazione dei contenuti dottrinari della fede cristiana. A suo avviso, insistendo sull’incontro personale e quindi soggettivo, la “dottrina creduta” perde consistenza a favore di un’esperienza religiosa che, se da un lato certamente rinvia alla vita concreta, dall’altro appare “svincolata da qualsiasi regula fidei oggettiva”.



Per tale strada don Giussani stesso appare scopertamente corresponsabile nell’affermazione di uno spirito dei tempi che privilegia il personale rispetto all’oggettivo, l’eco interiore dell’esperienza rispetto al rigore dottrinario della conoscenza. Da qui, sempre secondo de Mattei, la sua sostanziale affinità con la “scuola di Bologna” che fa prevalere, anch’essa, l’esperienza vissuta – ricondotta qui al “primato della pastorale” – rispetto alla legge appresa nella dimensione dottrinaria e, a partire da questa, coscientemente praticata.



Il merito di Roberto de Mattei è certamente quello di mostrare, tra le righe, la prossimità apparente che le diverse scuole di pensiero, per un certo periodo, hanno mantenuto tra di loro. Così, ad esempio, mostra come la “nouvelle théologie” abbia ispirato tanto Giuseppe Alberigo, principale esponente della “scuola di Bologna” attraverso il suo riferimento a Marie-Dominique Chenu, quanto don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione, attraverso la sua frequentazione di Henri De Lubac. Ma soprattutto riporta alla luce il dissidio nato, dopo alcuni anni di collaborazione, all’interno della rivista Concilium e la spaccatura che nel 1972 ha dato vista alla rivista Communio all’interno della quale, accanto a Joseph Ratzinger, si troveranno ad operare Hans Urs Von Balthasar e lo stesso De Lubac. Le divergenze attraverseranno, anche se in minima parte, la stessa Comunione e liberazione, se – come ricorda de Mattei – uno dei primi seguaci di don Giussani, il teologo Giuseppe Ruggeri, passerà alla “scuola di Bologna” sotto la spinta di una sensibilità allo scontro politico e ideologico degli anni settanta (come rivela l’articolo di mons. Luigi Negri).



Ora sono proprio queste prossimità momentanee che dovrebbero far riflettere e mentre de Mattei le vede come altrettante prove di una affinità elettiva, queste invece sono, a mio avviso, gli indicatori di una differenza radicale. Come molti interventi già hanno segnalato, anch’io non credo che l’accento posto da don Giussani sulla categoria dell’esperienza e su quella dell’incontro siano da interpretare in direzione di una riduzione della dimensione dottrinaria a favore di un’esperienza puramente soggettiva. Ma soprattutto non credo che quest’ultima si affermi in don Giussani in una forma completamente autoreferenziale, scissa cioè tanto dai contenuti dottrinali quanto dall’autorità ecclesiale che li custodisce. L’articolo di mons. Negri è, a tal proposito, illuminante quando ricorda come le posizioni politiche di Ruggeri si accordassero poco o nulla con la scelta di obbedienza alla Chiesa, fatta dal movimento di Cl. 

Di fatto le due correnti di pensiero che de Mattei vuole avvicinare e sovrapporre, traducono in realtà due accezioni completamente diverse dell’ “esperienza”. Riassumendo in modo necessariamente schematico un pensiero che in realtà è ben più sistematico, per la scuola di Bologna l’esperienza è quella storico-sociale, nasce dalla vita nel mondo e si declina nel conflitto politico e nelle scelte che per il cristiano inevitabilmente ne conseguono. Il primato dell’esperienza vuol dire, in questa sede, la sottoscrizione di un processo storico oggettivo che, in qualche modo, è “primo” rispetto a qualsiasi obbedienza istituzionale.

Per don Giussani e la tradizione di pensiero alla quale fa riferimento, l’esperienza è invece quella personale ed esistenziale, quindi individuale e soggettiva. Come tale, non è più immediatamente riconducibile all’esperienza storico-sociale, mediata dalle istituzioni politico-culturali che spiegano e interpretano il singolo contesto storico. Essa è invece necessariamente e profondamente vincolata all’istituzione ecclesiale, alla quale si rivolge per essere riempita di contenuti.

In modo ancora più specifico, per don Giussani, l’incontro non è che il momento iniziale di una relazione da sviluppare, così come l’esperienza personale è la forma attraverso la quale le verità evangeliche risuonano nella coscienza individuale. Pensare che queste verità possano accontentarsi di essere semplicemente “percepite” e “risentite” nel proprio foro interiore, indipendentemente dai contenuti che veicolano, vuol dire fermarsi alla fase iniziale dell’incontro, precludendosi la conoscenza reale dell’Altro, di ciò che questi è e ci dice. Un incontro che si fermi alla fase iniziale, reiterando eternamente il suo primo momento, negherebbe, nei fatti, la relazione che dovrebbe invece scaturirne. Approfondire l’incontro vuol dire instaurare una relazione con la realtà concreta nella quale ci si è imbattuti, e questa implica tanto la conoscenza dei contenuti quanto il riconoscimento dell’autorità che ce li presenta e ce li spiega.

Tutt’altra vicenda è quella invece in cui l’esperienza non è quella interiore che scaturisce dall’incontro con un altro significativo, bensì è quella che nasce dall’incontro con delle situazioni oggettive e con le provocazioni che queste impongono: dall’esistenza soggettiva si transita qui all’esperienza oggettiva. Se la prima si volge alla ricerca di un approfondimento dell’incontro e ad una costruzione della relazione, la seconda si realizza invece nell’impegno dell’azione civico-politica, nella sensibilità crescente al mondo ed alle urgenze che lo attraversano.

Per tale strada questa seconda esperienza non è destinata ad approfondire necessariamente la conoscenza dei contenuti dottrinari, bensì è avviata a crescere e ad evolversi sensibilizzandosi sempre di più all’analisi della situazione ed alle condizioni storiche oggettive dell’uomo. Se la prima implica la ricerca di un’autorità che aiuti a capire i contenuti ed a dare forma all’impegno, la seconda non ne ha che un bisogno interiore, riassumibile nella guida spirituale. Sono invece i problemi che oggettivamente e imperativamente emergono dal contesto storico a costituire l’agenda reale. Da qui la nascita di due strategie diverse e non conciliabili.

L’accostamento che de Mattei fa appare quindi abbastanza irreale. Se l’incontro e l’esperienza sui quali fa leva don Giussani fossero realmente separati dalla conoscenza dei contenuti, la stessa relazione con Cristo attraverso la Chiesa sarebbe improbabile e insostenibile. Ora, poiché le relazioni improbabili non producono alcunché se non la reiterazione dell’annuncio, l’intera vita ordinaria della Chiesa, l’intera vita della comunità che la costituisce, risulterebbero semplicemente inesistenti. Ma anche impossibili: per tale strada la nascita e lo sviluppo di un movimento resterebbero tutte da spiegare.

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